Il grande regista visionario Tod Browning è morto 50 anni fa (1962), ed è nato il 1880. Ha diretto un classico del cinema: “Freaks”, uscito nel 1932. Questo appartiene al genere dell’orrore, ma è caratterizzato in modalità umane così intense che è considerato un punto di riferimento assoluto. I “freaks” del titolo sono i “Mostri”-attrazione in un Circo.
Il regista Tim Burton, che ha sempre privilegiato e osservato con simpatia il protagonismo dei diversi che la “ggente” considera freaks -tipo Mani di forbice-, l’ha sempre ritenuto uno dei massimi suoi ispiratori. A lui si deve questa rievocazione.
Si raccontava che nella nativa Louisville della fine del secolo diciannovesimo, Tod stava spesso da solo: magro, anzi pelle-e-ossa, timido, aveva difficoltà a fare amicizia coi suoi coetanei. Nel suo quartiere, all’epoca di periferia, erano in gran parte operai . Essendo suo padre impiegato di livello superiore con aspirazioni dirigenziali, e la madre brigava, con cene e parties mirati ad aiutare l’ascesa del marito, i suoi non volevano che “si mischiasse con la gente” del posto; anzi non vedevano l’ora di lasciare il quartiere per una casa più “adeguata”, in un posto dove le “virtù e le capacità dei membri della Famiglia”, potevano “esprimersi” in modi più confacenti alle loro “legittime aspirazioni”.
Così parlava la madre, fervente battista, e guardava fisso negli occhi al piccolo Tod e al marito, come a spronarli a meglio fare ed essere “degni” dei “doni che Dio aveva elargito” a “questa” famiglia. Non è che il piccolo capisse , ma , “sentiva” vagamente che la madre “voleva” da lui che li lasciasse in pace, non portasse amici in casa: insomma si “adeguasse”( e non vi dico che ci volle per capire questa strana parola…) a ciò che la madre diceva.
Però era un bravo bambino,e, come il padre, chinava convinto il capo e, come lui, anch’egli rispondeva dentro di sé “amen”, come la madre si aspettava che facesse. Lei sembrava il Reverendo Quillingszone della Funzione Domenicale che frequentavano immancabilmente.
Ed ecco perché spesso Tod girava nei dintorni del quartiere da solo, pur desiderando farsi degli amici. Ma un bel giorno di primavera , in un bel sole tiepido pomeridiano, che ti faceva stare felice solo a sentirtelo sulla spalle, fece amicizia con un cane. Era un bastardino, che stava fermo ad un angolo perplesso e in attesa. Aveva un medaglione con su scritto “Fido”, ma lui lo chiamò Drin perché aveva un modo di abbaiare strano e acuto. La madre aveva vietato tassativamente di portare animali in casa: perciò si limitò a stragli vicino e a giocare con lui. Il cane sembrava felice di stargli accanto; ma, quando dovette ritornare a casa, non lo seguì. E, per diversi giorni, sembrava che il cane stesse lì ad aspettarlo allo stesso posto: era un appuntamento, cui Tod era felice di non mancare.
Poi , conobbe il suo padroncino: si chiamava Mickey. Era un suo coetaneo, accarezzava con affetto l’animale ed era chiaro che il cane stravedeva per lui. Perciò, tramite l’affettuosità del cane, nacque una strana amicizia tra loro tre. Anche perché Tod, un bambino molto sveglio, si accorse subito che qualcosa in lui non andava, ma non sapeva dire cosa; però vedeva che alcune cose che lui comprendeva a volo, Mickey faceva fatica semplicemente a farsele spiegare: ma non importava. Perché nei loro giri del quartiere ridevano e scherzavano insieme; anzi, in un qualche modo Tod lo proteggeva , non sapeva bene da cosa, ma così sentiva che doveva fare. Finalmente aveva un amico, magari un po’ strano, ma col cane erano un terzetto “forte”; e poi vedeva che Mickey gli voleva bene.
Passarono così alcuni mesi: conobbe i genitori di Mickey, che quando lo guardavano, gli occhi si colmavano di tenerezza ma era uno sguardo triste sia del padre che della madre; e si rivolgevano sempre con garbo e rispetto, ma con grande affetto e simpatia a Tod , che, d’altra parte, era compiaciuto di questa considerazione; e poi gli piaceva molto il calore di quel rapporto di loro con Mickey, la canetta, perché era femmina gli dissero. Quando entrava in quella casa si sentiva come avvolto in una nuvola di colore e di calore: a differenza di casa sua, dove prevalevano gli scuri, e il sole non entrava mai («Altrimenti i mobili si rovinano…», diceva la madre), lì era tutto pieno di cose simpatiche, giochini di legno, stampe ; e poi conobbe pure la sorellina di Mickey che aveva gli occhi vispi e delle belle treccine: era felice e a Natale ricevette pure un regalino.
Ma, per qualche ragione, di questo non parlava a casa: senza sapere il perché. E infatti: «Coosa?! Te la stai facendo con un minorato segnato da Dio!? Tu?! Un Browning?!?», gli fece la madre un pomeriggio d’inverno. «Non lo permetterò mai!»
Non lo fece uscire di casa per mesi e non li rivide più; poi cambiarono quartiere. E per molti anni a venire Tod pensò sempre con nostalgia a Mickey, al suo affetto e all’amicizia, semplice, ma profonda che gli aveva manifestato. E anche i suoi film furono “segnati” da questa consapevolezza.
Francesco “Ciccio” Capozzi