La Casa dei Cristallini al Rione Sanità

NAPOLI – La casa dei cristallini prende il nome dal vicolo dove sorge la struttura: è luogo di ritrovo per i bambini problematici di uno  tra i più caratteristici ma anche più degradati  quartieri partenopei.
I bambini, segnalati dalle scuole o appartenenti alla zona, vengono seguiti da operatrici che si occupano delle lacune scolastiche attraverso un servizio di doposcuola e intrattenendoli in seguito con attività laboratoriali.
La casa – già affidata da 10 anni all’associazione “ Casa dei cristallini”- è stata ristrutturata per il 23 ottobre scorso grazie all’intervento di  “ L’altra Napoli Onlus” finanziata dalla fondazione Bnl.
La donazione degli arredi si è avuta da Ikea e delle vernici da Sikkens.
Gli addetti ai lavori sono stati gli architetti Giuseppe Albanese ed Emanuele Vittino.
Attraverso un intervista l’arch. Albanese ha raccontato a Lo Speaker dell’associazione e del lavoro che c’è dietro questo progetto.
«L’associazione “L’ altra Napoli”  è nata nel 2006. L’ ideatore è stato mio fratello,che è un manager. Decidemmo insieme di fare qualcosa per la Città.
Cercammo di individuare una zona in cui intervenire con progetti di riqualificazione sia sociale  che urbanistica.
Avemmo la fortuna di incontrare Don Antonio Loffredo, un imprenditore, che mise a disposizione degli spazi.
Abbiamo cominciato con un giardino per bambini della zona della Sanità chiamata Salita dei Cinesi».
Continua presentando l’artista Mariangela Levita; specializzata in wall painting,  si è dedicata insieme al suo team ad una istallazione grafica sulle mura che rimandasse direttamente al ruolo della struttura.
«Non conoscevo Mariangela, vidi alcuni suoi lavori e mi piacquero tantissimo.  Cercai di coinvolgere l’artista nel mio lavoro, perchè mi piace molto il rapporto arte- architettura.
Avevo già visto il suo intervento di colore al Cardarelli, comprendente  tutti gli spazi fuori dai reparti».
Poi prende la parola l’artista stessa: «L’invito che  mi arrivò da”L’ Altra Napoli” era per un aiuto concreto.
Arrivati in pieno cantiere, Giuseppe Palmese mi parlò della storia di questa architettura.
Colsi così tutto lo spazio, l’ attività di questo spazio, fondamentale per direzionarmi, e poi i volumi di questa architettura: la volta e il corpo divisorio che ho utilizzato come un foglio bianco e ho progettato con il mio team.
L’attività del luogo è stato un modo per restituire ai bambini di questa fascia di età un’opportunità che lo spazio architettonico insieme al mio intervento visivo potesse arrivare tramite lo slogan Flagdown, che segna il traguardo di arrivo.
Questi ragazzi  devono capire che ci sono segni che partono da un concetto, e che dietro c’ è un idea e un contenuto. Si tratta di un traguardo che li immette in quel processo che li porterà a raggiungere i loro risultati attraverso questo luogo.
Con l’ architetto  abbiamo dialogato attraverso le nostre professionalità.
Abbiamo poi abitato il quartiere, abbiamo fatto cantiere.
Questo lavoro è stato seguito direttamente da me, cosa che non faccio sempre. In questo caso sì, abbiamo anche dialogato con le  persone del quartiere: una familiarità che si è creata per un po’ di mesi e che ha reso tutto più vivo».
Infine la wall-painter si rivolge direttamente alle operatrici presenti, per chieder loro se effettivamente i bambini hanno colto il suo il suo intervento visivo.
Le operatrici hanno tranquillizzato Mariangela, riferendo che alcuni dei bambini. appena entrati nella casa ristrutturata, hanno esordito dicendo: Uh, è ‘na pista!
Laura e Maira, le due giovani operatrici, raccontano della realtà vissuta ogni giorno. Specificano che  seguono una quarantina di bambini dai 6 ai 12 anni, che in estate aumentano per il servizio di  campo estivo.
Parlano anche di veterani quasi maggiorenni che aiutano le operatrici, seguendo i bambini nei giochi  e nei laboratori di pittura. Infine parlano del caratteristico terrazzino di 20 m² che è diventato il “ campo di calcio” per i bambini che, vivendo in un luogo pieno di stradine strette e quasi privo di luce, sono tanto “ affamati” di spazi.
(Fonte foto: web)

Irene Campese