Il teatro: Ferdinando

SALERNO – Ferdinando è il capolavoro della drammaturgia di Annibale Ruccello, il giovane autore di  Castellammare di Stabia prematuramente scomparso  in incidente.
Giudicato uno degli spettacoli più significativi del novecento, con questo nuovo allestimento, Arturo Cirillo  (foto) è al suo terzo incontro con Ruccello, dopo le fortunate prove de Le cinque rose di Jennifer e L’ereditiera, entrambe insigniti del  Premio Ubu.
“Ferdinando” è prodotto dalla Fondazione Salerno Contemporanea – Teatro Stabile d’Innovazione in collaborazione con Benevento Città Spettacolo.
Dopo aver riscosso enormi consensi da Milano a Venezia, da Padova a Bari, giunge al Teatro Antonio Ghirelli in via Lungoirno per il debutto nella “sua” città.
In occasione della prima teatrale di giovedì 14 marzo, è previsto per il pubblico un buffet post rappresentazione in compagnia degli attori e del regista offerto da Comer-aEventi.
Le repliche dello spettacolo proseguiranno fino a domenica 17 marzo
Insieme con Cirillo saranno in scena  Sabrina ScuccimarraMonica PisedduArturo CirilloNino Bruno.
La trama.
Agosto 1870: il Regno delle Due Sicilie è caduto e la baronessa borbonica Donna Clotilde, nella sua villa vesuviana, si è “ammalata” di disprezzo per il re sabaudo e per l’Italia piccolo-borghese nata dalla recente unificazione. A fare da infermiera all’ipocondriaca nobildonna è Gesualda, cugina povera e inacidita dal nubilato, ma segreta amante di Don Catellino, prete corrotto. A sconvolgere l’equilibrio domestico sarà Ferdinando, sedicenne dalla bellezza efebica, che getterà la casa nello scompiglio, riaccendendo passioni sopite e smascherando vecchi delitti.
Il regista Cirillo ha scritto dello spettacolo: «Logica ed inconsueta, allo stesso tempo, mi appare la mia decisione di portare in scena Ferdinando di Annibale Ruccello. Logica perché riconosco in Ruccello un mio autore, un autore sul quale sono tornato più volte, e con spettacoli per me importanti. Ma la scelta mi appare anche inconsueta, poiché per me Ferdinando è sempre stato legato allo spettacolo che curò l’autore stesso (nonché primo interprete del ruolo di Don Catellino), che ha girato per molti anni tutta l’Italia avvalendosi della grande interpretazione di Isa Danieli. Inoltre per me il testo è sempre apparso molto diverso da tutti gli altri di Ruccello, un testo più realistico, storico, un dramma con una struttura classica.
Qualche mese fa rileggendolo ho avuto invece una visione, mi si è concretizzato un mio possibile “tradimento”, ovvero mi è apparso come un travestimento, un povero e meschino cerimoniale, come certi testi di Jean Genet, penso soprattutto a Le serve e a Il balcone. Un testo terribile per come rappresenta la depravazione, un atto di cannibalismo non meno estremo di Anna Cappelli, anche se non portato fino infondo.
Un rapporto col religioso pieno di cocenti contraddizioni e rappresentato con cruda violenza, ma sempre con quell’amore struggente che mi pare abbia Ruccello verso le ossessioni della sua vita. Il desiderio per un inafferrabile adolescente, nato da un inconsolabile bisogno d’amore, matura nella mente di tre personaggi disperati (Donna Clotilde, Donna Gesualda e Don Catello), prigionieri della propria solitudine, esacerbati dall’abitudine. Allora tutto l’aspetto storico mi è apparso una finzione, un teatro della crudeltà mascherato da dramma borghese, in cui anche la lingua, il fantomatico napoletano in cui si sostanzia Donna Clotilde, è esso stesso lingua di scena, lingua di rappresentazione, non meno del tanto “schifato” italiano.
Una scena composta da un unico grande drappo che scende dall’altro e contiene il luogo dell’azione, un luogo claustrofobico in cui convivono tutti i personaggi, che vediamo spogliarsi, rivestirsi, incontrarsi (come in un film di Luis Bunuel). Personaggi rinchiusi in abiti scuri, monacali e preteschi, per devozione o lutto, ma forse solo per difesa. Illuminati da luci rivelatrici, come in un miracolo pagano, dove l’intimità delle note di un pianoforte convivono con quelle sontuose e barocche di un organo.
Poi c’è Ferdinando, ragazzino normale di un tempo presente, portatore solo del proprio corpo giovane sul quale gli altri tre personaggi, di questo quartetto, disegnano le proprie visioni e i propri desideri. Trascendendo dalla persona in sé, come spesso avviene nell’innamoramento, si ingannano e si lasciano ingannare. Dopo gli resta solo la constatazione del proprio fallimento e della propria folle e disperata solitudine, in un luogo spettrale abitato dai morti e dai ricordi».
(Foto: Ufficio stampa)