Siamo nell’aprile del 1860, con un’Italia geografica e politica divisa in vari Stati.
Il Regno di Sardegna, con Piemonte, Liguria, Val d’Aosta e naturalmente Sardegna comincia una politica di espansione; nel 1859 era stato accresciuto con la Lombardia vinta militarmente all’Austria e nel marzo 1860 con Toscana, ed Emilia Romagna attraverso plebisciti annessionistici volontari delle locali popolazioni dell’ex Granducato di Toscana, dell’ex Governatorato Pontificio di Romagna e degli ex ducati indipendenti di Modena e di Parma.
Il Regno di Sardegna, forte di un esercito di 50mila militari di linea, di 10mila volontari coscritti in Lombardia e di altri 30mila tra toscani, emiliani, romagnoli; ad aprile 1860 con le nuove leve aveva portato le sue truppe a 90mila unità.
Lo stato pontificio contava invece Lazio, Umbria e Marche con 17mila soldati; l’Impero austriaco schierava sotto le sue bandiere nei territori veneti, friulani e trentini 120mila imperiali di linea stranieri e 80mila italiani più una poderosa squadra navale da guerra nel Veneto, mentre la flotta piemontese poteva contrapporre una flotta abbastanza modesta, ma ben armata.
Il Regno delle Due Sicilie sorto nel 1734 con i Borbone, dinastia nazionalista e indipendente – sebbene di origine spagnola -, contava Campania, Basilicata, Abruzzi, Molise, Calabria, Sicilia, Puglia, il distretto di Gaeta fino al confine pontificio.
Poteva schierare un esercito nazionale con ufficiali formati alla celebre Accademia Militare della Nunziatella di Napoli, fondata nel 1772; insieme alle truppe effettive aveva a disposizione contigenti volontari,di leva nazionali e poche migliaia di mercenari per un totale 160mila unità.
Dopo lo scoppio della rivoluzione siciliana furono inoltre richiamati 53mila congedati della riserva.
Nel 1860 l’esercito duosiciliano, ben formato, fedele e coraggioso, contava più militari rispetto agli altri eserciti: perché venne sconfitto?
Garibaldi sbarcò con i suoi Mille – in effetti erano1081- uomini in Sicilia, dove trovò numerosi rinforzi tra i picciotti che gradualmente arrivarono al numero di circa 3300.
A questi si aggiunsero poi 5mila neogaribaldini provenienti da Genova, ex militari piemontesi congedati con l’ordine ufficioso di raggiungerlo con armi militari, una compagnia di volontari militari inglesi e una americana.
Il 19 giugno li raggiunse un ulteriore drappello di 1500 garibaldini ed ex soldati regolari piemontesi: il 26 giugno 1860 i “mille” erano 5mila lombardi, 6mila veneti,1000 toscani, 3mila siciliani per un totale di15 mila garibaldini.
Dopo la battaglia di Calatafimi giunsero da Napoli rinforzi anche per le truppe borboniche, che, seppur valorose, vennero confuse e sbandate dagli inspiegabili ordini dei generali Landi e Lanza, non solo troppo anziani ma sobillati dalla mafia, dalla massoneria siciliana filogaribaldina e dalla borghesia siciliana filosabauda.
Fecero infatti ripiegare 18mila uomini su Napoli via mare; gli altri furono schierati nella parte orientale dell’isola.
Intanto, si fecero i primi prigionieri di guerra duosiciliani, presto saliti ad 8mila.
Con la capitolazione di Reggio Calabria, avvenuta a causa di ordini quantomeno inadeguati del troppo anziano generale Gallotti, col conseguente sbandamento di 3mila soldati a Monteleone che poi il 25 agosto trucidarono il generale Briganti che li esortava a passare con Garibaldi.
Furono catturati 266 ufficiali che, naturalmente, si erano rifiutati di unirsi al nemico.
Dagli archivi risulta poi erano stati fatti altri 10mila prigionieri in Calabria, 2160 della battaglia del Volturno, più 4mila del monte Macerone, e 5mila congedati rastrellati in Abruzzo.
Poi si arrivò esattamente al numero di 42.860 prigionieri; nessuno di questi fedeli soldati volle passare sotto la bandiera nemica, al contrario di quanto fece la Marina Militare e i generali Nunziante e Pianell a Napoli, il tenente medico a Reggio Calabria e10 ufficiali subalterni dei Cacciatori di linea a Palermo: 4 alfieri, 5 tenenti e un capitano,
Praticamente solo 13 voltagabbana su 4898 ufficiali in serviziodell’esercito tra i 133mila militari del Regno delle Due Sicilie.
Intanto in Molise infuriava la guerra civile; poi si allargò in Abruzzo e Puglia, con allarmi di “brigantaggio” filoborbonico in Calabria. C‘erano ancora in circolazione ben 50mila militari borbonici sbandati che non avevano mai deposto le armi: resistevano raggruppati in piccole bande di partigiani filoborbonici insieme con montanari e contadini.
Di questi partigiani operavano in Abruzzo almeno 8mila militari, 500 in Basilicata, 5mila in Molise, 4mila in Puglia, 2600 in Calabria, 15mila ancora lungo il Garigliano in grosse formazioni militari; il resto rimanevano nascosti in Campania tra montagne, campagne, valloni e perfino in Città.
Nel frattempo la divisione di Bixio passò alle truppe regolari piemontesi; l’esercito meridionale, ridotto a 12mila superstiti, venne sciolto il 9 novembre 1860 dopo due giorni dell’arrivo di Vittorio Emanuele II a Napoli; i garibaldini vennero rimandati a casa, offrendo loro la scelta di passare o nella guardia nazionale o in servizio di leva italiano … tranne per quelli di loro giudicati briganti e camorristi. E per l’esercito sabaudo i meridionali lo erano praticamente tutti.
Questa la situazione al 7 novembre 1860 nel Regno delle Due Sicilie, sconvolto dall’assalto piemontese, da rivolte filogaribaldine, dalla guerra civile.
Dopo il racconto dei fatti storici e le cifre impressionanti dei prigionieri di guerra duosiciliani, la cui cattura continuò ben oltre il 1870, ancora oggi però ci sono domande a cui non si è trovata risposta.
Dove furono mandati i fedeli soldati borbonici catturati? Quanti sopravvissero? Quanti tornarono effettivamente a casa liberi?
A queste domande cercheremo di rispondere prossimamente.
Michele Di Iorio