SAN GIORGIO A CREMANO – la prima volta che mi occupai di sciamanesimo pellerossa fu il 1977; venivo dalla meravigliosa terra natìa di Napoli e mi trovavo alla base aerea Usa di Wright-Patterson, Ohio, in servizio all’ospedale militare.
La permanenza durò 5 mesi ed ebbi la fortuna di incontrare un medicine man, uno sciamano degli Apache, la tribù nativa americana.
Poi per motivi di lavoro lo ritrovai a Fort Mead nel Nevada nel secondo semestre del 1978; mi fu presentato dalla dottoressa Aline Vergano, consulente della NASA, l’ente spaziale Usa, neurologa e studiosa di sciamanesimo.
Nella dolce notte estiva del 9 agosto 1979, tra il sospiro della terra e il profumo dei fiori, sotto il cielo stellato del New Mexico ebbi con lo sciamano una lunga conversazione, proprio a Roswell, il luogo dell’Ufo crash del 2 luglio 1947…
Appresi da Nomad, lo sciamano, quanto grande sia l’amore di Dio unico, il Manitù, o comunque chiamato Gesù, Buddah, Shiva, Brahama, Javhe, Krisna, Allah … Un amore che abbraccia tutte le creature viventi dell’Universo …
Imparai ad ascoltare la notte e il suo profondo silenzio, la profondità della musica delle sfere del pianeta, osservando pietre e conchiglie, tra i fumi del calumet e gli occhi profondissimi del maturo uomo di medicina della nazione Apache, la popolazione nativa dell’area occidentale dell’America settentrionale.
Gli Apache amano definirsi Dineh, popolo in origine nomade, dedito alla caccia e più tardi all’agricoltura, coltivando granoturco e meloni, e all’artigianato tipico di statuette artistiche di pietra, feticci e bambole rappresentanti o kachina, gli spiriti degli antenati, ma anche a raffigurazioni con sabbie colorate, gioielli di conchiglie e di argento, alla tessitura di mantelli e coperte; fabbricavano inoltre sandali, mocassini e canestri intrecciati.
Popolo fiero e orgoglioso, uomini bellissimi e donne stupende, migrò da Nord-Est nell’anno 1300 d.C. popolando il Messico settentrionale e il territorio detto poi diventato Usa, tra Arizona e New Mexico. 5 milioni di individui, cacciatori e grandi camminatori, onestissimi e leali, anche se abili razziatori di animali dei popoli confinanti, inizialmente erano ripartiti in 4 gruppi iniziali: i Bendokhoe,i Chokonen,i Chihenne e i Nedni.
Gli Apache furono famosi per le loro abitazioni, i wickiup, ossia una piccola capanna cupoliforme, con un cerchio di tronchi incurvati legati al centro, con in cima il foro per l’uscita del fumo; gli spazio erano riempiti con foglie di yucca e di sterpaglia del deserto, più erba e canne del letto dei fiumi; veniva poi ricoperta di teli per evitare il freddo e aveva per porta una pelle di animale o una coperta.
All’interno il focolare era centrale; il pavimento era rivestito da coperte e mantelli; vi trovavano posto anche le statuette degli antenati.
Accanto al wickiup si trovava la ramada, la ghiacciaia della squaw o donna pellerossa, realizzata con rami, dove venivano riposti cibo e attrezzi casalinghi o agrari, Era proprio delle squaw il compito di costruire la capanna: era un lavoro che portavano a termine in sole 4 ore.
Gli Apache vestivano abiti di pelle di daino e portavano capelli lunghi e sciolti, tenuti fermi da una benda allacciata intorno alla testa, un gonnellino aperto sui fianchi e calzoni, mantelli, mocassini alti per proteggersi dai rovi e dalle spine dei cactus. Le donne portavano gioielli trucco, e avevano la mansione di raccogliere legna, cibo e acqua, di coltivavate la terra, cucinare, tessere, e di curare la famiglia; avevano un importante ruolo.
Gli Apache praticavano la religione magico sciamanica con grande considerazione del culto degli antenati, degli spiriti, della morte, e credevano in paradiso o di verdi praterie celesti.
Un tempo i guerrieri eseguivano riti propiziatori e scaramantici prima di ogni battaglia.
In origine la nazione Apache, prima di essere sopraffatta e contaminata dall’uomo bianco, non aveva alcuna pratica immorale, né violenza su anziani, bambini e donne, non conoscevano l’alcool e avevano il giuramento d’onore e della parola d’onore. Il tradimento coniugale non era tollerato né per la donna e né per l’uomo.
Quando i conquistadores invasero il Messico nel 1519; dopo aver distrutto la civiltà atzeca e maya, tentarono di penetrare nel territorio apache, furono contrastati dalle loro intelligenti quanto proverbiali e terribili imboscate. Persero la vita molti spagnoli gli apache e razziarono le loro armi da fuoco e cavalli; diventarono dunque abili cavalieri e impararono ad usare in poco tempo i moschetti e i fucili.
La loro tradizionale economia da questo punto in poi fu integrata da frequenti razzie contro gli insediamenti civili e militari, diventando il terrore dei conquistadores, che presero l’abitudine di attirare con l’amicizia i Mescalero per usarli contro gli Apache in guerre fratricide.
Inoltre, come successe in altri luoghi dove erano arrivati, gli spagnoli portarono i microbi di malattie europee sconosciute tra i pellerossa, tanto in poco tempo furono sterminati 1 milione e 100 mila nativi.
