Nasce una giornata splendida. Il sole estivo troneggia sull’universo, l’aria morbida è invitante. Tanta gente sta salendo dalla pianura alla montagna e anche noi decidiamo di approfittare per compiere una gita.
Chiara, Gianguido e i ragazzi sono già sulla strada che porta a cima Portule. Li invidio ma per noi partiti più tardi la loro meta è troppo lontana: oggi, ci recheremo a cima Larici, è parecchio che non vi andiamo, e poi la salita è meno impegnativa.
Lasciamo l’auto appena sopra la malga, prima della barriera del divieto. Organizzato il sacco, si parte, su per il prato. Stella, Umberto ed il sottoscritto, più Kimi e Leda, i nostri cani, formiamo una mezza carovana.
Kimi è un pincer medio, svelto come una lepre, sempre di corsa, sempre attento a non allontanarsi da Stella più di 50 metri. Memore dell‘esperienza di essere stato dimenticato finchè rincorreva l’auto, da Bocchetta Portule fin quasi a fondovalle, come usava fare di solito, non si stacca più di tanto dalla sua ombra, scende dall’auto se non dopo di lei.
Leda, la lupa pastore-maremmano, abituata fin da piccola a vivere in casa, adora correre nel bosco.
È affezionatissima ad Umberto che la coccola spesso. È un animale buono, ma da tenere a distanza da portalettere ed intrusi.
Armato dei miei due bastoni, m’incammino su per la ripida salita, seguito da mia moglie.
Umberto con la sua gioventù ci precede con Leda, per aspettarci all’arrivo della vecchia sciovia.
Ovviamente Kimi come sempre è con Stella, che un po’ giù di forma sale sbuffando e brontolando in mezzo ad abeti e ciuffi di erba cavallina, aiutandosi con le racchette da trekking e ribadendo ad ogni passo che lei vuole sì camminare ma senza faticare oltremodo.
A me la natura incontaminata, il bosco, il sottobosco piacciono; girovago salendo a zig zag per far meno fatica, e nel contempo cerco qualche fungo.
Quest’anno particolarmente sembra che di funghi proprio non ce ne siano, però Stella, più fortunata, trova un bel porcino divelto da poco, forse dal passo di qualche escursionista sbadato.
Molti sono saliti quassù, in una giornata così bella e solare.
Arrancando sempre a zig-zag, su per il vecchio sentiero dei larici, con una pendenza notevole che a suo tempo servì per il trasporto del materiale di costruzione degli impianti di risalita, incontriamo parecchie persone che già stanno scendendo.
Gli stessi, molto più bravi e mattinieri di noi, hanno già completato il giro del Portule. Scendendo poi per Bocchetta Renzola e giù per Cima Larici, raggiungeranno presto la meta finale, beati loro.
Ai bei tempi, pure noi si saliva alle prime luci dell’alba sulla montagna del cuore.
Più di una volta ho avuto la fortuna di vedere il sorgere del sole. Uno spettacolo indimenticabile, uno splendore unico, emozionante.
Allora andavamo per cacciare le pernici bianche, i galli forcelli: il Portule, ricco di selvaggina, era la nostra zona di caccia più amata, poi chiusa all’esercizio venatorio per l’invidia di altri cacciatori.
Da allora è bandita di caccia e la natura ha voluto contestualmente far decrescere anno dopo anno la selvaggina stanziale dei tetraoni, scomparire addirittura le coturnici, ridurre al minimo le lepri bianche.
Oggi vi regna solo il pino mugo: neanche i topi vogliono vivere lassù in mezzo a quella marea di piante, che anno dopo anno sta ricoprendo tutto il territorio.
Il Portule era una vera riserva, le coturnici vi abbondavano ed erano tante le pernici bianche, i forcelli e le lepri bianche, animali che ai tempi di caccia si trovavano rinnovati in numero e salute, anno dopo anno. Sembra quasi che non cacciati, la natura non sia interessata alla loro riproduzione.
L’uomo non lo capisce, la natura va rispettata ed amata sì, è un massimo dovere, ma non abbandonata a se stessa. Oramai lassù regnano soltanto branchi di camosci, solitari abitanti delle vette, che come le pecore in tardo autunno, scendono a valle nei boschi per trovare cibo e riparo dalle abbondanti nevicate.
Giunti all’arrivo della vecchia sciovia, ci sdraiamo sull’erba, in una zona leggermente riparata dall’aria frizzante, per fare colazione e per sentirci la predica di Stella sulla salita, sulla fatica…. ma in cuor mio so che è contenta.
Difatti dopo un breve riposo, rifocillati da un panino ed un frutto, ci rimettiamo in via. Allegri scendiamo lungo la pista da sci. Era la nostra passione sciare e venivamo spesso su questa pista, la più rinomata e difficile dell’altopiano di Asiago.
