Il film: Song’e Napule

song 'e napuleNapoli: Paco è un poliziotto e musicista di vaglia; è infiltrato come tastierista di Lollo Love, un divo neomelodico, per essere ad un matrimonio, in cui ci sarà un inafferrabile killer della camorra.
Antonio e Marco sono i Manetti Bros, un duo registico sempre interessato al cinema di genere: «La nostra caratteristica è di non avere caratteristiche», così si definiscono.
Curiosi e sperimentatori, hanno fatto film horror, thriller, Sci Fi, spesso mescolando i generi. Non sono alla Tarantino, ovvero un cinema che si autocita compiaciutamente, con spocchia intellettualistica. No: amano e perseguono un cinema artigianale, fatto di atmosfere, di situazioni approfondite, con personaggi, per quanto è possibile, non alieni dalla vita reale.
Inoltre, fanno un cinema rigorosamente povero, ma non pauperistico: più che le imposizioni di grossi produttori, amano la loro libertà espressiva. Negli Usa avrebbero mercato e attenzione: qui da noi sono seguiti con sufficienza.
Però, stavolta, hanno svoltato. Grazie al fiuto dell’iconoclasta produttore Luciano Martino – quello della Fenech anni ’70 … , scomparso nell’agosto ‘13, che ha messo insieme il soggetto dell’attore Giampaolo Morelli, qui un incredibile ma realissimo Lollo Love, già noto, col talento dei di due Bros, e la professionalità dello sceneggiatore Michelangelo La Neve, è stato messo su un film (ITA, ‘13) che regge, diverte, si dimostra più sfaccettato di quel che parrebbe.
E, proprio sul fenomeno dei neomelodici, i due Manetti Bros esprimono un giudizio  interessante: «La cultura italiana, storicamente, ha sempre mischiato l’alto e il popolare: un qualcosa che si è un po’ perso e che è ora che venga recuperato».
Da qui l’occhio su quei cantanti, che non sono visti come fantocci ma come espressione di una cultura popolare, spesso sorretta da vere professionalità e genuine  passioni e talenti, magari in contesti grotteschi e comici, i cui circuiti produttivi sono paralleli a quelli regolari, e per lo più basati sullo sfruttamento e infiltrati di capitali delle camorre.
Il film si dipana tra queste letture; che, peraltro, grazie alla fotografia, diretta dalla giovane e talentuosa napoletana Francesca Amitrano, acquistano evidenze ambientali che rendono vivente il contesto metropolitano partenopeo, così particolare e unico. Che è rivissuto in una sinfonia di vivaci lampi di vita.
Anche il lavoro della scenografa Noemi Marchica, in stretto e creativo contatto con la foto, percepisce i lampi di vitalità  di questo territorio: ma con “velocità” e apparente casualità; e, insieme, con grande semplicità e sincerità.
In perfetto raccordocon il conflitto, talvolta esilarante, tra le due personalità del film: il poliziotto-musicante semimbranato, l’attore raffinato Alessandro Roja, noto per “Romanzo criminale” serie tv, e l’effervescente e disincantato, ma non cinico Lollo. Questi vive il suo ruolo  di semidivo de noantri, con onesta professionalità, senza smargiassate, ma con equilibrio personale.
Il film gioca abilmente su questi diversi registri, riuscendo anche a dare lampi di verità dissonante grazie all’incombenza della lotta alle camorre: alla barbarie e alle lacerazioni che queste portano sul nostro tessuto sociale.
Lo fa grazie alla pregnanza, magari un po’ ossessiva del Commissario antimafia (Paolo Sassanelli): a cui comunque fa da contrappeso la rilassata, cinica e imbecille corrività col potere del Questore.
In questo cameo è assai divertente e “morale” Carlo Buccirosso; come è abilmete camuffata dalla bonarietà, la spietatezza del killer (Peppe Servillo).
Anche se le sequenze d’azione sono un po’ loffie, l’inseguimento in auto ha una sua gradevolezza. Il neo melodico Franco Ricciardi, oltre a ritagliarsi un convincente ruolo di padre-padrone e capoclan, esprime una verve musicale di valore nella canzone dei titoli di coda.

Francesco “Ciccio” Capozzi