All’età di 65 anni, è morto il 16 giugno, il regista, sceneggiatore e produttore Giuseppe Bertolucci: fratello minore del premio Oscar, e più famoso, Bernardo; tutti e due figli del poeta Attilio.
Non notissimo al grande pubblico, era un regista intellettuale che coniugava con grande rigore la ricerca, la sperimentazione e l’innovazione sui linguaggi tra cinema, teatro e televisione e l’approfondimento in chiave psicologica delle situazioni.
Attento alle dinamiche storiche del presente, aveva affrontato temi come il terrorismo (“Segreti segreti”), l’alienazione urbana (“Oggetti smarriti”): ma tutti declinati al femminile,con una sensibilità davvero sfaccettata e perfino inquietante. Aveva “scoperto” Benigni (“Berlinguer ti voglio bene” e “Tuttobenigni”) e dedicato molta attenzione alla memoria e il confronto con Pier Paolo Pasolini (“Pasolini prossimo nostro” e “La rabbia di Pasolini”).
Persona di grande umanità, semplicità e simpatia, ha lasciato di sé un ricordo umano splendido. Il fratello Bernardo gli ha scritto una lettera.
Caro Giuso,
solo le lacrime m’impediscono di parlare ad alta voce davanti al tuo corpo ormai silenzioso e chiuso dalla morte. Ma è un pianto che sta dentro di me; né voglio ch egli altri lo sentano. Quando pochi mesi fa, mi hai dato la notizia della malattia, è stato un dolore tremendo: semplicemente forte e diretto. Mi ha preso completamente, portando via ogni altra gioia: compresa quella che era venuta dall’essere riuscito a portare a termine il film (“Io e te”), dopo tutto questo tempo di inattività, con quella grande e “naturale”semplicità, come tu avevi avuto la fiducia di predirmi. Tu mi hai aiutato a superare quell’abisso di depressione in cui ero piombato dopo la definitiva “condanna a vita della sedia”; a non farmi più sentire storpio e uscire dalla “prigione” di questa carrozzella che quella maledetta operazione e quel criminale di chirurgo mi hanno relegato E l’hai fatto sostenendomi ogni giorno, standomi vicino, parlando, approfondendo e vincendo ogni obiezione sull’impossibilità di potere dirigere un film. Nonostante le tue affermazioni autoironiche, la tue generose iniezioni di coraggio che tu facevi per coloro che ti stavano vicino, tu sapevi della gravità, e io sapevo che tu sapevi. E il peggiorare veloce , spietato inarrestabile del male ha offuscato ogni mia gioia per il successo che poi ha avuto il film a Cannes. Come fare a spiegare agli altri che in realtà il fratello minore ero io, e non tu, anche se anagraficamente era così? Come fare a spiegare che chi aveva bisogno di certezze ero io e non tu? Come fare a spiegare che era a te che indirizzavo le obiezioni sul mio stesso lavoro, fin dal “lontano” “Novecento”, cui tu collaborasti alla sceneggiatura? Che dico? Fosti autore di me. Mi aiutasti, col tuo modo ironico, sottile, ma profondo nel far vedere a me, che cosa io dovessi fare per ché “io fossi l’autore” di ciò che pensavo. Mi aiutasti a chiarire a me stesso, col tuo modo sardonico e perfino surreale, le dinamiche che dovevano appartenere ai “miei” personaggi”. Fratellone mio, affettuoso e implacabile, ma senza l’ombra di cattiveria, nel mettere a nudo ogni zona di ambiguità o di non detto. Perciò, pur essendo tutto il contrario del Casanova , tu “ti trovavi” di più con le donne, le protagoniste e le destinatarie di tanti dei tuoi film. Perché sapevi andare davvero a fondo dei cambiamenti che avvengono sempre e solo a causa dei sentimenti:ogni trasformazione di rapporti che intercorrono tra persone, è tale perché dà vita ai cambiamenti di sentimenti. Sono questi che regolano la vita e l’esistenza dei rapporti stessi. Ma queste hanno bisogna dell’assoluta, adamantina sincerità; e questa ha bisogno di lenta, continua, inarrestabile introspezione; e non bisogna minimamente averne paura. Perciò le tue grandi attrici ti amavano con un trasporto, una quasi venerazione e un’ammirazione che io, un po’, invidiavo. Quando Mariangela (Melato) spiegava le complesse sfumature che aveva messo nella sua recitazione, ne parlava come di qualcosa che non le appartenesse completamente, ma che sembrava”uscito” dalle lunghe conversazioni con te, e quelle nuove , particolari ombre di vita del personaggio, erano state create insieme. E ne parlava come in trance: come se avesse partecipato a qualcosa di molto più complesso di un rapporto regista-attore: era un entrare insieme nell’esistenza personale dell’attrice. E solo un rapporto improntato alla più totale delicatezza, ma anche autorevolezza, poteva permettere il miracolo. Lo stesso avvenne in “Oggetti smarriti”. Eppure non c’era niente di morbidamente languoroso: ma tutto era lucido e caldo nello stesso tempo. Mentre io cercavo di rendere all’esterno ciò che si manifestava all’interno dei gruppi di anime in pena, tu cercavi sempre e solo l’individualità più particolareggiata e ricca di singole sfumature. Ecco, avere cercato di guardare con lucida consapevolezza nel fondo della tua anima creativa, mi attenua il dolore; lo rende più sopportabile. Perché mi dà la consolazione e la certezza che grazie a questo continuerai a vivere oltre questa morte.
Ciao e addio, ovunque tu sia.
Francesco “Ciccio” Capozzi