Ore 8.30
Arrivo alla stazione della Circumvesuviana di San Giorgio a Cremano, come ogni mattina.
Mentre scendo le scale, una voce fredda, femminile, annuncia che i prossimi treni per Napoli, quello per il Centro direzionale e quello per Barra, sono sorpressi e il treno delle 9.05 proveniente da Sorrento viaggia con circa 25 minuti di ritardo.
Dovrò aspettare circa un’ora.
Rassegnato mi vado a sedere sulla panchina già affollata in mezzo a una signora anziana e un uomo che a quell’ora ha già gli occhi stanchi.
Apro la borsa. Lentamente prendo gli occhiali. Li infilo. Prendo il libro che ho iniziato ieri. Lo apro dove ieri ho lasciato il segno.
“Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo”.
È un libro di Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine.
Scorrono, lentamente quelle pagine e il tempo. Passa quell’ora, tra il silenzio e il rumore dei passi di tanta gente che aspetta.
La voce metallica dall’altoparlante annuncia il treno. La folla si accalca sul binario 2, direzione Napoli.
Arriva già colmo. Scende qualcuno entriamo noi, spingendo e spinti ci accatastiamo quasi l’uno sull’altro. Dopo qualche minuto, si chiudono le porte. Parte. Non c’è bisogno di sostenersi.
Nella mia mente passano le immagini descritte da Levi dei treni della morte. Volti tristi, arrabbiati, stanchi. Etnie diverse mescolate in una amalgama di esistenze.
La prima, la seconda, la terza, la quarta, la quinta fermata. Arriviamo a Porta Nolana, a Napoli.
Esco dal treno insieme alla massa, che sembra un unico corpo amorfo in movimento, salgo lentamente le scale, esco nella piazza antistante la stazione. Di fronte la fermata del tram. Affollatissima, dei mezzi pubblici neanche l’ombra. Dopo circa un quarto d’ora arriva il tram. Il numero 1. Termina la sua corsa davanti al Maschio Angioino. Meglio di niente.
Arriva già carico di gente, incredibilmente carico di gente. Non si riesce ad entrare, neanche spingendo. Ci rinuncio. Dopo qualche minuto ne arriva un altro. È meno affollato.
Con un po’ di pazienza riesco ad entrare. Dentro c’è mezzo mondo. Nigeriani, cinesi, marocchini, rumeni, napoletani. Una coppia, giovane. Forse rumeni. Con loro due bambini. Lei minuta, sporca, con un occhio bendato. Sorride ai suoi due bambini.
Le due creature sembrano abituate al mezzo affollato. Uno di loro ha in mano una bottiglina d’acqua. È sporca. Succhia l’acqua con una tettarella adattata. Con loro due carrozzini ammassati sopra ad alcune bancarelle di altri extracomunitari che usano il mezzo pubblico come un mezzo di trasporto merci.
La loro mercanzia è accatastata nello spazio riservato ai diversamente abili, al centro del mezzo, di fronte la porta centrale. Braccia, mani sudate, corpi, l’uno sull’altro.
Oltre agli extracomunitari che occupano tutto il lato posteriore del mezzo, studenti, operai, commesse, cameriere, due coppie di turisti, sudati, spaventati e allo stesso tempo divertiti da quel caos.
Le due coppie di turisti vengono circondate da tre individui poco raccomandabili. Con un’abilità da prestigiatori trafugano nel borsello di uno degli uomini di quelle due coppie di turisti. Si aprono le porte. Scendono.
Il mezzo riparte. Dopo un po’ l’uomo, alto biondo, in pantaloncini a righi bianco e blu, incomincia ad urlare in tedesco. Tutti capiscono del furto subito.
Tutti sapevano che stava subendo un furto. Tutti conoscevano i tre individui. Nessuno ha parlato. Nessuno parla. Compreso me. Nessuno dice niente prima e nessuno disse niente dopo. Solo facce indignate, espressioni di chi sa e sopporta, in silenzio.
Rassegnazione silenziosa. Quel silenzio che sta annegando questa città.
Una rassegnazione silenziosa che la sta facendo sprofondare in un abisso di degrado senza alcuna possibilità di salvezza.
Dopo circa mezz’ora, sudato, stanco, avvilito, rassegnato, arrivo al Maschio Angioino.
Siccome non c’è l’ombra di un pulman per arrivare a Piazza Vittoria mi tocca camminare.
Finalmente alle 10.45 arrivo.
(Fonte foto: web)
Mario Scippa