L’aereo sorvola il Mar Baltico, si avvicina alla terra ferma, si cominciano a vedere laghi e foreste, betulle, pini, abeti: il mio cuore mi dice che sono tornato a casa.
Come tornato a casa, non sei italiano? Si, è vero sono italiano ma il mio cuore sta in Finlandia.
Riparte l’aereo per un volo interno che ci porta a Rowaniemi, la capitale del nord.
Suomi, terra dei mille laghi, delle foreste infinite, delle paludi, dove c’è l’occhio della palude, cioè un foro circolare di 40/50 cm di diametro, fatto a cono in cui c’è solo acqua e se ci vai a finire dentro è un bagno assicurato.
Più di 20 anni or sono è capitato di finirci dentro ad Elena, una nostra giovane accompagnatrice, interprete finlandese: è uscita come un pulcino bagnato.
La prima volta che sono rimasto incantato dalla Finlandia avevo 30 anni.
Viaggiavo con mio fratello Tito ed i suoi amici, già stati al nord altre volte.
Siamo tutti cacciatori e le nostre prede preferite sono i tretraonidi: il gallo cedrone, il gallo forcello e la pernice bianca, che lassù viene chiamata riekko, il francolino di monte, ma non disdegniamo neppure la lepre bianca.
E naturalmente il massimo come preda è cacciare il gallo cedrone, molto difficile da abbattere per le sue prerogative di sicurezza: fugge in genere al primo avviso di vicinanza umana.
Un giorno al mese però, il giorno dopo il colmo di luna, quest’uccello sembra quasi distratto, si lascia avvicinare e questo vale anche per gli altri tetraonidi.
Pare che la luna eserciti sulla fauna uno stato d’allarme e man mano che cresce, gli animali sono sempre più nervosi.
Il giorno dopo la luna piena c’è una pausa, sono tranquilli e più avvicinabili, però non è facile capitare sempre da quelle parti nella giornata giusta, visto che la caccia a quella specie si fa solo da settembre a fine ottobre.
Arrivo a Rowaniemi, sosta di una notte all’albergo Polar: la sosta era un’abitudine per poter organizzare il giorno dopo l’incontro con la guida e l’interprete ed affittare l’auto che sarebbe servita nei giorni seguenti.
Potrei raccontare ogni momento vissuto in Lapponia.
Fortunatamente, proprio di fronte al Polar al tempo era nata una nuova agenzia, con lo scopo di portare i turisti nei dintorni in tutti i periodi dell’anno.
Conosciuto il giovane proprietario Matti Saari e la sua giovane fidanzata Kaisa Siren che fortuna nostra sapeva parlare italiano, siamo entrati subito in rapporto amichevole con loro.
È così nata un’amicizia che a tutt’ oggi è salda, pur senza vederci spesso.
Ci sentiamo solo per telefono, magari per gli auguri di Natale, ed è come se ci fossimo lasciati il giorno prima.
Ma torniamo all’arrivo in agenzia.
Fatto un programma si parte per la zona di caccia situata nei pressi di Kuusamo, cittadina che si trova una trentina di chilometri fuori città.
In riva ad uno dei mille e più laghi c’è la casa che da allora affittiamo per pochi giorni, una casa vacanza che tutti vorremmo avere: è fatta con tronchi di legno lavorati a blok-house, con doppi serramenti, senza balconi ma con pesanti tende, piccola e molto accogliente.
In centro da il benvenuto un bel camino acceso per riscaldarci, e attorno ad esso si sviluppa il soggiorno e la piccola ma funzionale cucinotta.
Vicino alla finestra più grande sta un bel comodo divano-letto, destinato al mio amico Jussi Tiitola, lappone purosangue, un uomo tutto d’un pezzo, preziosa guida e amico sincero: lui non parla italiano ma solo sa qualche parola d’inglese; io parlo solo la mia lingua, l’italiano, eppure ci capiamo perfettamente, ci comprendiamo a gesti, a monosillabi, con uno sguardo come e più se fossimo fratelli.
