NAPOLI – In scena al Lanificio 25 di Napoli, in piazza Enrico de Nicola, il nuovo spettacolo presentato da Muricena Teatro “Nero vs Cani”, un adattamento dell’opera di Bernard-Marie Koltès “Combat de nègre et de chiens” (1979). L’appuntamento è dall’8 al 10 giugno 2013 (sabato e lunedì alle 21 e domenica alle 20).
Nel momento in cui il giorno cede il passo alla notte, in un emblematico avamposto della “civiltà” occidentale, un cantiere francese illuminato dai fari bianchi, nel cuore nero della foresta africana, diventa scenario essenziale delle atrocità umane: una vicenda di tradimenti, denaro e avventura, una lotta interminabile tra popoli di etnie diverse, un incontro/scontro tra due mondi, uno verso l’Altro.
Quattro personaggi confinati in un cantiere-palcoscenico, vittime di un razzismo feroce, intrecciano rapporti tra crudeltà e appassionati tentativi di comprensione. Creature sperdute in un luogo del mondo per loro alieno, circondate da enigmatici guardiani. Un gioco desolante al massacro tra solitudini messe l’una contro l’altra, in una perenne lotta senza scampo. Unico spazio destinato al confronto è la scena, grado zero, spazio metaforico riservato all’immaginazione e all’incontro con la diversità, terreno per coltivarne domande possibili. Chi prenderà l’Africa? Chi la perderà per sempre? Così la parola diviene incantesimo e lingua della violenza stessa. Tutto filtra attraverso di essa, nel tentativo di farsi corpo immaginifico. La parola si trasforma in arma, che Koltès forgia con maestria fino all’estremo delle sue possibilità evocative. Al di là della recinzione poi, la grande Africa, madre sofferente, “mammella del mondo”, dove l’amore si tramuta in desiderio animale verso l’altro diverso da sé, verso lo straniero, il negro: condizione di emarginazione essenziale per discendere nel ventre caldo delle parole.
«Questo spettacolo – spiega Daniele Marino, regista e attore della pièce “Nero vs Cani” – parte dal tema dello scontro-incontro tra individui, dalla sopraffazione secolare sul continente africano, dalla fascinazione che ho provato verso questi personaggi scolpiti nella pietra, che sospesi in punta di piedi, vanno sconfitti alla ricerca di un desiderio che gli dia motivo e testimonianza dell’esistere stesso, una conferma dell’essere al mondo. Dal tentativo di comprendere la realtà e di come viene distorta dall’uomo. Come il confronto si trasforma in ferita e l’erotismo diviene possesso, violenza. Quest’adattamento, che si pone anche l’obbiettivo di essere un primo studio sull’opera più vasta di Koltès, lancia idealmente, nel campo di battaglia della scena, gli uomini e le donne di tutte le razze e la loro rabbia inascoltata. La loro incomunicabilità trova vendetta nella parola vitale dell’autore di Metz. Quasi nel tentativo di esorcizzare la violenza, disarmandola con queste parole, per lasciarla sparire alta sopra le foreste. Ascoltando l’Africa sconfinata, polmone del mondo, senza Dio, fatta di spiriti e riti tribali, ancora straordinariamente seducente».
Viene lanciata così allo spettatore un’ennesima sfida: saprà l’uomo usare le proprie “armi” contro il male che l’opprime? Accettare ancora una volta il gioco dell’illusione teatrale, del doppio? Adesso c’è solo una certezza che sembra scuoterci e scuotere i questi personaggi, quella dell’esserci, dell’essere nel proprio tempo, sempre e comunque, a discapito di tutto.