Torre del Greco, a 6 km dal Vesuvio e a 12 da Napoli, città distrutta dalla furia eruttiva del vulcano per 24 volte e ricostruita dai suoi indomabili e generosi abitanti. Tant’è vero che il motto dello stemma comunale inneggia alla Fenice, il mitico uccello che risorge dalle proprie ceneri.
La cittadina vesuviana oggi conta circa 100mila abitanti; immersa in un verde lussureggiante e una campagna rigogliosa, dove spicca la magnifica uva bianca che dà un vino eccellente, Torre del Greco ha conservato tracce di antichi insediamenti etruschi; nel 476 a.C. vi arrivarono i Greci, poi i Romani nel 290 a.C.
Torre del Greco si sviluppò nel VI secolo d.C. intorno ai due villaggi di Calastro e Sola; nel 1239 fu dotata della Turris octava, una delle tante torri costiere di avvistamento disseminate lungo il litorale frequentemente funestato dalle incursioni barbaresche.
In tempi più recenti, ecco che siamo a Torre in piazza Palomba, davanti all’Istituto d’Arte che tramanda la lavorazione del corallo, madreperla, oro, avorio, corallo rosso e bianco, fondato nel 1878 con annesso Museo del Corallo.
il direttore e il gentilissimo personale dell’Istituto e del Museo fanno da guida a me e alla bruna Florinda Pagano, in compagnia della bella Enrica Marchese De Gregorio, di donna Anna Carafa dei duchi d’Andria e della giovane donna Lucia dei conti de Gavardo, la nipote del famoso studioso conte Ludovico, a sua volta figlio della grecista e linguista nonché esperta di letteratura russa, la de Gavardo Ferrigno.
Inizia dunque una visita tra le meraviglie artistiche, su cui domina il corallo rosso, una squisita colonia miracolo della Natura formata da piccoli zoofiti che riescono a formare un minuscolo albero.
Lavorata rigorosamente a mano, questa piccola meraviglia naturale diventa di volta in volta o un quadro o un gioiello, ma anche statue, presepi, crocefissi, libri miniati, miniature e oggettistica varia. Una pregevole lavorazione che è diventata il simbolo di una Città fedele alle tradizioni della marineria e della pesca del corallo, conservata attraverso i secoli nonostante tutto, sopravvissuta alle numerose eruzioni vulcaniche, tra cui quella del 16 dicembre 1631 e la ancor più terribile del 15 giugno del 1794, quando la lava distrusse il porto e ne formò uno naturale di lava, ai tremendi terremoti del 1861. Una vita quasi distrutta ma puntualmente rinata per la forza caparbia di un popolazione ammirata e stimata in tutto il mondo.
A Torre del Greco la pesca del corallo affonda le radici nel 1453, sotto il dominio aragonese, con la Compagnia dei Catalani, monopolisti di tale pesca sin dal 1439 sulle coste della Corsica e della Sardegna; i Torresi sfidavano i Pisani, che dal 1087 avevano una concessione nell’isola tunisina di Tabarka, e i genovesi Lomellini, subentrati ai Pisani nel 1494, che facevano parte dell’entourage di Andrea Doria, doge della Repubblica di Genova,. Inoltre i corallari torresi erano in concorrenza anche con quelli marsigliesi.
Nell’anno 1639, 58 padroni di barche per la pesca del corallo, dette coralline, di Torre del Greco si consorziarono e fondarono presso la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli il Monte dei Marinai Corallari. L’Istituzione prevedeva fondi annuali per 50 ducati destinati alla mutua assistenza di vedove, orfani, funerali, doti per matrimoni, nonché il riscatto dei corallari che cadevano in mano ai pirati barbareschi. Nel 1724 il fondo fu accresciuto fino a disporre di 75 ducati annui.
Nel 1688, la flotta torrese di barche coralline contavano 400 unità; i pescatori e i marinai erano 2000 su un totale di 6000 abitanti. La pesca veniva effettuata sulle coste di Calabria, Sardegna, Corsica, Toscana, Provenza, ed era una continua sfida con i corallari siciliani di Trapani.
