La Tv araba “Al Jazeera”, allocata a Doha, nel Qatar, aprirà una sua sede a New York.
Farà strano che la più influente delle televisioni in lingua araba, la più autorevole, quella che più si avvicina agli standard di giornalismo comunemente accettati in occidente, cioè autonomia, indipendenza, verifica delle fonti, ma pur sempre araba, aprirà una sua sede proprio nel cuore di Manhattan: la stessa dell’attentato delle Torri Gemelle del 2001.
Non a caso il proprietario dell’immobile ha imposto che dall’esterno risultassero con molta discrezione la dicitura, e il logo universalmente noto. Ma è un’operazione di portata strategica.
Lo stato del Qatar è uno di quegli Emirati posti nell’estremo sud orientale della penisola arabica che letteralmente galleggia sul petrolio ed è ricchissimo anche di gas naturali.
Il suo padrone appartiene alla dinastia degli al Thani, lo sceicco Hammadibn Khalifa, ed è in procinto di abdicare per il figlio Tamin. Sovrano assoluto, ma con una moglie, Mozahbint Nasser al Missned, di grande spessore culturale e carisma personale,aveva deciso da tempo di dare una scossa alla sonnolenta vita sua e del suo Principato, facendolo diventare una delle più attive presenze del mondo arabo.
Giustamente avrà ritenuto che non è mantenendo un profilo basso che ci salva dai sommovimenti della storia. E proprio per evitare il contagio di quella messa in discussione collettiva dei regimi arabi, lo Sceicco al Thani le ha prevenute, elargendo molte concessioni economiche, facendo divenire i suoi abitanti tra i più ricchi del pianeta.
Ha modernizzato e ampliato la capitale Doha, dotandola di edifici faraonici progettati dalle più grandi archi-star, come Leoh Ming Pei, creando posti di lavoro, possibilità quasi illimitate di crescita economica.
Ma soprattutto ha fatto diventare il suo Emirato un diretto concorrente dell’Arabia Saudita nell’aiutare i vari insorti, in particolare quelli combattenti “in nome dell’Islam” contro i regimi laici della regione: in particolare oggi in Siriae prima in Egitto.
E ha incominciato con Al Jazeera Arabic, fondandola nel 1996: una televisione sul tipo di CNN, all news 24h su 24. Un’iniziativa riuscita. Oggi è vista da 260 milioni di spettatori in 130 paesi in tutto il mondo e dal 2006 ha un’edizione in lingua inglese. È la tv che ha seguito quasi in loco e fin dall’inizio le vicende delle cosiddette “Primavere Arabe”.
Come prima è stata la bestia nera di Rumsfeld e gli altri super falchi dell’epoca Bush ‘o piccirillo, perché osservava impietosamente e chiaramente quasi dall’interno il progressivo disfacimento e disfatta della velleitaria e sanguinosa politica militare USA in Iraq dal 2003.
In USA ha rilevato per 500 mln di dollari i 50 milioni di spettatori di Current Tv, fondata da Al Gore; ne ha incrementato impianti e rafforzato le redazioni, assumendo 400 nuovi giornalisti: il totale sarà di quasi 1000.
Insomma uno sforzo indiscutibilmente serio e di vasta portata: a dirigerlo una donna, Kate O’Brian, di rilevante esperienza e elevata professionalità, che viene da ABC News, di cui era un’alta dirigente.
Ovvero: nessuno stereotipo di arretratezza culturale, ma un’impeccabile operazione imprenditoriale adeguata ai complessi ed estremamente concorrenziali contesti in cui è chiamata a realizzarsi nell’ambito comunicazionale.
Con quali fini? E qui la questione si complica. La Qatar Foundation, la finanziaria che è proprietaria della tv, non ha problemi di liquidità: quindi non le interessano né il ritorno economico o i profitti. È presente anche nel cinema col Doha Film Institut, e ha coprodotto diversi film, alcuni giunti anche da noi: i più interessanti e decisamente fuori dalle righe sono stati “E ora dove andiamo” della libanese Nadine Labaki e “Il fondamentalista riluttante” della regista indiana Mira Nair.
Del resto i bilanci della tv non sono noti. Ma, a detta di osservatori, si tratta di operazioni di penetrazione strategica della politica del Qatar, uno strumento di soft power.
Notoriamente tutti gli Emirati del Golfo e la stessa monarchia saudita “giocano su più tavoli”. Da una parte l’ottemperanza formale alle leggi dell’Islam, e perfino la Sharija, i codici non solo comportamentali ma giuridici desunti dal Corano; dall’altra lo stare con l’occidente, in particolare con gli USA e, in modi più coperti, perfino con l’arcinemico Israele; nonché la compartecipazione ai destini finanziari del mondo intero.
Da una parte, prima, come in Egitto, il sostegno ai “Fratelli Musulmani”, dall’altra, in una seconda fase, l’appoggio all’esercito e ad al Sissi, il suo comandante in capo, per ripristinare “l’ordine”.
Sono politiche molto sfaccettate, che prevedono diverse sottocombinazioni: le più rilevanti riguardano il timore dell’Iran, che ha una collocazione religioso-geopolitica molto diversa dalla loro,e della sua penetrazione. L’operazione tv deve servire a rappresentare le esigenze di conservazione rispetto all’ordine esistente per co-garantire che i conflitti regionali restino, con cinico eufemismo, “a bassa intensità”.
Perché se oltrepassano una data soglia, il punto di non ritorno può essere rischioso per tutti. Come per la Siria. Fino a che la guerra resta confinata lì, i proventi del caro-petrolio, cui si sta assistendo attualmente causa sua, superano abbondantemente i costi dell’intervento a fianco dei ribelli antigovernativi, foraggiati da Doha.
Ma se interviene l’America, rischia di saltare tutto, in un maledetto e complicato gioco di ritorsioni e controritorsioni.
Francesco “Ciccio” Capozzi