Il mimo è una rappresentazione di azioni, caratteri e personaggi che usa la gestualità piuttosto della parola.
La parola mimo è usata con una connotazione neutra, come sinonimo di imitazione muta, ma la connotazione prevalente nell’immaginario dei parlanti italiani prende l’accezione più specifica di azione artistica, di rappresentazione teatrale, senza parole e relativo attore.
Tale forma teatrale affonda le sue radici nell’antichità greca e romana.
La pantomima, che è una piccola storia raccontata attraverso tecniche di mimo, spesso confusa col mimo vero e proprio, era una farsa popolaresca dei Dori di Sicilia rielaborata artisticamente da Sofrone di Siracusa – V secolo a.C. – per poi trasformarsi con i Romani in una rappresentazione buffonesca nella quale l’attore poteva anche recitare senza la maschera e in cui le parti femminili, contrariamente alla consuetudine teatrale antica, potevano essere sostenute da donne.
La più antica attestazione di un mimo latino risale indietro almeno al III-II secolo a.C. e riguarda la figura di Protogene, citato da un’epigrafe latina da Preturo/Amiternum, con un epitaffio in forma metrica.
Il mimo, vero e proprio, fu nobilitato nel I secolo a.C. ad opera di Publilio Siro e Decimo Laberio, diventando una scena dialogata, ricca di ironia, realismo, comicità e satira. L’epigrafo è colui che ad esempio va a Roma e traduce dei pezzi metrici per poi li esporre a tutta la Grecia.
Roberto Esposito, napoletano, mimo sordomuto.
Conobbi Roberto tanti anni fa, eravamo dei ragazzini, in vacanza a Scauri. Passammo due mesi insieme, divertendoci come non mi sono mai più divertito. Già all’epoca sembrava che lui non avesse bisogno della parola per parlare, lo capivamo bene tutti, senza alcuna difficoltà.
Non ci siamo più visti per circa 35 anni. L’ho incontrato per caso a uno spettacolo. Era il mimo sul palco. Una gioia infinita nel rivedere il mio vecchio amico, sordomuto che del suo “difetto” ne ha fatto un’arte: quello che pensiamo un handicap per l’espressione e la comunicazione per lui è diventata la sua forza e potenza comunicativa.
Il suo corpo, le sue espressioni, le mani, parlano e raccontano storie, fanno immergere lo spettatore in avventure sempre più profonde, divertenti, fanno sorridere, commuovere, pensare, riflette, svagare.
Roberto Esposito, l’unico mimo sordomuto in Italia. Me lo ricordo come se fosse ieri, già era un grande comunicatore senza la parola da ragazzino, adesso è un grande artista, un grande comunicatore dal palcoscenico.
Ci siamo rivisti e mi sono fatto raccontare la sua vita, la sua passione per il teatro e per il mimo.
Già da bambino, in un istituto privato per sordomuti, a Napoli vicino di Piazza Amedeo, aveva in sé la carica espressiva del mimo, del clown, dell’attore che fa ridere.
Mi raccontò che ad una recita scolastica, dove lui doveva interpretare Gesù Bambino, all’apertura del sipario incominciò a correre per il palco, facendo ridere tutti i genitori a crepapelle.
Più tardi verso i 18 anni entrò nel famoso gruppo di mimi Perhaps, dove seguì un corso di mimo per cinque anni, la sua passione, con il maestro Erdnic Dincer. Da allora la sua vita trascorre tra ceroni bianchi, teatri e palchi di ogni parte sia in Italia, sia in Europa.
La sua arte è meravigliosa, il suo modo di comunicare, diretto, semplice, arriva ad ogni tipo di pubblico, dal bambino all’adulto.
Le sue storie raccontate sono quelle classiche del teatro, del circo, e ogni volta anche se sono temi noti sono sempre storie nuove, avventure nuove. È la forza della sua comunicazione, del suo personale linguaggio, a rendere nuovo tutto quello che abbiamo già visto o sentito.
Roberto Esposito, un grande artista che non ha bisogno della parola per parlare.
(foto by Mario Scippa)
Mario Scippa