È la favola di La Bella addormentata nel bosco con gli stessi protagonisti, ingredienti e situazioni: ma vista dagli occhi della Strega, che però tanto cattiva non è come appare …
Nel ‘59 la Disney costruì un film di animazione con uno sforzo produttivo enorme: 6 mln di dollari, all’epoca una cifra spropositata per un cartone. Ma il successo che gli arrise fu enorme: planetario e duraturo.
E tuttora è considerato un capolavoro che ha segnato un livello dell’immaginario collettivo epocale nella fantasia fiabesca. Fresco e creativo tanto che ogni qual volta lo proponeva nelle sale era un successo al botteghino: non solo una rendita finanziaria, ma la diffusione quasi virale di un luogo di metafora universale e condiviso, presso numerose e differenti generazioni infantili, sia geograficamente che nel tempo.
Mi soffermo su questi elementi per sottolineare quale sia stato per la Disney il senso di una sfida con se stessa, a distanza di 65 anni, della cui portata certamente era consapevole. Una versione realistica che non “uccidesse” l’originale, ma lo trasformasse sull’onda del “sentire” del tempo odierno, in modo da adeguarne e rinnovare il senso metaforico; ma anche i moduli formali ed espressivi.
Perciò per la prima trasformazione ha chiamato la sceneggiatrice Linda Woolverton, una della più geniali di Hollywood: a lei si deve lo script del capolavoro Il Re Leone (‘94). Costei ha “rovesciato il tavolo”: ha fatto assumere all’intera narrazione un altro e organico punto di vista, quello della Strega; ma, congiuntamente a quello della Sleeping Beauty. Che nella favola originale, è educata dalle piccole fate; qui invece, nei punti nodali, appare direttamente Malefica.
E anche il nome resta lo stesso: ma ne è rovesciato il senso: lei, in principio, era la principessa delle fate. Ma la trasformazione del carattere, a opera di Stefano, il padre di Aurora, che la ferisce terribilmente per eliderla delle ali, la trasforma trasformando in un aggettivo esistenziale il suo nome.
Ed è proprio dal rapporto con Malefica che Aurora cresce ed è in grado di affrontare il padre. Che è, in senso reale e metaforico, il vero cattivo della vicenda.
E anche il Principe del bacio risvegliante, Filippo, appare: ma volutamente non ha alcun peso: chi sostiene e affronta la sfida del destino sono le due donne e il Corvo, che rassomiglia più al nostro Grillo Parlante.
È una visione originale, strutturata e di grande respiro, quella proposta dalla sceneggiatura. A cui è adeguato il segno grafico: il regista del film (USA, ‘14) è Robert Stromberg, Art Director due volte Premio Oscar (Alice in Wonderland e Avatar). Che però, al contrario di come spesso capita quando un tecnico-artistico arriva alla regia, non solo ha “imbellito” la narrazione, ma le ha dato quel respiro e quel ritmo che la caratterizza in modo autorale.
Il film ripercorre, nella sostanza, tutte le situazioni presenti nel cartone del ‘59: compresa la bellissima lotta col Drago, ma ne muta la collocazione e la motivazione nello spazio narrativo. Qui è amico delle protagoniste, ad esempio; ma la presa e riuscita drammatica sono identiche.
La fotografia è del Premio Oscar Dean Semler, che ha dato quella pastosità cromatica così in bilico tra medioevo fantastico e realtà che si trasforma in sogno.
Il montaggio è a cura dei veterani, pluripremiati, Chris Lebenzon e Richard Pearson: veloce ma anche sapientemente concentrato sui dettagli.
Però il film non sarebbe esistito senza la presenza di Angelina Jolie: è lei che, oltre a produrlo, da senza imperversare, quel tono concentrato, dolorosamente sommesso alla narrazione e ai suoi innumerevoli passaggi; li unifica e li rende credibili.
Così molto significativa è la prova dell’attore sudafricano Sharlto Copley, che sa essere falso ma sofferto nel ruolo, qui centrale, del padre di Aurora.
Un cenno a James D. Fleming, Darren Hendler, Kelly Port che hanno coordinato i complessi ed efficaci effetti visuali: impreziosiscono il nostro immaginario, facendolo lievitare senza stordirci.
Francesco “Ciccio” Capozzi