Il 3 dicembre, ho postato un articolo su Facebook, dove sottolineavo il vuoto espressivo che sto notando negli ultimi anni nel campo delle arti e della poesia e del teatro.
Ovviamente ci sono le dovute eccezioni. E come al solito tali eccezioni possono avere una fruibilità non nei circuiti ufficiali, ma in quelle realtà dove si respira la libertà espressiva a trecentosessanta gradi. Una di queste l’ho vissuta ieri sera al Lanificio 25 a Napoli.
Lo spettacolo: Petit Circus Napolitaine.
«È un progetto/spettacolo itinerante. Uno spazio circolare (una pista?) dove l’artista si esibisce proponendo il proprio numero di danza, di musica o di teatro ed una banda musicale instabile accompagna o sottolinea l’esibizione.
Lo spettacolo è strutturato proprio come quello circense, con una serie di numeri eterogenei e sempre diversi che si susseguono e spesso si fondono, a metà fra il circo ed il cafè chantant:una rivisitazione del vaudeville che segnò l’epoca d’oro del varietà negli anni ’30».
Così sinteticamente mi racconta Amedeo Veneruso, l’ideatore e il regista, quando mi avvicino a lui a fine spettacolo per fare i miei complimenti.
Due ore di grande spettacolo, due ore di immersione nel magico mondo del circo, in una rappresentazione teatrale squisitamente post-moderna, dove sono evocate immagini e atmosfere di felliniana memoria, sia nei costumi, sia nei testi, sia nella musica.
Il mimo, il clown, il/la cantante, una melanconica fisarmonica (Daniela Esposito), presenza scenica fissa intorno cui ruotano sogni, paure, scherzi, viaggi nel mondo più affascinante di tutti i mondi: il circo e Napoli. Una rappresentazione dai caratteri, surreali, espressivi, in una atmosfera che ricordava quelle migliori atmosfere francesi del teatro che tanto appartengono anche alla tradizione napoletana.
Napoli viene vista e rappresentata da dentro, ri-evocando con lo sguardo malinconico di un clown gli incubi e i sogni di una mamma di viviana memoria.
Il vicolo, il dramma di un ragazzo, e il clown invita a diffidare delle rassicuranti parole delle canzoni napoletane.
Un momento molto emozionante è stato quello della colonna sensibile, vivente e sensuale, ‘o femminiello che si spoglia del suo trucco dopo una notte di lavoro, interpretato dal bravissimo Emilio Massa.
E poi lo straordinario Roberto Esposito, il mimo. Con la sua gestalitàù ha saputo creare spazialità e interazioni con il pubblico.
Tutti i momenti sono stati forti, divertenti, emozionanti, e qualsiasi tema trattato è stato pensato, proprio come nella migliore tradizione circense: trasversalmente, per un pubblico di tutte le fasce di età.
Uno spettacolo post-moderno, in un luogo post-moderno, la riconversione a teatro, e spazio per la cultura e l’aggregazione, di un ex lanificio all’interno di un edificio che sembra essere un piccolo borgo al centro di un luogo saturo di storia a Napoli, Porta Capuana.
Lo spettacolo si struttura per frammenti. Tali frammenti, interconnesi tra loro, vivono anche di una loro autonoma espressione formale. Assistere a questo spettacolo, è stato come fare una immersione in un magnifico caleidoscopio, dove ogni singola immagine sembrava essere la rappresentazione speculure, capovolta, riflessa, di un sogno sempre diverso e sempre lo stesso.
Il frammento assume nello spettacolo una forma compiuta, autonoma e vive di rimandi ad altre immagini. Ogni singolo frammento assume valenze semantiche sempre diverse agli occhi di ogni singolo spettatore, facendo riemergere dall’abisso della propria sensibilità, vissuto, cultura, ancora altre immagini che lo andavano a completare, arricchendo così lo spettacolo di una personalizzazione sempre diversa.
Ogni spettatore ha sicuramente visto e vissuto il suo circo, il suo sogno, la sua Napoli.
(Foto by Mario Scippa)
Mario Scippa