La caccia.
L’indomani al nostro arrivo, di mattino presto, c’incamminiamo, mio figlio Umberto, mia moglie Stella, Jussi ed io.
Armati di fucili e cartucce c’inoltriamo nella verde foresta di abeti e betulle.
Ogni mattina è una nuova avventura, si cambia zona, poiché basta andare ad ovest un giorno e il dì seguente a nord e così via: il territorio è così vasto che si cammina tutto il giorno senza quasi mai incontrare né villaggi, né baite, né persone sulle strade larghe e sterrate, bianche e dritte per chilometri.
Non passa un’auto per giorni e, anche se fosse, la si sente da lontano e la si evita.
Perché strade bianche? Perché si fa caccia in quel posto?
Dopo tanti anni di caccia ho imparato che i tetraonidi amano mangiare i sassolini delle strade, fatti di carbonato di calcio, sostanza indispensabile per la loro costituzione, e quindi il cedrone, il forcello e la pernice passano le prime ore del giorno ai margini delle strade, dove trovano cibo abbondante, vermicelli, insetti, germogli e si fanno letteralmente il bagno a secco nella sabbia, strofinando per bene le penne.
Camminando entro nei primi trenta metri dal ciglio stradale dove è molto facile imbattersi in qualche animale della foresta, molto più spesso che all’interno della stessa.
Vi sono pure zone dove gli alberi sono stati abbattuti e quindi il terreno arato con grandi trattori ad una profondità di quasi un metro e la terra offre un vastissimo e fertile nuovo pascolo.
Soprattutto la pernice artica in questi territori è molto difficile da cacciare in quanto è tutto un salire e uno scendere su terra, radici, sabbia.
Non sempre vi è abbondanza di fauna, nemmeno nella sconfinata tundra finlandese.
La natura fa la differenza ogni anno: se il tempo nel periodo della schiusa delle uova è clemente nascono molti piccoli, di tutte le specie.
Se il clima in quel periodo è freddo, piove o addirittura nevica, si blocca la rinascita degli animali: niente mirtilli, fiori, bacche e soprattutto nel periodo da fine maggio ai primi di giugno, niente zanzare e mosche, cibo proteico indispensabile allo sviluppo dei piccoli nuovi nati.
Tutto si ferma e muore, allora.
L’autunno è quasi un deserto di selvaggina, solo pochi individui vecchi che scappano al primo passo; carniere scarso.
Rimane però sempre l’emozione del paesaggio, laghi, paludi, boschi … le albe ed i tramonti indescrivibili, spettacolari, l’incontro furtivo con un’alce che scappa, i piccoli gruppi di renne, col klic-klac degli zoccoli, che brucano i licheni e molto schive si allontanano.
A mezzogiorno ci si ferma per una frugale colazione.
Jussi prende dal suo zaino fatto di pelle di renna che avrà più o meno 50 anni il pane, il formaggio, i würstel, ma soprattutto, nera di fuliggine, la teiera per il caffè.
Al più vicino rivolo d’acqua la riempie, fissa un ramo secco nel terreno a supporto, raccoglie un po’ di legna, che naturalmente non manca mai, ed usando la corteccia fresca di una betulla, adattissima allo scopo, accende un bel falò sul quale si abbrustoliscono würstel e bistecche di renna, sostenute sempre dal solito ramo secco che lui riesce a fissare in modo sicuro ed utile allo scopo.
In quei momenti il caffè è il più buono che si possa sorbire, il gusto della carne, del pane è fantastico.
L’acqua, che qualcuno magari dice non è pura, in Finlandia nella foresta ha un sapore fresco e leggero, ne berresti a litri.
Il ricordo di quelle colazioni in mezzo alla foresta, al silenzio, al klic-klac delle renne che a volte ci passavano vicino, mi accompagna sempre.
