Ho già avuto modo di dire, in altre occasioni, che il linguaggio usato dai politici mi da un po’ fastidio.
Tra le tante cose di quel linguaggio che spesso trovo vuoto e malato, la prima a darmi fastidio è quando scrivono e parlano di loro in terza persona, come se fosse qualcun altro a scrivere e parlare di loro.
Mi da fastidio quel modo di parlare di chi, esaltando i loro stessi gesti e giudici di loro stessi, si fanno passare per paladini della giustizia, della legalità, della moralità, della democrazia, solo per conservare o conquistare posti chiave di potere.
Parlare di sé in terza persona in molti politici sembra essere un’abitudine.
Forse Si vogliono sentire grandi, protagonisti assoluti. Una cattiva abitudine che hanno in particolare quelli assetati di potere, si autocelebrano, pavoneggiandosi nella loro corte dei soliti seguaci.
Non vi dico se poi hanno dei titoli, mamma mia!
Nei loro discorsi quei titoli sono ripetuti, come per far capire bene la posizione autorevole del personaggio citato (dallo stesso personaggio). Non c’è bisogno di andare ai vertici di potere per ascoltare questo modo di parlare di sé, è una abitudine ormai che possiamo leggere anche nelle dichiarazioni di piccoli consiglieri dei piccoli comuni del nostro Belpaese.
Non è colpa loro. È frutto di un estremo provincialismo che caratterizza tutto il nostro Paese. Per loro il mondo intero si conclude ai confini del proprio comune. Come nel medioevo.
Si potrebbe scrivere un racconto dai tratti surreali intorno alla figura di personaggi del genere. L’autorevole personaggio citato dallo stesso personaggio. Come in un fantastico racconto di Borges, dove i personaggi dialogano con l’immagine loro riflessa in qualche specchio immaginato, che vivono in una stanza e in quella stanza credono di vivere al centro di un universo. Un universo fatto di specchi, che riflettono all’infinito la propria immagine.
Egocentrismo.
In un interessante articolo, su una importante rivista di psicologia, si descrive questa abitudine come la sindrome di Hubris, e viene definita come un disturbo delle personalità abbastanza frequente proprio in personaggi analoghi a quello della maggioranza dei nostri politici.
In quell’articolo, chi è colpito dalla sindrome di Hubris, sono definiti come personaggi inaffidabili, a volte anche pericolosi.
Il potere dà alla testa modificandone i comportamenti, con il rischio di procurare conseguenze disastrose. In chi soffre di questa sindrome, la capacità di prendere decisioni viene seriamente compromessa, portando a conseguenze disastrose in ambito politico e sociale.
In quell’articolo si dice anche che per poter parlare di sindrome Hubris, devono essere presenti almeno tre o quattro di una serie di quattordici sintomi. Tra questi: la tendenza a parlare di sé in terza persona; la predisposizione a compiere azioni che mettano se stessi in buona luce; un’esagerata preoccupazione per la propria immagine ed il proprio aspetto; un’esaltazione del senso delle proprie azioni quando se ne parla; una fiducia eccessiva nei propri giudizi, e la conseguente scarsa considerazione per i consigli e le critiche degli altri.
Questa sindrome è caratterizzata da comportamenti arroganti e ispirati a presunzione, che si accompagnano ad una preoccupazione maniacale per la propria immagine.
In Italia, prima di ogni altra cosa, ci vorrebbe una vera rivoluzione culturale che partisse proprio dalla radicale trasformazione del linguaggio e del modo di comunicare dei politici: fin quando sono loro i primi a rendersi figure immateriali, prendendo le distanze da loro stessi parlando di loro in terza persona, noi cittadini non potremmo mai sentirli come parte realmente rappresentativa della popolazione.
Mario Scippa