PORTICI – Il maneggio coperto di Palazzo Mascabruno, all’interno del sito Reale di Portici, fu completato nel 1799; una meraviglia simile si trova solo a Vienna; sebbene quest’ultimo sia più alto e riporti archi interni, è proprio dalla meravigliosa opera porticese che è stato tratto il progetto del galoppatoio di Schönbrun, realizzato solo tre anni dopo.
La direzione dei lavori per il Restauro e recupero funzionale è affidata all’architetto Ciro La Greca.
Lo Speaker ha avuto la possibilità, in anteprima, di visitare il cantiere, grazie alla disponibilità dell’assessore all’urbanistica Architetto Stefania Caiazzo dell’Amministrazione comunale di Portici, committente dei lavori con i Fondi PIU Europa. I lavori sono di una certa complessità tecnica, in particolare per quanto attiene il restauro della struttura lignea costituita da capriate in stile palladiano a supporto della copertura e del controsoffitto, sempre ligneo, quest’ultimo di una bellezza unica di arte e tecnica.
Prima di affidarci a Massimiliano Sampaolesi, direttore restauratore della ditta Giovanna Izzo Restauri, per la visita al cantiere l’architetto La Greca ha sottolineato che «… il lavoro è completamente documentato in ogni sua fase. La tecnica cammina pari passo con il restauro, anche per ragioni di sicurezza pensando alla futura destinazione, a grande spazio coperto capace di ospitare circa trecento persone. Non è dunque solo un problema di restauro, ma anche di consolidamento, e nel contempo bisogna stare attenti a non alterare l’originaria struttura settecentesca con elementi, per quanto necessari ed indispensabili, estranei alla storicità del manufatto, unico del periodo in Europa.
Le ditte coinvolte nel restauro sono due, distinte per specificità: la Ditta Izzo Mario, rappresentata da Francesco Paribello, è alle prese con il consolidamento statico delle murature, delle volte e dei solai, oltre a definire una nuova distribuzione interna dei locali adibiti ai vari servizi completi di impianti vari. L’altra Ditta, la Giovanna Izzo Restauri, rappresentata dal restauratore Massimiliano Sampaolesi, è specifica invece per il restauro dello scalone, delle capriate, del controsoffitto ligneo e delle leghe metalliche».
Lo stesso Sampaolesi ha dichiarato:
«Questo corpo di fabbrica era nato per motivi diversi e soprattutto in origine insisteva su di una strada più scoscesa. I Borbone erano molto attivi per quanto riguarda l’equitazione; qui si addestrava il corsiero napolitano, una razza equina creata da un incrocio col cavallo murgese da trekking, rozzo e forte, e un cavallo spagnolo. Nelle ultime fasi di affinazione fu incrociato col cavallo da battaglia romano, e ne venne fuori lo splendido corsiero, bello, forte, affidabile in combattimento.
Una struttura preesistente venne dunque adattata a galoppatoio coperto; fu innanzitutto sventrata, come dimostrano in alto le cornici marcapiano che indicano che in realtà fosse più basso e suddiviso in maniera diversa. La parte inferiore fu poi riadattata per costruire il maneggio privato del re. Sulla base di alcune pertinenze che abbiamo trovato, ma anche sul modello viennese, possiamo dire che l’importante scalone in pregiato piperno di cava alta e quindi più chiaro, succedeva all’ingresso, attualmente chiuso ma sarà attivo dopo i lavori.
Vista, la sua imponenza, non era sicuramente una scala di servizio ma piuttosto l’ingresso usato dal re per raggiungere le scuderie passando direttamente dal giardino; poi c‘era il passaggio per accedere al galoppatoio per fare dressage.
Anche l’ambiente circostante doveva essere decorato, come si evince dalla nicchia di m 1,80 x 3 dove probabilmente trovava posto una scultura equestre, e dai resti di una cornice centinata, che faceva supporre la presenza di affreschi.
In questo ambiente abbiamo rinvenuto il disegno di un pentagramma eseguito con una matita detta sanguigna, in uso fino all’inizio dell’800, e il graffito di un galeone con bandiera inglese.
Gli inglesi furono a Napoli dal 1806; poiché le due raffigurazioni sono state trovate sullo stesso strato, è plausibile supporre che siano coeve e risalgano a quel periodo o poco dopo.
Quando abbiamo iniziato i lavori, le pareti avevano una superfetazione pittorica di colore rosso; abbiamo dunque rimosso diversi strati grattandoli con l’apposito bisturi, fino a raggiungere quello originario in gesso marmorino bianco, che ha un effetto lucido.
