Morti sul lavoro: maggiore formazione e controlli

VENEZIA – È caduto mentre lavorava da un’altezza di circa 10 metri ed è morto. Questa la tragica sorte toccata il 26 gennaio ad un lavoratore di 59 anni, residente in provincia di Brescia. Ha perso la vita mentre rimuoveva alcune lastre di amianto sul tetto di un capannone in una ex fonderia. E la stessa violenta fine è toccata il 29 gennaio ad un imprenditore edile siciliano di 43 anni, caduto dal ponteggio che la sua impresa aveva installato a Partinico.
Sono solo due delle vittime del lavoro del 2013 in un’epigrafe che sembra non voler conoscere una fine. Soprattutto in edilizia e, spesso, a causa di un inadeguato utilizzo di dispositivi di protezione anticaduta previsti dalle disposizioni legislative. Tant’è che il 2012 parla chiaro nelle indagini statistiche effettuate dall’Osservatorio Sicurezza sul lavoro Vega Engineering: nel settore delle costruzioni è stato registrato il 23,6 per cento delle 509 vittime del lavoro del Paese. Mentre nel 2011 era il 22,2 per cento dei decessi e nel 2010 si superava il 28 per cento.  Contemporaneamente la caduta dall’alto è stata la prima causa di morte (24,6 per cento degli infortuni mortali verificatisi in Italia nel 2012). Era il 24,2 per cento nel 2011, il 27,8 per cento nel 2010.
Episodi gravissimi che pongono sotto i riflettori l’emergenza sicurezza nei luoghi di lavoro e che rendono inaccettabile il disinteresse che spesso regna sovrano in alcuni cantieri o altri luoghi di lavoro in cui c’è chi rischia la vita quotidianamente svolgendo la propria attività professionale.
Le misure preventive da adottare nei lavori in quota non devono mai essere sottovalutate neppure quando si tratta di attività svolte ad altezze contenute. Queste sono situazioni la cui criticità è dovuta proprio alla sottovalutazione del rischio. Tra le principali cause di tante tragedie e di tanta disattenzione ci sono in molti casi la scarsa informazione e formazione di chi opera; talvolta, poi, nelle realtà più piccole, a subire gli infortuni sono gli stessi datori di lavoro.
Ma la vera protagonista delle scene che precedono le disgrazie è la mancata  predisposizione di sistemi di accesso e vincolo per effettuare i lavori in quota negli edifici e nelle strutture in genere. In molti casi il lavoratore, che pure indossa l’imbracatura di sicurezza, non ha modo di vincolarla. È fondamentale, quindi, che i progettisti e i proprietari degli edifici prevedano sempre idonei sistemi di sicurezza (spesso costituiti da semplici occhielli o dalle cosiddette “linee di vita”) da installare in fase di realizzazione degli edifici o durante ristrutturazioni a garanzia di chi, successivamente, effettuerà lavori di manutenzione.
È quindi indispensabile investire sulle attività di prevenzione, tra cui la formazione dei lavoratori, senza trascurare l’importanza delle attività di controllo da parte di enti preposti, che dovrebbero essere ulteriormente intensificate.  Ma la cosa più grave è che non ci si indigna mai abbastanza ogni qualvolta un lavoratore, magari giovane e padre di famiglia, perde la vita. Non bisognerebbe più accettarne l’epilogo con una semplice notizia sui giornali e con un’indagine penale che spesso si conclude in tempi molto lunghi.
C’è da augurarsi che il prossimo governo adotti, sin da subito, azioni concrete e diverse dai suoi predecessori; come quella di prevedere la detassazione degli utili sui costi sostenuti dalle aziende in materia di sicurezza come dovrebbe fare ogni paese civile in cui si muore troppo per lavoro.  Tali incentivi costituirebbero sì un costo per lo Stato, ma comunque si tratterebbe di un investimento minore rispetto ai costi complessivi che la collettività sostiene a causa delle morti bianche.
(Fonte foto: web)