NAPOLI – Da Nea, giovedì 4 ottobre 2012, alle ore 18.30, vernissage di Trasparenza e colore, personale di Salvatore Emblema, a cura di Pasquale Lettieri. In mostra, fino al 20 novembre, dieci opere del Maestro delle tele sfilate, tra i primi ad aver affrontato il problema dello Spazialismo.
L’esposizione si snoda come un tributo all’artista originario di Terzigno, scomparso nel 2006 a 77 anni. Emblema comincia il proprio percorso eseguendo una serie di collage, usando foglie disseccate e costruendo ritratti attraverso le modulazioni cromatiche. Seguono le ricerche materiche con l’impiego di pietre e minerali raccolti alle falde del Vesuvio, dei quali si serve per concretizzare delle figurazioni. Il suo senso del rischio e della libertà lo portano prima a Roma dove comincia ad intensificare la sperimentazione dell’uso delle tele di sacco per le sue opere.
Contemporaneamente il mondo del cinema e della moda si interessano alla sua attività: collabora con Fellini e disegna modelli e stoffe per lo stilista Schubert. Ancora molto giovane si trasferisce negli Stati Uniti, dove frequenta con assiduità gli studi di Pollock e Rothko: dal primo apprende la libertà del gesto creativo, dal secondo invece lo sguardo su colori e trasparenze.
Istituisce un fertile rapporto con il critico Giulio Carlo Argan che diventerà un suo grande ammiratore ed esegeta.
Grazie a questa preziosa amicizia, Emblema conosce la sperimentazione materica di Lucio Fontana, e capisce che per raggiungere l’essenzialità delle cose è necessario togliere e non aggiungere. Elimina, così, il colore privilegiando la sola tela e, successivamente, la scompone, sottraendo alcuni fili e permettendo di intravedere dietro di essa quello spazio non più “morto” ma partecipe al quadro.
E’ questo il processo che porta alla creazione di tele dalla forte emozionalità astratta, un’arte che è segno, gesto e non parola. Con umiltà e caparbietà continua la sua ricerca che, finalmente, riceve una consacrazione definitiva e ufficiale: gli si aprono, infatti, le porte della Biennale di Venezia, del Metropolitan Museum di New York, degli Uffizi di Firenze, del Palazzo Reale di Napoli, mentre sue opere vengono acquistate dalle più importanti raccolte d’arte contemporanea sia pubbliche che private.
Se Fontana aggredì la tela con secchi tagli distruttivi (lo stesso si potrebbe dire delle bruciature e gli interventi di Burri), Emblema compì una lenta sfilatura della trama, agendo per sottrazione e alleggerimento, inseguendo la trasparenza attraverso la sovrapposizione di più tele. Il risultato fu la creazione di uno scambio definitivo tra il supporto e l’opera stessa, che finirono per identificarsi, mentre il colore servì soprattutto per sottolineare la trama della tela di sacco.
In Embema è assente qualunque ambizione di demistificare la pittura, o di sciogliere la sua ambiguità di fondo. Praticando un lavoro manifestamente manuale e non-creativo, risalendo e diradando la materia, si ritrova la luce, lo spazio, il tempo, la forza significante e non traslata del simbolo.
All’interno di questi spazi assoluti in attesa di definizione, privi di ogni possibile contraddizione interna, galleggiano forme biomorfe, ora strutture contraddistinte da una calibrata alternanza di vuoti e pieni, nelle quali il segno cerca l’identificazione nel gesto e nell’espressività diretta del colore. Natura su natura per ricavare una natura altra, lirica, che percepiamo davanti ai nostri occhi, ma che esiste solo dentro di noi.