SAN SEBASTIANO AL VESUVIO – Il 1° gennaio non si festeggia solo il Primo dell’anno ma si innalza la bandiera, lo stendardo con l’effigie del santo patrono che col suo sventolare inaugura i festeggiamenti che avranno il loro culmine il venti prossimo venturo.
In questi tempi malsani dove tutto viene materializzato e ridotto alla pura essenza mercantilistica, ci colpisce come resistano ancora e con un certo spirito ancestrale, le ricorrenze dei santi patroni. In effetti nel partecipare alle ricorrenze religiose, in particolar modo nel Sud, ci colpisce la forza con la quale tali cerimonie resistono e coinvolgono tutti gli strati del tessuto sociale e ogni fascia d’età, soprattutto quando queste sono sincreticamente legate ai culti pagani.
Fra una ventina di giorni anche il mio paesello festeggerà il suo santo patrono, San Sebastiano Martire. Martedì mattina infatti, mentre la cittadina lentamente si destava dai suoi bagordi festivi, la banda dava un assaggio di festa paesana con le sue marce dei tempi che furono gratificando i pochi devoti presenti al consueto alzabandiera, quello che da tempo immemorabile preannuncia le celebrazioni in onore del Santo. L’undici gennaio inizieranno invece le celebrazioni liturgiche, con la novena, che vedrà il susseguirsi di una messa per ognuno dei nove giorni che precederanno la festa e dove si intervalleranno sull’altare locale i parroci delle parrocchie limitrofe, con la presenza finale del cardinale Sepe e la processione lungo una parte delle vie del paese.
Dal canto mio, ogni qual volta partecipo al momento topico della processione, mi vengono i brividi. Infatti, pur non essendo credente, vivo con emozione e partecipazione la festa e in particolar modo il momento rituale dove sento di appartenere, almeno per quella giornata, alla mia comunità.
Se parlo così non è certo perché provi distacco dai miei concittadini ma perché vivo generalmente un senso d’appartenenza più ampio e che va ben oltre i confini propriamente territoriali.
Ma ad ogni modo, come non puoi far a meno della tua famiglia e bene o male sentirtene parte, così non puoi far finta di niente al richiamo della tua terra, delle tue radici che ti si avvinghiano quando meno te l’aspetti e al momento opportuno ti sovviene quel languore, quel nodo in gola emotivo, che ti imbarazza ma allo stesso tempo ti coinvolge nelle umane vicissitudini dei tuoi simili e per giunta compaesani!
La festa, ho imparato a conoscerla frequentando mia moglie e la sua famiglia e ho incominciato gradualmente ad apprezzarne spirito e significato, sarà che mi faccio vecchio o anche per la celebrazione che cade proprio in un periodo prossimo al solstizio e se ne carica di tutti i suoi antichi significati ma vedere come il legame tra passato e presente riesca in una maniera tanto viva ad andare avanti, questo, non solo m’interessa come cronista ma addirittura mi commuove.
Mi tocca nell’intimo perché m’accomuna col mio prossimo, con colui che magari, per i restanti 364 giorni dell’anno, non mi calcolerà proprio ma per quel giorno avremo qualcosa in comune, avremo il Santo a vegliare su di noi, avremo San Sebastiano che ci unirà.
Il giorno dopo, a scontare l’ebbrezza del vino, ancora satolli di lasagna, di suffritto, di sacicce e friarielli e migliaccio, dimenticheremo gradualmente tutto e tireremo avanti per la nostra strada, come muli da traino con i loro paraocchi tecnologici, e aspetteremo con speranzosa ansia il prossimo 20 gennaio, per rivivere la comunione di passioni e talvolta d’intenti che è la festa patronale.
(Foto by Ciro Teodonno)
Ciro Teodonno