TORRE DEL GRECO – All’Ethnos Club di via Nazionale andrà in scena sabato 16 alle 21 e domenica 17 marzo alle 18,30 “La venere dei terremoti” di Manlio Santanelli, per la regia di Roberto Azzurro.
Dopo anni di frequentazioni con il teatro e la narrativa di Manlio Santanelli, Roberto Azzurro ha deciso di portare in scena “La Venere dei terremoti”.
La sua è stata una sfida davvero audace, dal momento che si tratta di un lungo racconto la cui storia, sottotitolata come Il cimento amoroso di Luigino Impagliazzo e Fortuna Licenziati, si svolge a Napoli, tra le strade dell’antico e caotico centro della Città.
Il racconto del cimento amoroso di Luigino e Fortuna viene fatto con parole spericolate, acrobazie verbali, atmosfere reali eppure oniriche.
Immagini di donne vagheggiate, di musiche e immagini familiari e sconosciute, accorate e pericolose: un piccolo viaggio nella suggestione del racconto come forma di comunicazione, la più antica, la più contemporanea, la più rischiosa, la più seducente.
Il racconto si snoderà attraverso la parola che si fa senso e dunque suono, e che sollecitano nello spettatore immagini che ci condurranno addirittura quasi nella sua immaginazione, ipotizzando il turbolento circo colorato e un po’ folle che si scatena nella psiche di un piccolo uomo innamorato di una fin troppo bella “femmina”.
Lo spettacolo si colloca nell’ambito della progettualità di Azzurro relativa alla parola scritta che diventa parlata, dunque alla letteratura che diventa teatro. L’incontro tra il Narratore e il protagonista della storia Luigi Impagliazzo avviene sotto gli occhi degli spettatori, come se un prestigiatore, finalmente, mostrasse il segreto dei suoi trucchi, portandoci finalmente su quella suggestiva e attraente linea di confine che è l’interregno tra l’attore e il personaggio.
Scrive Santnelli: «Ci sono innamorati felici (rari) e innamorati infelici (in soprannumero). Luigino, incolore geometra, appartiene – inutile dirlo – alla seconda categoria. Ma se è quello strabico del dio Eros a cogliere un bersaglio per un altro, va detto che anche il nostro infelice innamorato ha la sua parte di colpa. Anche i più sprovveduti in materia sanno che non è proficuo perdere la testa per la donna di un boss della malavita, per bella che sia (la donna, s’intende, e non la malavita).
E dire di Fortunata che è bella significa non avere studiato i superlativi, la donna sunnominata essendo un concentrato di tutti i migliori attributi femminili dalla testa ai piedi: un doppio Dado Star dell’avvenenza muliebre, per farla breve. E a Luigino geometra non resta che consumarsi al pari di una candela che niente e nessuno riesce a spegnere.
Finché Eros, mosso a pietà, non interviene facendo morire il boss in un regolamento di conti. Con la conseguenza che per Luigino l’inespugnabile fortezza dall’oggi al domani diventa espugnabile.
Una lussuosa camera di albergo si offre come serra per il tropicale sboccio di una fioritura così a lungo repressa. Ma lo zenit del tanto vagheggiato amplesso viene a coincidere – altro svarione di Eros – con un terremoto di notevole magnitudo, che fa guasti anche nella coppia di fresco accoppiata.
Fortuna, in possesso di una cultura piuttosto tribale, collega quel funesto accidente con l’aspetto libertino della propria condotta. E ritorna, seppure con altre motivazioni, alla sua originaria intoccabilità. A Luigino, che ha visto aprirsi e richiudersi le porte del Paradiso prima ancora di averne respirato i “paradisiaci” effluvi, non resta che trovare nella follia un tranquillo rifugio.
Questa la vicenda. Ma il testo teatrale, pur offrendo un plot alquanto succulento, punta soprattutto su una lingua che non disdegna le più spericolate trasgressioni e, pur levandosi tanto di cappello al cospetto di Madama Grammatica, si concede ogni sorta di licenza, altalenando da termini obsoleti a forme idiomatiche innovative per vocazione, a totale vantaggio di un interprete dalla tecnica impeccabile. Il tutto nella speranza che il conseguente spettacolo prenda le dovute (e giustamente sospirate) distanze dall’anemia perniciosa che il nostro idioma ha contratto attraverso le troppe frequentazioni con la TV, portatrice sana di una progressiva analfabetizzazione».
Per maggiori informazioni: ethnos@festivalethnos.it
(Foto: Copertina)