Il Sgt Dillard Johnson (foto), un Gi-Joe, un soldato del 7mo Cavalleria, proprio quello del Generale Custer, dell’US Army, ha posto fine alla vita di ben 2746 iracheni, durante la sciagurata II Guerra del Golfo(18.03.2003-19.12.2011).
Guerra sanguinosa e inutile,che si è conclusa con la sconfitta degli USA, che si sono dovuti ritirare del tutto, nonostante i 35mila morti irakeni accreditati e tutte le sofferenze connesse; e i quasi 5mila morti della coalizione invasora: di cui 4484 americani e tra cui anche i nostri 33.
Lì dal marzo 2003 era attivo il nostro Sergente: un killer freddo e spietato, che girava con un micidiale “Bradley”, un veicolo leggero armato di cannoncini da 35mm, super precisi, e che lui aveva imparato a far diventare esatti come dei fucili: questo veicolo , egli lo chiamava, con un misto di affetto e di orgoglio, “Il Carnivoro”, e questo nomignolo spesso “copriva” anche lui.
E comunque aveva imparato a tirare anche col fucile di precisione. Era un killer seriale: ma autorizzato.
Anzi: ha avuto menzioni, incoraggiamenti e gratifiche. Teneva di tutti questi morti, con un mozzicone di matita su un taccuino, una precisa contabilità,il body count, quasi maniacale, lui che a stento sapeva leggere. Di cui faceva diligente e sistematico rapporto ai superiori compiaciuti.
Segnava con la stessa bramosa e bavosa, sordida pignoleria con cui l’usuraio tiene conto dei suoi crediti anche minimi; desideroso di essere sempre “più ricco” delle morti altrui.
Ma anche lui dorme. Non vorrebbe farlo, perché ha paura. Ma il sonno viene, nel suo letto sotto la finestra, nella sua “casa nella prateria”: anche se “di prateria” ce n’è ben poca, per lo più è un paesotto sperduto nel nulla, tra strade statali e grandi campi coltivati, del Kentucky, dove vive ed è sempre vissuto.
Prima, anche subito dopo il ritorno dall’Inferno, lui dormiva bene. Ma è negli ultimi tempi che il sonno non viene. e non sa perché.
O quando viene è contorto, animato da esseri mostruosi.
Che cosa sta cambiando? Non lo sa e questo lo spaventa, perché avverte che è un qualche nemico che si tiene nascosto, che è in agguato.
Che non gli sta di fronte, come si immagina che sarebbe nei vasti spazi della prateria dei racconti: con i bisonti , gli indiani, i cacciatori di scalpi, tutti in movimento davanti a lui.
A lui piace immaginarla la prateria: perché gli narravano le storie del West e i suoi eroi: quelli che scalpavano gli indiani Shawnees.
Come il vero Nathanael Boone, detto “Occhio di Falco”, non quello romantizzato da J.Fenimore Cooper in “L’Ultimo dei Mohicani”.
Ma ciò che era realmente: un killer come lui, ma di Indiani.
Libro che lui non si è mai sognato di leggere, nemmeno a scuola: in barba a ciò che volevano i suoi fottuti insegnanti …
È un po’ di tempo che sta prendendo delle pillole: lui come veterano ha accesso a questo tipo di farmaci.
Ma stavolta il suo sonno è animato …
Vede dapprima degli orientali, degli arabi, ma con divise da soldati, che si avvicinano senza fretta, come rassegnati.
Li conta: uno … due … tre … dieci … quindici: ma li riconosce, con un sussulto, pur nel sonno.
Sono le prime vittime da lui beccate con quella “gioia” di cannoncino-mitragliatore.
Procedono lentamente, perché furono tutti colpiti da proiettili trancianti: vede ossa spezzate, bracci mancanti,brandelli di carne penzolare, bava di sangue uscire dalle bocche, alcune delle quali spalancate del tutto; qualcuno che cammina appoggiandosi alla sua gamba, che tiene in mano …
Ma questa situazione da cartone animato non lo fa ridere, gli incute terrore: «Che vogliono da me?», pensa sbigottito da questo lento ma sicuro eimplacabile incedere verso di lui …
Mentre egli non può muoversi: è come paralizzato.
E non parlano, non dicono nulla, non emettono gemiti, urla: procedono inesorabilmente verso di lui …
«Ma non dovevano essere sedici? », perché si ricordava distintamente che questa era la cifra dei nemici “neutralizzati” della sua prima uscita, come li chiamarono gli ufficiali, e c’era anche un Colonnello, quando lo encomiarono per la sua “efficacia di fuoco” e “professionalità”.
Ma – si ricorda perfettamente-, a lui non interessavano per nulla quelle parole:anzi non le sentì nemmeno.
Lui li schifava quasi con violenza quei “fighetti” in divisa.
A lui, invece, viene violentemente in mente che proprio allora, in quel preciso istante, si sentì inebriato!
Sì, poteva farlo! Questa era la verità che lo assaliva e lo rendeva invincibile, unico.
Poteva ammazzare la gente, che i suoi Capi definivano “i nemici”: gente che lui non aveva mai visto: ora poteva liquidarli, dal primo all’ultimo.
Senza pietà o nessun limite: anzi, questo volevano che facesse. Tutti, ufficiali, cappellani, i giornalisti dei media filogovernativi, gli dicevano che era giusto e patriottico; che – addirittura! -lo chiamavano eroe!.
«E, perdìo, l’avrebbe fatto! », e così, quasi gridando si riscosse da questo trance nello stesso sogno …
E si accorse che si era avvicinato il sedicesimo: un soldatino, un ragazzino quasi, che dopo il primo impatto coi proiettili era ancora vivo: rantolava, e che lui finì con un colpo di beretta.
Allora gli sembrò che il volto non gli era rimasto impresso: ma ora vedeva che era giovanissimo. Gli aveva sparato alla testa: che infatti per metà mancava di cranio e di faccia: la bocca era quasi intatta, e lo fissava con quella parte di volto che gli era rimasta.
E anche gli altri lo guardavano con un qualche interesse: ma di che natura fosse, non si capiva.
Il suo sguardo, ma anche quello di tutti gli altri, era calmo: non emanava scintille d’odio e o di vendetta.
Sembravano tutti come remissivi, di fronte agli eventi accaduti e le loro morti.
E questo lo rendeva ancora più inquieto. Sentì la bocca del soldatino ansimare: capì che stava emettendo dei suoni, delle parole.
Incongruentemente parlava in un inglese stentato ma chiaro.
E con una voce che sembrava venire da lontane caverne, gli disse: «Come vedi siamo tornati …»
Lui non capiva; ma era impressionato da questo modo di parlare.
Allora, dopo, ogni singola esecuzione, tornava quasi nell’apatia e nell’indifferenza: solo la caccia lo faceva sentire vivo.
«E che vuoi dire?», rispose quasi gridando a quei fantasmi.
«Niente», disse e in silenzio, come ad un unico muto comando, gli voltarono le spalle e come ombre della sera tornarono indietro, fino a scomparire.
Dillard si svegliò posseduto da un’angoscia impotente, senza nome, profonda, totale.
Dopo qualche giorno scoprì che lui era affetto dal linfoma di Hodgkins, contratto nell’aver maneggiato i proiettili in cui c’era l’uranio arricchito a renderli ancora più micidiali.
Ha scritto il libro “Il Cannibale” che parla della sua esperienza in Iraq.
(Foto: web)
Francesco “Ciccio” Capozzi