L'anarchia dell’Invalsi


Una volta si diceva degli anarchici che erano contro lo stato e in effetti lo erano, soprattutto contro uno certo tipo di stato che era molto meno garantista di quelli odierni e occidentali.
Poi, quest’immagine ha incominciato a prendere una sua aura più romantica e, se si eccettuano gli sporadici salti dai balconi delle questure durante gli anni di piombo, si è sentito parlare di anarchici solo quando i giornalisti, quelli dalla memoria e la cultura labile, li hanno confusi con i casseur e i black blocker, giusto per trovare un esempio più vicino ai neologismi d’oltralpe e d’oltremanica.
Una volta di più con precipua necessità di ridurre tutto a una parola minima e altisonante ma che ti dica, contemporaneamente tutto e nulla su quanto ci accade attorno.
Oggi però si ha l’impressione che l’anarchia, intesa come antistato, si sia insinuata fino ai vertici del potere, in quelli più alti degli ultimi governi. Non parliamo ovviamente dei bombaroli di Émile Zola: quelli cui facciamo cenno le bombe tutt’al più le buttano sugli afgani e sugli iracheni, nelle loro ipocrite missioni di pace.
Facciamo quindi riferimento a tutti coloro che hanno deciso di smantellare in virtù dell’economia e soprattutto di un opportunistico liberismo tutto quel poco di stato sociale che rimaneva in Italia.
In primis ci è sembrato che ad attuare questa tattica sia stato proprio una certa politica ben avvantaggiata da un certo tipo di socialismo anni ‘80, quello che incominciava a muovere i primi passi contro la magistratura.
Con i suoi vari ed eventuali governi – e l’eventualità sta giusto nell’atto di governare, azione opzionale nella logica liberista e qualunquista – con questa politica si è perpetrata un’inesorabile strategia della diffamazione verso tutto ciò che era pubblico, ad esclusione ovviamente di ministri, parlamentari e affini, i quali, anche se pubblici funzionari, si guardavano bene dal fare autocritica e scrollarsi di dosso la sacra aura dell’investitura elettorale.
Se una persona qualsiasi parlasse male della propria famiglia molti storcerebbero il naso, la si guarderebbe con sospetto, perché si sa la famiglia è sacra  … e forse anche per questo la mafia impera in questo Paese, ma questa è forse un’altra storia.
Parimenti, difficilmente si sentirebbe parlar male del proprio gruppo d’appartenenza, sia esso politico, lavorativo e addirittura calcistico, e si sa che il nostro è un Paese corporativista  … e forse ancora per questo mafia e camorra imperano lungo lo Stivale.
Ma la cosa che più ci tocca e francamente ci indigna, è l’anarchica tendenza antistatalista che è esistita e crediamo esista ancora tra le compagini pseudo governative che negli ultimi anni si sono succedute tra gli scanni romani.
Questa tendenza a sacrificare tutto ciò che statale sembra, non ha certo visto solo il centrodestra quale paladino della lotta ma anche folte schiere di sinistrorsi o sedicenti tali che hanno semplicemente sfruttato le brecce aperte dai loro colleghi destrorsi per fare, come per necessità virtù, i loro porci comodi.
Il primo atto di questo lento e inesorabile furto, un furto di diritti, fortemente avallato anche da diversi personaggi, ha permesso l’equiparazione della scuola pubblica statale a quella papalina e privata, creando una fucina di ignoranza e disuguaglianza, dando parità ai diplomifici d’ogni risma e d’ogni dove.
Poi è giunto qualcuno che ha cavalcato la tigre del qualunquismo e dell’ignoranza e ha deciso che gli statali si ammalavano troppo e così ha decurtato loro lo stipendio in quei giorni che s’ammalavano finché è arrivata la mannaia statistica dell’Invalsi, che ha sancito che gli insegnanti dallo stato formati e dallo stato selezionati non andavano più bene e che avrebbero dovuto essere valutati nel loro lavoro da enti terzi e in maniera freddamente statistica, senza quelle sfumature caratteristiche dell’arte  … quando questa merita tale epiteto … dell’insegnamento.
Perché non rendere degni, quali in genere già lo sono i pubblici concorsi, che per quanto strumento imperfetto rimane quello più democratico, giusto e disponibile per selezionare il personale lavorativo?
Invece no! Per accontentare l’idea borghese di una scuola fannullona e di classe, si è creato l’Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) e le sue assurde prove tese a valutare freddamente con la logica del test, come si faceva una volta sulla spiaggia per passare il tempo o molto più incisivamente si vedeva nei film americani.
Così, come due più due fa quattro in maniera algida si decide della vita scolastica e professionale di chi concretamente vive la scuola, alunni e docenti.
In effetti il test in sé non conosce sfumature, non sa decifrare quelle variabili talvolta impercettibili che caratterizzano l’apprendimento.
Il signor Invalsi purtroppo non sta lì fino a 6 ore al giorno se non di più per 3 o 5 anni a seguire l’evoluzione di un ragazzo, non patisce le sue emozioni, non lo segue nei suoi passi, non dialoga con i genitori, non guarda in faccia coloro che sono l’oggetto della sua statistica.
Come può quindi pretendere di valutare l’operato di un docente e l’impegno o il rendimento di un alunno, inficiandone spesso carriera e curriculum?
Semplice, lo scopo è quello di tagliare, di sottrarre i fondi là dove i freddi test indicano uno scarso rendimento, creando così scuole dal differente valore, dove esisteranno classi ghetto in alcune e classi modello in altre, annientando quella meravigliosa idea di scuola pubblica e statale che i nostri padri costituenti avevano immaginato dopo il delirio bellico.
Certo la nostra scuola perfetta non lo è stata mai, ma cosa lo è in questo nostro Paese.
Alla scuola – è questo è lo specchio dell’azione denigratoria e opportunistica attuata dai gruppi di potere – le si è affidato un compito immane ed è quello di risolvere i problemi morali e pratici dell’Italia, ma senza armi o con armi spuntate.
Ma non è questo il suo compito, perché la scuola è una parte di un tutto, è l’ingranaggio che funziona bene solo quando gli altri vanno all’unisono è quindi specchio della nostra realtà sociale non un suo male: non le si potrà recriminare più del dovuto perché la scuola non potrà sostituirsi alla famiglia o alle altre istituzioni.
Purtroppo è risaputo che il prodotto di chi insegna non è quantificabile nel breve periodo, non lo puoi porre su una bilancia e valutarne peso e valore: lo studio e l’insegnamento sono come il sole che sorge e tramonta ogni giorno.
Non lo puoi toccare non lo puoi pesare.
Anzi se lo guardi troppo ti fa anche male perché la verità del sapere, spesso, a molti, fa male.
Ma è indubbio che senza la  presenza del sole non esisterebbe il mondo perché nessuno lo riscalderebbe.
(Foto: web)

Ciro Teodonno