Tac tac. tac tac. tac tac. tac tac.
Dietro di me un passo perentorio. Tac tac. tac tac. Tac tac
Un cronometro da cento palpiti al minuto, mi segue, si avvicina, mi pressa, è alle mie spalle.
Tac tac. tac tac. tac tac …
Poi, perentoria, lei mi sorpassa.
Con lo sguardo fisso in avanti, col volto immobile e gli occhi vivi e guardinghi che scannerizzano l’universo, fende l’aria come una deriva in una giornata di mare teso e vento di traverso.
Capelli lunghi, longilinea, snella. Leggins, maxipull, stivali di pelle.
Mi colpiscono le tre borse … una nella mano mancina, una a tracolla sulla spalla destra; un’altra ancora inforcata in diagonale come la faretra di Artemide.
Ora vestono così, penso. In effetti fino a quel momento non ci avevo mai fatto caso. Non che non le avessi viste tutti i giorni per le strade della città. Semplicemente non avevo realizzato.
Ma quella mattina, chissà perché, mi ero ripromesso di guardare le donne camminare.
Le volevo guardare ma non ero preparato a vederle davvero.
Forse perché avevo impresso negli occhi e nel cuore un ricordo antico, di una bellezza invadente: una testa piena di capelli, ricci corvini … un paio occhiali neri e tondi.
E uno zaino colorato di cotone pesante, pieno di mimose. Quella donna entrò di colpo, spalancando rumorosamente la porta nel Collettivo di architettura e nella mia vita, come un colpo di vento di libeccio profumato, proprio un otto di marzo di tanti anni fa …
Aveva le ballerine nere col laccetto ed una gonna larga e lunga, e colorata … e tanti denti.
Queste donne sono diverse, ho pensato.
Tre borse. È vero … ora invece portano tre borse.
Come cavalieri medioevali, forti, armate, escono di casa la mattina …
Sciamano a frotte dalla funicolare centrale, veloci, determinate per poi disperdersi rapide in tutte le direzioni … Mi incrociano, sono costretto a rallentare fino a fermarmi. Mi sfilano davanti, rapide. Molto rapide.
Forse è perché corrono già da qualche ora: sveglia, figli a scuola, colazioni e prime battaglie … la colluttazione col proprio corpo mentre decidono l’altezza dei tacchi.
«Strano, ieri ero più alta … »
Prima di uscire controllano, solo un attimo, davanti allo specchio, il trucco e l’attrezzatura.
La prima borsa è quella generalista. Misteriosa, rumorosa, contiene filtri magici e chissà cos’altro. Quando cercano qualcosa lì dentro, in quel vuoto nero, infilano le mani, le braccia, scendendo fino in fondo … – ma quanto è profonda! – rimescolano nervose, alla ricerca di ogni genere di cosa … Scoprire cosa contiene la borsa di una donna è per me uno dei misteri ancora insondati della vita…
Ma le armi vere e proprie sono nelle altre due: quella grande, piatta e capiente, dissimula l’arma elettronica: il portatile da guerra.
Il portatile è l’arma del riscatto.
La pistola e il fucile sono strumenti arcaici. Oggi la guerra si fa col joystick, con un click. La forza corre sul filo, si contano in bit …
Ercole non esiste più. La clava di olivo selvatico riposta, bruciata insieme a lui sulla pira del monte Oeta.
Ercole non è più il mito.
La terza borsa è di carta lucida, pesante, coi manici di corda. A volte leopardata.
Contiene il cibo … scelto e preparato accuratamente: quello della dieta bilanciata.
Loro sanno cosa vogliono e dove vanno. E se non lo sanno, vanno. Comunque.
Verso il futuro. Loro hanno un futuro. Le sacerdotesse custodi del futuro ignoto.
Ma la strada è già tracciata.
Donna. A Napoli si dice: Femmina. Sì ‘na femmena.
Sì ‘na granda femmena …
Sono belle. Sono il futuro. Il frutto ormai maturo di battaglie e lotte. Sacerdotesse del femminismo.
Più indietro scorgo un ragazzo: cappuccio calcato sulla testa, cammina chino guardando a terra.
Un uomo, n’ommo, ‘nu maschio …
Ma ora non c’è più Ercole, né Teseo. E nemmeno Ulisse.
Chi sono io, allora?
Anche le parole sono ormai consumate.
Non può nemmeno confessare di essere un maschilista …
(Foto: web)
Francesco Escalona