Per quanto riguarda l’ambiente del maneggio è da ammirare la magnifica opera delle capriate palladiane. È una capriata in legno di castagno: la regione d’eccellenza fornitrice di questo legno era la Calabria; sulla Sila gli alberi venivano fatti crescere perfettamente diritti, e quindi facili da lavorare.
Qui è ancora in sito i resti di una piccola fornace posta nella parte della struttura adibita a vari ambienti di servizio; la sua presenza non si spiega se non con il fatto che appartenesse alla struttura precedente, dove probabilmente si realizzavano manufatti in porcellana.
La capriata dunque resterà a vista?
Si; è prevista anche una scala interna che porterà al sottotetto per la manutenzione ordinaria della capriata ma anche per dare la possibilità di poter visionare dall’alto queste componenti strutturali che poi sono elementi di altissimo valore di tecnica e di valore architettonico. Sarà una possibilità in più per ammirare quest’opera in tutta la sua grandezza che altrimenti andrebbe persa.
È un esempio della controsoffittatura napoletana: la capriata era celata da due teli di juta su cui fu passata una mano di gesso. In questo caso ci potevano essere anche i decori, ma abbiamo solo trovato residui della tela e dei giornali datati inizio ‘900 che all’epoca venivano usati per la manutenzione delle tele.
La capriata aveva dunque funzione anche di sostenere il controsoffitto; la struttura delle capriate a supporto del tetto si trova invece quattro metri più sopra.
Probabilmente chi ha realizzato questa struttura era un maestro d’ascia, un costruttore di navi, perché vi sono delle centinature che iniziano da una parte e finiscono dall’atra ad intervallo di cinque tra le varie sezioni.
Le stesse centine erano utilizzate nella costruzione delle barche: praticamente questa controsoffittatura è un chiglia rovesciata: è stata realizzata con la tecnica usata dai carpentieri dei cantieri navali.
Un’opera unica; di così non se ne ritrovano di uguali. Si fa una scoperta ogni giorno: ci sono voluti mesi per conoscere il progetto originario, ammesso che sia stato interpretato nel modo giusto … Sarebbe un delitto non darne la possibilità di a tutti di ammirarla: il visitatore dovrà avere la possibilità di ammirarne la maestosità dall’alto e dal basso, con un sapiente gioco di luci a quadrettatura.
Quali sono gli interventi già effettuati sulla capriata?
Prima sono stati individuati e calcolati gli elementi lignei da reintegrare o ricostruire: 27 ricostruzioni, 70 integrazioni, 60 i punti integri
Delle varie fasi lavorative già ne abbiamo completate alcune: innanzitutto sono stati eliminati polvere e rifiuti. Precedentemente al di sopra c’era un tavolato di copertura su cui poggiava un massetto, rimosso in precedenti lavori di bonifica dell’amianto ad opera della Università, ospite della struttura.
Poi il legno è stato disinfestato dagli animali xilofagi ed è stata iniettata una resina speciale che indurendo lo rafforza, la stessa tecnica usata per consolidare il legno delle antiche navi sommerse.
All’epoca della costruzione come furono tenute insieme le travi di castagno?
Non fu un’opera realizzata a moduli, vale a dire che man mano che si ultimava un pezzo, si chiodava e si passava al successivo.
Per la chiodatura venne usata una tecnica in uso tra i Rom fino agli anni ‘40: grossi chiodi venivano arroventati sul fuoco per poi venire inseriti nel legno a colpi di maglio; per il forte calore il legno si ritirava senza spaccarsi, per poi riespandersi una volta raffreddato, diventando tutt’uno col chiodo che plasmandosi ricurvava all’interno del legno.
La punta ricurva fa sì che il chiodo non si possa estrarre in alcun modo: questi della capriata dopo secoli assolvono ancora egregiamente al loro compito.
Della capriata due parti hanno ceduto. Saranno riparate?
Valuteremo il meglio possibile, le do appuntamento a fine lavori per valutare cosa siamo stati capace di fare, la direzione lavori ci ha dato piena fiducia nel proporre a mano a mano le soluzioni che saranno vagliate assieme. Oltretutto in restauro meno si altera meglio è: le parti di legno che hanno ceduto sono la nostra preoccupazione, ma faremo il possibile per rimetterle in sesto.
Lo Speaker ha provato a raccontare tutto questo, potendo citare per ragioni di spazio solo alcuni degli interventi effettuati, ripromettendosi di continuare a seguire i lavori per tenere costantemente aggiornati i lettori.