A sera si rientra a casa; una buona bevuta di birra finlandese, che va giù a fiumi, soddisfatti dopo una giornata di cammino, sospeso letteralmente sopra un tappeto di mirtilli neri e rossi, di bacche di palude … si ha la sensazione di passeggiare su un morbido cuscino … ed ogni tanto, ma non spesso, si prende una manciata di mirtilli per rinfrancarci: mani nere, violette e un buon sapore in bocca.
Il panorama varia continuamente: dalla fitta foresta di abeti, pini e betulle, si passa alla distesa senz’alberi, completamente arata ed immediatamente rimboscata, alla palude,al margine di un’infinita strada bianca, poi al lago che si deve costeggiare per lunghi tratti, con un cielo che va dall’azzurro più puro al grigio delle nubi, che sembra di toccare allungando una mano.
Spesso c’è una pioggerellina che cade leggera, leggera o il tramonto del sole con mille riflessi di infiniti colori.
Il crepuscolo poi dura fino a tardi.
E che dire quando a volte la sera fa già buio e la volta celeste è tersa, incomincia il freddo e in cielo c’è uno spettacolo inimmaginabile: l’aurora boreale con le sue varianti continue in lampi di luce colorati, è un gioco celeste di mille arcobaleni.
I finlandesi chiamano l’aurora boreale ravuntoli; mia moglie invece dice di immaginare tante fanciulle danzanti.
È uno spettacolo veramente affascinante.
La sauna è d’obbligo in quei giorni, poi ci si sente risollevati, in pace col mondo e con se stessi.
Se poi capita che quando esci dalla sauna e stai per prendere il secchio dell’acqua da trenta litri, attinto poco prima dal lago, e te lo stai versando addosso per la famosa reazione … in realtà ci si dovrebbe immergere direttamente nel lago … capita di sentire un rugliare prolungato: bene, può essere un orso!
L’ultima sera di quell’anno dalla parte opposta del lago si è fatto sentire questo richiamo forte nella foresta.
Quando Jussi mi ha avvertito che era il verso di un orso, ho cominciato a rispondergli a tono e così siamo andati avanti per più di mezz’ora a forza di urla prolungate mie e sue, botta e risposta, finchè non è scesa la notte.
Per il pensiero che l’orso potesse avventurarsi dalle nostre parti, richiamato dall’odore della selvaggina appesa all’interno del tepee, classica costruzione lappone in legno, dove ci si ristora e si cuoce il pesce pescato con le nasse nel lago, in un fornello costruito all’uopo.
Sapendo che quest’animale ha un fiuto finissimo abbiamo preparato i fucili nell’eventualità di una sua sgradita visita.
Fortunatamente non si è fatto vivo, ma non abbiamo dormito molto tranquillamente quella notte.
Mi raccontava Jussi che tanto tempo addietro, quando ancora esistevano branchi di renne selvatiche non ancora marchiate, lui ed il suo amico Pavo, grande cacciatore di lupi ed orsi, durante una battuta di caccia alla renna ne avevano abbattute due e si erano poi fermati per fare un piccolo spuntino.
Lasciate renne e fucili vicino al fuoco acceso, si sono allontanati per pochi passi al ruscello vicino per attingere l’acqua per il caffè.
Dal fitto della foresta è uscito un orso bruno, probabilmente li seguiva da tempo, e senza batter ciglio ha preso sotto ciascuna zampa anteriore una renna e se le è portate via ballonzolando tranquillamente, lasciandoli a bocca aperta.
Che sia realtà o favola non posso asserirlo: così Jussi me l’ha raccontata e così la racconto io.
Lui è un lappone vero, sincero e non racconta né storie, né favole, a parte un episodio che voglio narrare.
Un pomeriggio, durante un’altra battuta di caccia, era il primo anno che lo conoscevo, ho sparato ad una lepre, ferendola purtroppo.
L’abbiamo persa e lui mi ha detto che non importava, perché era buona cosa che rimanesse nella foresta dove i “folletti” potevano cibarsi con la sua carne.
