Caro Professore Cerami, caro amico Gianni,
ci siamo incontrati e dopo il nostro incontro mi hai ringraziato. Invece sono io che ringrazio, ancora una volta te, te.
Ti conobbi tanti anni fa, ero un ragazzino ai primi anni dell’Università. Avevo un’idea distorta della materia che tu insegnavi, l’urbanistica. La sentivo una materia ostica. Mai, all’epoca, avrei potuto pensare potesse appassionarmi.
Col tuo insegnamento è diventata la “mia” materia anche se non l’ho più praticata come professione. Mi hai fatto capire che l’urbanistica è lo studio, l’osservazione e anche, potenzialmente, la progettualità della complessità della città, intesa come metafora della vita, anche, e soprattutto, con il sogno e la visione immaginaria.
Ho tra le mani il tuo libro, il tuo ultimo libro, dal titolo Costruire Comunità per Costruire Futuri; per la verità il suo vero titolo, com’è tua abitudine, sembra essere il sottotitolo Le quattro piume della politica urbanistica in Italia.
Quando me lo hai regalato mi hai dato una dritta per come leggerlo, ed io ti ho ascoltato.
L’ho davanti a me e mi soffermo a guardare l’immagine di copertina. Quella donna sull’altalena, che vola, legata non si sa e non si capisce dove. Forse è legata ad una nuvola, forse ad un sogno, ad un desiderio, ad una speranza o a un’idea. Non ha importanza.
L’importante è che quella donna, dai capelli mossi dal vento, ha un punto di vista mai fermo e dall’alto, come un gabbiano ad ali spiegate sorretto dal vento sulla città.
Quella immagine mi hai detto che è stato un tuo omaggio a Jane Jacobs, quella straordinaria donna che, negli anni sessanta del secolo scorso, ha cercato di capire il senso della città. Jacobs è stata per me un importante riferimento all’interno del lungo percorso di studi che ho intrapreso durante il tuo corso di urbanistica come studente prima e poi da amico e tuo umile collaboratore dopo.
Stamattina, in quel bar, seduti uno di fronte all’altro, mi spiegavi il significato che per te ha avuto quella immagine di copertina del libro e l’importanza della persona a cui era dedicata.
Parlavi, spiegavi, con esempi, immagini chiare che contraddistinguono il tuo chiaro modo di comunicare, ma la sequenza delle parole che pronunciavi, una per una, mi era già chiarissima: ho compreso alla perfezione cosa volevi dire con quella foto, dal primo momento che mi hai svelato a chi era dedicata.
Tu hai sempre avuto una grande attenzione per le immagini da inserire in un testo. Le immagini per te non sono mai state semplici completamenti iconografici, ma hanno aggiunto sempre qualcosa in più al testo scritto. Là, dove non ci sono parole per raccontare, nei tuoi libri ci sono le immagini.
Hai sempre chiesto attenzione alle immagini da usare, ai tuoi studenti come ai tuoi collaboratori; così come hai sempre chiesto attenzione all’indice, anche se si trattava di scrivere un semplice articolo.
Ricordo, e ormai sono ricordi di alcuni anni fa, la tua mania quasi ossessiva di articolare un indice, in modo tale che leggendolo si potesse avere da subito una idea chiara di ciò che conteneva l’articolo o il saggio, ancor prima di leggerlo per intero.
L’indice, la struttura, la griglia di riferimento. Scrivere un buon indice, dicevi, era già più della metà del lavoro svolto.
Stamattina, quando ci siamo incontrati, io avevo il tuo libro tra le mani, iniziavo a sfogliarlo, tu mi hai detto: «Mario, guarda la fotografia della copertina e soffermati attentamente sull’indice, il resto lascialo stare, non leggerlo». Così ho fatto (per il momento).
La foto mi è stata subito chiara. Quella immagine rappresenta il tuo modo di vivere, leggere e immaginare una città, la vita. Poi leggo l’indice di questo libro. È meraviglioso, ma, ancor prima di entrarci dentro con gli occhi e con la mente, non avevo dubbi.
Ci sono i temi tuoi, quelli di sempre, i tuoi racconti, i tuoi libri, la tua storia. Alcuni tuoi autori che sono diventati anche i miei autori. Ci sono le Lezioni americane di Calvino, il grande valore che tu hai sempre dato al dialogo, come forma di crescita del pensiero; ci sono i tuoi libri di sempre, i tuoi sogni, i tuoi desideri, le tue esperienze; la necessità della gentilezza e quella del potere seduttivo che deve avere una narrazione, c’è la tua convinzione dell’idea visionaria che si deve avere, e da intendere come componente necessaria, in ogni trasformazione urbana, e che per costruire le regole bisogna ricorrere al potere dell’immagine.
In quest’indice c’è tutto il tuo sogno della città intesa come una comunità, l’utopica idea di un futuro pensato e costruito non da una voce sola ma dal dialogo di molti. C’è la volontà di essere concreti, presenti, senza rinnegare ciò che siamo e siamo stati, ma sempre proiettati in avanti, e consapevoli che non esiste la Verità, ma tante piccole verità, tutte quante importantissime, e quanti punti di vista possibili abbiamo sulla realtà.
Tu dici sempre che non sai scrivere di te, che quasi invidi chi scrive e narra di sé, perché tu non ci riusciresti mai.
Mio caro Gianni, mi dispiace contraddirti, sbagli. Tu sei ciò che narri, e narri ciò che sei, anche e sopratutto in libri come questo. Nei tuoi scritti sono raccontate le avventure della tua vita, le avventure vissute, quelle sognate, quelle desiderate o sperate.
Io ho sempre detto che non amo classificare i libri per generi, ma se dovessi essere costretto a dire questo tuo libro a quale genere appartiene, non avrei dubbi, direi subito che è un libro d’avventura.
P.S. ho tra le mani:Gianni Cerami Costruire comunita’ per costruire futuri – Le quattro piume della politica urbanistica in Italia, Ed Rubettino, 2013
Mario Scippa