Si affacciano alla mente vecchie memorie e racconto ad Umberto quando in una giornata di fine estate, verso sera andando per funghi, accompagnato come sempre dal mio cane Dik, un bracco tedesco, avevamo scovato una covata di galli forcelli, maschi e femmine, due vecchi e dodici giovani.
Salivamo quassù ogni sera io e il mio vecchio amico che li scovava e li fermava: ogni volta era uno spettacolo vederlo, appassionato alla cerca, poi la ferma e ancora il frullare veloce di tante creature libere, che si involavano assieme.
Un giorno, prima di lasciare la malga, il malghese, che caricava il bestiame a malga Larici, ha ben pensato di catturare la covata di forcelli. Giovani e teneri com’erano, sarebbe stata una buona occasione portarseli in pianura per farne delle buone cene con gli amici.
Così, come fecero in tempi di magra i contadini che poi distrussero le pernici rosse sull’altopiano, pensò bene d’ubriacarli con un pastone di grano bollito nella grappa e tirar loro il collo, lasciando per l’anno successivo la coppia vecchia di galli forcelli, maschio e femmina.
Altri non possono essere stati i colpevoli, se non la canaglia di un vecchio smaliziato malghese.
I ricordi si accavallano e riprendo a narrare ancora ad Umberto: «Vedi, laggiù in fondo al muro- indicando la pista di sci dei Larici- una domenica scendendo dal Portule dov’ero andato a caccia da solo, al limitare di un gruppo di mughe ho visto un capriolo albino, sì proprio un capriolo bianco».
È molto raro incontrarlo e pochi sono i fortunati che possono affermare di averne visto uno ma a chi ama la montagna e la frequenta può capitare tale fortuna. Un altro spettacolo eccezionale, indimenticabile.
Sono stato testimone fortunatissimo di un altro fatto straordinario: con Tito mio fratello e accompagnati dai nostri cani da ferma, mentre salivamo sulla montagna in Alto Adige, nei dintorni del rifugio Ponte di ghiaccio, a quote che sfiorano i tremila metri d’altitudine, incontrammo il conte Piovene, anch’egli appassionato cacciatore di pernici bianche.
Avevamo lasciato alle spalle da più di un’ora il rifugio ed io precedevo gli altri due di una cinquantina di metri, assieme a Full, cane amico e compagno di tante avventure venatorie. Giunsi sulla sommità di una piccola collinetta da cui si poteva godere di uno spettacolare panorama.
All’improvviso accadde una cosa incredibile, indimenticabile: vidi involarsi almeno mille pernici, come fossero una grandissima nube bianca. Riempivano tutto lo spazio del costone posto sotto la collina, si diressero verso est, oltrepassarono la Cima Bianca, confine naturale della riserva che ci ospitava e scomparvero alla vista in un attimo.
Tito ed il conte Piovene purtroppo non poterono godere della spettacolare partenza delle pernici, ma accorsero ai miei spari; ne abbattei due, e le videro nel volo in lontananza.
Il ricordo tangibile è ancora fisso nella mia mente, è qualcosa di indimenticabile e ancor oggi ne godo al pensiero.
Stella mi ricorda le discese con gli sci, negli inverni vissuti ai Larici, la sua difficoltà e paura nell’affrontare il ripido pendio, mentre Nico suo fratello scendeva giù alternando gli sci, veloce come un fulmine: sembrava un angelo.
Ci unisce a questa montagna il ricordo della nostra prima gita in auto di tanti anni fa. C’eravamo da poco conosciuti, era domenica XXV aprile, il giorno di San Marco, festa del patrono del paese e la giornata era stranamente calda per quel periodo.
Con la Fiat 600 ci recammo ai Larici, alla baita allora gestita dai genitori di Anita e Ombretta, amiche comuni. Non si può scordare il primo appuntamento, le prime tenerezze e i complici sorrisi, che ci accompagnano ancora da ben 45 anni.
Il pomeriggio volge al termine, l’aria è frizzante, attraversiamo boschi e pascoli in direzione di Porta Manazzo, cercando nel sottobosco la presenza di qualche porcino, ma invano.
Incontriamo altri appassionati escursionisti che come noi scendono verso il rifugio. Il fascino del bosco, i fiori, le piante, il silenzio ci riempie gli occhi e l’animo.
Rinfrancati e contenti di una giornata montana trascorsa in armonia con la natura, ci si avvia al rifugio Larici, dove Alessio il gestore, nostro vecchio conoscente, ci ristora con un buon macchiatone ed una fetta di torta fatta in casa.
Gilberto Frigo, l’uomo del nord