Pavo, amico di Jussi, l’uomo dei lupi e degli orsi, una sera ci ha ospitati presso la sua casa che naturalmente si trovava isolata in mezzo alla foresta, circondata però da un grande prato.
Erano tre giorni che i miei amici, Piero, Sergio, Jussi ed io non ci lavavamo.
Cortesemente il sig. Pavo ci ha preparato una sauna fantastica, confortevole, e rami di betulla per poterci massaggiare e darci sollievo.
Ad accoglierci al nostro arrivo fuori dalla sauna c’era una giovane e piccola renna femmina, così graziosa che Sergio e la renna “s’innamorarono” … si fa per dire … l’uno dell’altra.
Lui l’accarezzava facendole tante coccole e lei lo seguiva fin sulla porta della sauna, aspettandolo poi all’uscita.
Da allora, ogni qual volta ci si ritrova anche con zio Piero, si ricorda il fatto e lo si prende un po’ in giro.
Pavo, il padrone di casa, non il vecchio Pavo Locca, bensì l’altro piccolo e grassoccio, non aveva paura di nulla e dava la caccia all’orso quando era in letargo, dentro le caverne in inverno, entrando nella tana per abbatterlo e urlando: «Orso dove sei?»; cacciava anche il lupo finlandese molto più grande di quello italiano.
In soggiorno, accanto alla sedia a dondolo della moglie che tranquillamente lavorava a maglia, faceva bella mostra un lupo grigio-nero imbalsamato, che faceva paura anche a noi al solo vederlo.
La testa era molto grossa, con mandibole eccezionali da far spavento, e la posa del corpo era aggressiva con le zampe anteriori più in alto di quelle posteriori, dava un senso di potenza selvaggia
Fuori appese ad un filo ad asciugare vi erano pelli di lupo, volpe ed altri animali del nord.
Ricordo il tragitto dalla nostra capanna di soggiorno denominata slivoviz alla casa di Pavo.
Un viaggio durato più di un’ora a bordo di una vecchia jeep senza più ammortizzatori su di una strada bianca disseminata di buche e di ponti su fiumiciattoli.
Lo zio Piero sussultava sul sedile posteriore dell’auto ad ogni buca, sbattendo continuamente la testa sul tettuccio ma, tosto e cocciuto, non si abbassava neanche a pagarlo.
Credo che il ricordo di quel viaggio gli faccia dolere ancora la testa ed il sedere da tanti salti e cornate che ha avuto.
Quei cinque giorni trascorsi a slivoviz sono sempre presenti nella mia mente.
Mangiando come lupi siamo riusciti a perdere quasi cinque chili a testa e spiego perché: il
merito è delle difficoltà sostenute nel vivere in quattro persone in otto metri quadrati, qual era la superficie della capanna.
Era costruita su palafitta, situata in mezzo alla foresta, nel fitto per non essere notata, e per entrarvi bisognava salire cinque gradini. Era costruita con pannelli di faesite da 4 millimetri, con un tetto di lamiera e un pavimento di tavole d’abete.
Se uno si alzava gli altri dovevano sedersi: non c’era posto, era piccola, metri 4 x 2 scarsi.
Per dormire vi era un tavolaccio rialzato da terra con stese pelli di renna per materasso, posto per tre persone.
Jussi dormiva su una panchina di legno larga nemmeno 50 centimetrie lunga due metri, posta all’entrata.
Il tavolo per mangiare da 60 x 60 si trovava sotto una piccola finestra; per cucinare e riscaldarci usavamo una stufa, ricavata da un mezzo bidone del petrolio con sopra una lastra di ghisa atta ad appoggiare le pentole.
Si mettevano a bruciare mezzi tronchi di betulla o pino recuperati da piante morte nella foresta.
Una volta accesa il caldo era tremendo ma appena si spegneva il fuoco, verso mezzanotte si doveva chiudere oltre la porta anche una piccola apertura da cm 7 x 15, all’altezza del tavolaccio per dormire, altrimenti ci si gelava.
