La Napoli dell'opulenza, dello sfarzo, dell'apparenza

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Stamattina ero alla stazione centrale di Napoli, dovevo arrivare a via Roma. Volevo prendere un pullman. Passa l’R2. Era, come al solito affollatissimo. Decido di camminare, di fare quattro passi per il Corso Umberto, il Rettifilo.
Entrando da piazza Garibaldi la prima impressione che può avere un occhio distratto di questa strada è quello della grandezza, della bellezza, dell’eleganza. Fu realizzato in età umbertina durante i lavori del cosiddetto risanamento.
Venne edificato in poco tempo secondo gli stilemi architettonici dell’epoca.
Il corso, che avrebbe dovuto rappresentare la nuova Napoli sabauda e post-risorgimentale, non rappresentò in realtà che il simbolo di una ipocrisia. Un drastico intervento urbanistico dopo lo scoppio del colera che aveva ucciso migliaia di persone.
Si dava la colpa alla conformazione urbanistica precedente, fatta di viuzze strette, poco ariose e poco assolate, in cui spesso si accalcavano, uno sull’altro, palazzoni popolari sforniti di qualsiasi conforto e servizio, dove gli abitanti vivevano in decine in appartamenti composti da una o due camere.
Tale intervento coprì le vergogne dei quartieri popolari sopravvissuti alle spalle delle facciate dei bei palazzi di nuova costruzione.
Fu un’operazione di facciata al prezzo della distruzione di tanti edifici storici di notevole qualità artistica.
Furono sventrati interi rioni e demoliti edifici, anche di grosso pregio artistico o di valore religioso, per fare posto a moderni palazzi.
Fu il primo intervento urbanistico che con la scusa di risolvere problemi urgenti ha dato via ad una grande speculazione propagandistica. Creando i presupposti per un’abitudine che poi si è perpetuata da allora fino ad oggi a Napoli: coprire il degrado senza risolvere il problema con operazioni, anche costose ma solo di facciata.
Da allora sono stati realizzati tanti grandi interventi per  far parlare, nascondendo i problemi, più che rispondere con adeguate soluzioni ai bisogni, ai sogni, ai desideri e alle aspirazioni dei napoletani.
Intanto, mentre pensavo a queste cose, arrivo a Piazza della Borsa, vedo le scale d’ingresso della nuova metropolitana. Devo percorrere solo alcune centinaia di metri per arrivare a via Roma, con la metropolitana è una sola fermata.
Decido di prendere il metrò, mi hanno detto che è bellissimo, una vera opera d’arte e di ingegneria, vale la pena una visita.
Effettivamente è straordinariamente bella: pareti lucide a mosaico, sculture, ologrammi che rimandano a forme plastiche in movimento sulle pareti, tutto è scintillante, pulito, non sembra di essere a Napoli.
Mi colpiscono i contenitori dei rifiuti, perfetti, allineati: carta, plastica, organico. Ognuno di un colore diverso.
Mentre sopra, sulla strada, quei pochi che ci sono  stracolmi, e sbordano rifiuti, qui sotto sono vuoti, tutti vuoti, sembravano mai usati tanto sono perfetti.
Ho preferito non prendere l’ascensore, per gustarmi questa meraviglia. Scendo le scale in silenzio, sono solo, in quella meravigliosa macchina colorata e perfettamente funzionante.
Solo, completamente solo.
Sento, da lontano, il rumore del treno. Mi aspettavo una fiumana di gente che doveva invadere le scale, gli ascensori. Invece niente.
Resto ancora solo in mezzo a quella meravigliosa opera d’arte e di ingegneria.
Eppure sono le 9.15 di mattina, un orario impossibile a Napoli poter prendere un mezzo pubblico di trasporto. Impossibile, perché non arrivano, impossibile perché se arrivano, i mezzi pubblici, di solito, sono stracolmi, tanto da far sentire il viaggiatore un poveraccio che si deve accontentare e sentirsi fortunato.
Il biglietto o un abbonamento in tasca, non sembrano essere titoli per potersi garantire un diritto sacrosanto, il diritto alla mobilità, ma semplicemente un titolo per avere fortuna alla fermata, a qualsiasi fermata.
Quella tratta della metropolitana tra Piazza Borsa e via Toledo sembra essere la versione tecnologica dell’idea di fine ottocento di coprire con lo sfarzo e l’opulenza i veri disservizi della città.
Due minuti arrivo a via Toledo. Risalgo le scale, ancora solo anche in quest’altra stazione, meravigliosa, un viaggio nell’acqua, nel tufo e nella luce, bellissima. Un’altra grandissima opera d’arte e di ingegneria.
Esco, dovrei percorrere ancora un po’ di strada a piedi, aspetto un pullman, lo vedo da lontano, arriva, mi sento fortunato.
È stracolmo, non posso neanche entrare, mi toccherà continuare a piedi.
Però, che meraviglia la nuova tratta della metropolitana Università -via Toledo.
Oggi farò una passeggiata a via Caracciolo a vedere la fiera del World Cup America, mi hanno detto che è uno spettacolo da non perdere.
(Foto by Daniele Pizzo)

Mario Scippa