In seguito subirono invasioni e guerre da altre etnie pellerossa alleatesi con l’uomo bianco, ma i bellicosi e fieri Apache non si piegarono mai.
Furono sempre leali con i nemici, così come con gli Stati Uniti nel 1845 permettendo ai soldati americani di attraversare tranquilli i loro territori; nel 1846 il capo apache Mangas Coloradas firmò il primo trattato di pace con gli Usa, ma due anni dopo iniziarono i guai con i cercatori d’oro in California e nel 1851 Mangas Coloradas fu picchiato selvaggiamente dai minatori e vi fu una rappresaglia apache. Nel 1861 il capo finì ucciso e la sua testa bollita dai soldati americani.
Suo genero il grande Cochise schierò tutte le tribù apache contro gli Usa; 22 anni in cui morirono 45mila apache in guerra e 19mila tra soldati e civili americani.
Cochise si arrese nel 1873 e morì l’anno successivo; cominciò sterilizzazione forzata di 85mila apache e il trasferimento nella riserva indiana di San Carlos nel New Mexico, dove vissero in condizioni terribili.
La nazione Apache fu abbrutita dai bianchi con bottiglie di liquore, decimata ulteriormente da stragi perpetrate per futili motivi, linciaggi e violenze sulle loro donne.
1660 guerrieri apache nel 1876 fuggirono in Messico con Geronimo; catturato venne nuovamente richiuso nella riserva, da do fuggì ancora nel 1883 con 700 apache
Venne fermato, ma fuggi di nuovo con 200 apache in armi nel 1885 e ci volle un esercito di 5mila soldati, 2000 miliziani e 600 scout Navajo e Mescalero pei uscire a catturarlo nel 1886 con soli 24 guerrieri superstiti.
Geronimo venne rinchiuso in Oklahoma in un forte prigioniero a vita dove mori nel 1909.
Gli Apache, ridotta a 120mila individui, fu deportata in tre diverse riserve.
Nella prima guerra mondiale si distinsero nei combattimenti in Europa, tanto che nel 1924 ebbero riconosciuta finalmente la cittadinanza americana e il diritto di voto politico, la possibilità di far carriera nell’esercito e in marina, ma restando ancora segregati nelle riserve. Interi reggimenti apache furono impiegati anche nel secondo conflitto mondiale. nella guerra di Corea e del Vietnam. Nel 1964 beneficiarono delle leggi razziali del presidente Johnson.
Nel 2006 gli Apache contavano 56mila individui.
Dopo questo secolare excursus sulla storia degli Apache, è doveroso il ritorno a Nomad, sciamano, psicologo, artista, consigliere spirituale della tribù dei Tumontcoko Na–Chista, riconosciuto capo cerimoniale, collaboratore con lo sciamano don Juan e suo genero – maestri dello scrittore antropologo Carlos Castaneda – premiato a Los Angeles per il suo supporto spirituale alla comunità degli africani nativi d’America.
Nomad fu battezzato dagli Apache road chief capo cerimoniere, e poi medicine man, uomo di medicina. Viaggiò tra le comunità pellerossa di tutti gli Usa e Canada, brasile. Toccò altre parti del mondo con la funzione di natzchoa, ambasciatore di benevolenza tra i popoli, recandosi in visita tra gli sciamani australiani e africani.
È stato in diverse parti d’Italia, anche ad Ercolano al centro Fiume di pietra, dove tiene seminari e corsi di danza sciamanica o dello scialle nero, cerimonia del lutto che sublima il singolo dolore in collettivo, nell’ambito degli Incontri vesuviani del 2008, a cura della federazione territoriale Città del Monte diretta da Paola Acampa.
Dopo tanti anni ebbi occasione di rivederlo, e mi lasciai trasportare dalla danza, dai tamburi, dalle parole del Maestro e nelle consultazioni in cui Nomad entrò come sempre in channeling, in telepatia, grazie agli spiriti degli antenati, la forza divina della terra e il sacro Manitù, ascoltando vento e silenzio e vedendo oltre la vista umana e viaggiando oltre le dimensioni …
Ho visto tante volte il maestro annullare con il sorriso il tempo e lo spazio e guarire le persone nell’anima, nella mente e nel corpo, sussurrando parole sacre pellirosse tra i colpi di tamburo, eco del vento.
Nomad ritornò ancora in Campania il 3 novembre 2012 in via Mazzini a San Giorgio a Cremano, alla manifestazione interreligiosa promossa dal centro Shanti – Sai Baba, diretto dal dottor Angelo Delle Cave, dove tornò ancora il 25 febbraio 2013.
Nomad è il ricordo vivente del genocidio degli Apache. Non ha rabbia e odio dentro di sé; dona invece amore e guarigione psicosomatica a tutti. La vita cambia dopo aver incontrato uno sciamano pellerossa come Nomad, uomo di Dio e della natura. La vita cambia in meglio e si ricomincia sempre daccapo: basta che lui ti guardi e ti parli con gli occhi nei tuoi occhi e ti sussurri parole antiche come i pascoli dei bisonti di altri secoli …
E ora Nomad ritorna ancora una volta al centro Shanti il prossimo 28 aprile fino al 6 maggio.
Non è un pellerossa che ritorna tra noi … È un angelo di Dio ,,,
Michele Di Iorio