Alle tre di mattina bisognava riaccendere il fuoco e così via.
L’acqua corrente veniva fornita da un piccolo ruscello vicino e non dico quant’era bello lavarsi al mattino con quella fresca e gelida acqua.
Per toilette c’era tutta la foresta, ma sempre attrezzati col fucile, detto kivari.
Ricordo una notte chiarissima quando Jussi ed io siamo usciti armati di fucile, sperando di poter cacciare qualche tetraonide talmente la notte era lucente.
Alle 24 è apparso in cielo un disco dorato: il sole a mezzanotte: si era già a fine settembre.
Rivivo vivamente quei giorni, trascorsi intensamente, e le pernici artiche che abbiamo cacciato.
Una sera, erano circa le 20, eravamo già coricati per la notte, la porta ancora aperta per il gran caldo quando sentiamo bussare alla parete della baracca.
Con grande sorpresa, perché in realtà pensavamo di essere soli in quel posto, si presentò un signore finlandese.
Faceva parte di una compagnia di cacciatori, ospitati nelle dacie costruite per il raduno delle renne in prossimità del grandissimo recinto, dove in autunno tutti gli animali di proprietà del sig. Pavo Locca, proprietario di quei terreni, venivano marchiati, radunati o macellati.
C’invitò ad unirci a loro per bere un tè.
Accettammo volentieri l’invito e giù dal letto … tanto si dormiva vestiti.
Messi gli scarponi, ci siamo avviati alla dacia del ritrovo; dentro c’erano circa quindici uomini che fatte le dovute presentazioni cortesemente ci offrirono il tè bollente.
Al primo sorso ci si accorse che era un po’ alcolico: una parte di tè e due parti di rhum a 60°.
E via un’altra tazza ma alla fine, dopo qualche, chiacchiera a cenni visto l’incompatibilità della lingua, salutammo ringraziando, accettando il loro invito per il mattino seguente per cacciare l’orso.
Erano attrezzati e accompagnati con cani da orso.
Alle sei e mezza del mattino ci presentiamo alla dacia: lo spettacolo che sì e presentato era molto colorito.
Tutti ubriachi, ancora svegli dalla sera prima e ancora bevendo tè e rhum con allegria.
Ovviamente abbiamo salutato e ripreso la nostra strada nella foresta.
Pavo Loca.
Quel signore viveva alla bell’età di quasi ottant’anni da solo in mezzo alla foresta.
La sua casa era composta da un’unica stanza costruita in pietra e legno, per pavimento terra battuta, un camino di pietra grezza per riscaldarsi, un tavolaccio di legno e pelli di renna per giaciglio, una madia per dispensa ed una piccola tavola e due sedie.
Fuori sotto una tettoia era riparata una motoslitta per l’inverno e quando voleva andare in città chiamava via radio l’aereo.
Era proprietario di una zona immensa con un lago grandissimo che portava il suo nome.
Il recinto per il raduno delle mandrie di renne era talmente vasto che per non perdere tempo ad aggirarlo per andare a caccia in quella zona abbiamo preferito salire la staccionata ed attraversarlo.
Ci ha raccontato che, al tempo della guerra tra Finlandia e Russia, una sera d’inverno, di rientro dal suo reparto per una licenza a casa nei pressi del suo villaggio, sentì il richiamo della civetta.
Abituato da lappone ai suoni della foresta subito ragionò: ”E’ inverno, la civetta non c’è”.
Capì al volo che si trattava di un’imboscata.
In realtà il suo villaggio era stato attaccato da una pattuglia russa, raso al suolo e ammazzati tutti gli abitanti.
Messosi in allarme e capito la gravità del momento, si è messo alla caccia dei soldati ed uno ad uno li ha abbattuti tutti.
Era un grande vecchio, rimasto attaccato ai tempi difficili della sua gioventù.
Sono trascorsi ormai più di vent’anni da quando l’ho conosciuto ma non lo dimentico.
(Foto: web)
Gilberto Frigo, l’uomo del Nord