Nel 1739 Carlo III di Borbone, viste le frequenti incursioni barbaresche, decise di proteggere le coste del regno con campagne navali di guerra della flotta napoletana, dove si distinse il capitano di fregata spagnolo Giusepppe Martinez, detto Capitan Beppe, che nel 1739 sbarcò a Tunisi e da quel momento iniziò una lotta senza quartiere contro i Saraceni con azioni dimostrative della potenza borbonica e atti di ritorsione.
Fu per questo motivo che nel 1750 Carlo III autorizzò il capitano Domenico Lo Giudice da Lipari ad armare dei feluconi per scortare durante le battute di pesca i corallari di Sicilia e di Torre del Greco sulle coste sarde, corse, calabresi e siciliane.
Il re fece anche restaurare le torri costiere di avvistamento erette del periodo vicereale, fortificò i porti e i forti della costa, militarizzò il molo del Granatello di Portici e armò tutti i porti in prossimità di Napoli.
Carlo III il 1 giugno 1778 concesse sussidi regi ai marinai mercantili e ai corallari del Regno, per aiutare i più poveri e i prigionieri appena liberati: la somma di 5 ducati era quella destinata ai corallari perché potessero comprarsi vestiti e cibo.
Nell’aprile 1780 il marinaio corallaro Summo scoprì un isolotto disabitato a 43 miglia da Tunisi e 24 dall’isola tunisina di Galita, oltre l’arcipelago di Capo Bon; i torresi lo colonizzarono costruendovi una base pescereccia che usavano da aprile a settembre di ogni anno. Vi erano capanne, baracche, frascati, palizzate di cinta, torrette di legno di guardia e di avvistamento, depositi, un ricovero sull’arenile, un’infermeria, una cucina da campo; eressero anche un altare dove un sacerdote cappellano amministrava la Santa Messa.
L’isolotto era difeso da tre navi pescherecce armate con cannoni al comando di corsari; tre erano di Torre del Greco, i fratelli Gennaro e Giuseppe Accardo e Agostino Del Dolce, e uno di Lipari, Francesco Gliutteri.
Confermando sempre più la sua tradizione marinara, Torre del Greco nel 1790 annoverava una flotta corallina di 4000 pescatori e marinai su 12mila abitanti, 600 barche e 2000 marinai mercantili, 500 marinai e ufficiali militari borbonici.
Il 22 dicembre del 1789 Ferdinando IV su consiglio del primo ministro cavalier Guglielmo Acton promulgò a Caserta il Codice Corallino e fondò a Torre del Greco, nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, un consolato eletto di anno in anno, composto da 5 capibarca, tre residenti e due in viaggio, per l’arbitraggio di cause giuridiche interne dei corallari.
Il consolato si occupava anche di direzione della pesca, concessione delle patenti, contabilità, feste, della pesca sia ittica che del corallo. il codice fu redatto da Antonio Planelli di Bitonto e dall’avvocato procidano Michele de Iorio, già famoso per il Codice di Commercio e della Navigazione internazionale del 1782.
Nell’aprile del 1790 si perfezionò la materia con la fondazione della Compagnia di Navigazione e di pesca corallina di Torre del Greco, con propri magistrati e custodi, e con diritto di vendere nel Regno e all’estero i propri prodotti e con bandiera propria, uno scudo azzurro con una torre tra due rami di corallo e in cima tre gigli d’oro.
Alla compagnia era stato assegnato un fondo di 600mila ducati, l’equivalente di due campagne annuali di pesca del corallo ripartiti in 12mila azioni da 500 ducati ciascuno, di cui un terzo era riservato ai cittadini torresi.
Nel 1813, durante la seconda guerra barbaresca, mentre la flotta americana, unitamente a quella olandese e britannica, bombardava Tunisi, la Compagnia del Corallo di Torre del Greco prosperava.
Nel 1815 venne nominato cappellano della compagnia all’isola tunisina di Galita don Gerardo Palomba, che nel 1816 riuscì a far liberare parecchi pescatori di corallo torresi prigionieri.
Dal 1824 al 1828 le barche coralline di Torre del Greco salirono da 105 a 220.
Le incursioni e gli attacchi barbareschi però continuavano, e nel 1828 Francesco I di Borbone stabilì che la flotta da guerra proteggesse le navi mercantili e coralline del Regno delle Due Sicilie; nel 1834 Ferdinando II in seguito fece bombardare Algeri e costrinse il bey ad un accordo di protezione per la flotta mercantile. Le cose migliorarono, tanto che nel 1836 da Torre del Greco partirono ben 254 barche coralline.
Seguì quindi un periodo di relativa prosperità fino alla tremenda eruzione del 1861 e ai terremoti di quell’anno: Torre, quasi distrutta, fu coraggiosamente ricostruita.
Nel marzo del 1869 partirono 300 barche dal molo di Portosalvo di Torre del Greco; funestate nel Mediterraneo da un terribile fortunale ripararono in 200 a Porto Ercole in Toscana, gettando in mare provviste e attrezzi per alleggerire gli scafi. Solo 100 coralline riuscirono a raggiungere i porti nordafricani.
Nel maggio del 1875, a più di cento anni di quello rinvenuto al largo delle coste della Tunisia nel 1783, i torresi trovarono un ricco banco di corallo rosso al largo della Sicilia a 30 miglia sud ovest da Sciacca di 40mila m² ad una profondità di 200 metri; nel 1878 ne venne scoperto un secondo nella stessa zona per 2.500.000 m²; nel 1880 fu trovato un terzo nel Canale di Sicilia di 17 milioni m² ad una profondità di 150 metri.
Si trattava del corallo di Sciacca, di colore rosso aranciato. Tra i vari tipi di corallo, lo Sciacca costituisce un caso a parte; Giancarlo Ascione dell’antica famiglia corallara torrese, ha spiegato a Lo Speaker: «Tra la fine ‘800 e l’inizio del ‘900 furono trovate delle cataste di corallo, probabilmente trasportate da correnti sottomarine, che in quel punto sono molto forti. In quanto già morto, più che pescato fu estratto. Ciò che non si spiega è come mai questi pezzi di corallo non si siano polverizzati, come sarebbe dovuto succedere, o come altri tipi di batteri abbiano determinato un cambiamento di colore. Forse il motivo è l’alta percentuale di zolfo presente in quelle acque; ma sono solo ipotesi».
Dopo questi favolosi quanto inspiegabili ritrovamenti, l’industria del corallo e il suo indotto si ingrandì sempre più e la Città cominciò a sentire l’esigenza di una scuola di incisione del corallo e di un museo che raccogliesse i meravigliosi manufatti; fu vagliato quindi il vecchio progetto borbonico del 1790 del ministro Acton, che lo aveva riproposto anche nel 1810 a Palermo.
Il progetto non fu mai realizzato, ma venne ripreso e ampliato dal 1864 al 1876 e con D.R. n 4428 serie 2 del 23 giugno 1878, come richiesto nel 1872 dall’onorevole Della Rocca; fu istituita dunque la scuola d’incisione su corallo e disegno artistico.
Il primo preside fu il professor Luigi Palmieri, che dal 1861 era stato direttore dell’Osservatorio vesuviano; l’amministratore fu Antonio Agostino Brancaccio, consigliere provinciale e comunale di Torre del Greco.
Anche grazie all’Istituto d’Arte “Palomba”, oltre che alla passione degli operatori del settore oggi la lavorazione del corallo è ancora viva a Torre del Greco; antiche famiglie torresi di corallari perpetuano la grande tradizione, utilizzando ancora insostituibili tecniche artigianali, conservando documenti, copie dei preziosi realizzati nel corso degli anni, come la famiglia Ascione, che offre a tutti lo spettacolo di un piccolo, delizioso museo nello showroom napoletano della Casa di piazzetta Matilde Serao, nell’angiporto della Galleria Umberto I.
Michele Di Iorio