Il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni sociali e politiche in tutta Europa. Anche nel Regno delle Due Sicilie, governato dal 1830 in modo tranquillo e illuminato e saggio dal moderato sovrano Ferdinando II di Borbone. Salito al trono giovanissimo, regnò con saggezza per 29 anni eliminando per quanto possibile tutti i mali e favorendo il progresso.
Lo spirito pragmatico del ventenne Ferdinando II da subito affrontò i problemi relativi alla corruzione, e le derivanti crisi amministrative e deficit del bilancio di Stato con la riforma di leggi civili e militari.
Concesse indulti e amnistie a prigionieri politici, confinati, richiamando esiliati dall’estero, restituendo a coloro che ne erano stati privati gradi, onori, titoli, decorazioni, impieghi civili e militari.
Ferdinando II ebbe un occhio attento per la cultura: riformò sistema scolastico e università, concesse una certa libertà di stampa, ma anche per quelli che erano i servizi statali, cominciando dalle carceri e finendo agli ospedali civili e militari.
Nel settore dell’Ordine pubblico fronteggiò il brigantaggio arruolando 40mila guardie urbane, 2000 doganieri di finanza, 6 mila compagni d’arme a cavallo in Sicilia, 2000 pompieri, 1000 agenti di custodia, affiancati da 5000 gendarmi a cavallo e 60mila soldati di linea e della Guardia reale.
Il quarto sovrano della dinastia Borbone Due Sicilie fu tanto lungimirante da potenziare il commercio, l’artigianato, il lavoro dipendente civile e amministrativo. Favorì l’industria, sviluppando contemporaneamente l’importazione ed esportazione.
Nell’affrontare le crisi dimostrò sempre carattere, come in quella dello zolfo siciliano, che lo vide contrapporsi addirittura alla potente e rancorosa Inghilterra. Anche quando il 12 gennaio 1848 Palermo insorse e la rivoluzione dilagò in tutta la Sicilia.
Il 28 la rivolta raggiunse il vicino Cilento e da lì in Puglia e in Calabria; i moto furono fomentati dai ribelli siciliani, a loro volta istigati dagli onnipresenti agenti segreti inglesi.
Ferdinando II il 18 gennaio concesse riforme municipali, libertà di stampa e amministrazione separata tra Napoli e Sicilia. Il 29 gennaio promise la Costituzione, la Guardia civica e la Guardia nazionale, nonché il Parlamento nazionale, il primo tra tutti gli stati italici.
La Costituzione venne concessa il 7 febbraio e promulgata il 10 febbraio. Il 24 febbraio il re giurò fedeltà alla Carta nella chiesa di San Francesco a Napoli.
In pieno fermento dei moti del 1848, va sottolineato che Ferdinando fu il meno reazionario dei sovrani e certamente quello più pronto a cogliere il segno dei tempi. Infatti il re di Sardegna Carlo Alberto concesse la Costituzione il 28 febbraio, seguito dal Granduca di Toscana, dal Duca di Modena e infine dal papa il 14 marzo.
Mentre nella capitale del Regno delle Due Sicilie si perfezionavano le leggi elettorali per formare il Parlamento nazionale, tra lo sventolìo delle bandiere gigliate borboniche numerosi volontari partirono da Napoli per andare in Lombardia in appoggio ai milanesi insorti contro gli Austriaci. Furono i primi a partecipare ai moti risorgimentali, seguiti dai soldati sardi, granducali, volontari toscani e infine da volontari comandati dal generale Durando più i soldati pontifici, di cui molti svizzeri, inviati dal papa.
Eppure, la partecipazione dei soldati duosiciliani alla prima guerra d’Indipendenza non è mai stata tenuta in conto dall’iconografia risorgimentale unitaria che ha invece esaltato le gesta dei militari piemontesi, pontifici e toscani.
La storiografia ufficiale, quella scritta dai vincitori, menziona vagamente la partecipazione dei volontari borbonici alla prima delle tre guerre d’Indipendenza e alla difesa di Venezia nel 1849, ma evita di parlare e di diffondere stampe d’epoca dei soldati mandati dal re delle Due Sicilie, che invece ebbero un ruolo molto importante.
Per rendere il dovuto onore a Ferdinando II di Borbone – passato alla storia come retrogrado, reazionario e poi addirittura come Re Bomba – e per commemorare il sacrificio dei valorosi soldati duosiciliani, ecco la verità storica su come il Regno fu protagonista delle battaglie risorgimentali e su come si svolsero le vicende della prima guerra d’Indipendenza nel 1848.
Il 3 aprile 1848 il neonato Parlamento duosiciliano inviò il deputato Costabile Carducci a Torino per concertare i movimenti militari dei volontari e delle truppe borboniche che il re intendeva mandare contro l’Austria.
Il 5 aprile la flotta duosiciliana dell’ammiraglio De Cossa lasciò gli ormeggi di Pescara per bloccare gli austriaci a Venezia e a Trieste, mentre altre ne partirono da Napoli con il I battaglione del X reggimento di fanteria di linea Abruzzi, al comando del colonnello Rodriguez. Dieci giorni dopo partì anche il secondo battaglione, raggiungendo il totale di 1000 soldati borbonici più 700 civili volontari, che dopo 5 giorni dopo partirono in treno per poi attestarsi sul fiume Mincio in attesa del comando alleato militare piemontese, toscano e pontificio.
il 4 maggio una squadra navale dell’ammiraglio De Cossa, dopo aver imbarcato due divisioni regolari di linea dell’esercito duosiciliano, per un totale di 16mila soldati e ufficiali al comando del generale Guglielmo Pepe – richiamato dall’esilio di Parigi da Ferdinando II – dopo due giorni giunsero ad Ancona e marciarono verso la Lombardia per unirsi alle truppe pontificie di Durando.
La flotta napoletana l’8 maggio si unì a quella piemontese per bloccare gli austriaci a Pola e a Venezia. I 15 mila soldati napoletani in due divisioni erano al comando dei generali Statella e Niccolini.
Il comando militare alleato diretto dai piemontesi decretò la resistenza ad oltranza, dopo che il 6 e 7 vi erano stati scontri tra pattuglie di perlustrazione,
Gli austriaci diedero inizio alla battaglia di Curtatone il 13 maggio lanciando tre battaglioni sulla sinistra dello schieramento alleato italiano, composto da due battaglioni di toscani, 4 compagnie del Reggimento Abruzzi e una compagnia di linea, più due battaglioni di volontari napoletani.
Il generale piemontese de Laugier ordinò al colonnello Giovannetti dei volontari napoletani di attaccare con due compagnie di regolari toscani e volontari napoletani.
L’azione si presentò ardua e sanguinosa per i volontari che si battevano contro le truppe regolari austriache, ma fu provvidenziale l’intervento della I compagnia del reggimento Abruzzi del capitano Cantarella, reduce napoleonico richiamato in servizio dal re nel 1831, che al grido di Viva Napoli e viva l’Italia occupò la casina di San Silvestro sulla strada di Montanara, mettendo in fuga due compagnie austriache del generale Radetzky.
Respinse inoltre 7 assalti di tre battaglioni dei reparti austriaci, riuscendo ad allentare la pressione nemica sulla compagine alleata in attesa dell’arrivo delle truppe toscane di supporto.
il 20 maggio Radetzky fece partire da Verona 20mila soldati imperiali per il contrattacco; solo a Curtatone furono indirizzati nove battaglioni e uno squadrone di cavalleria con ventidue cannoni, seguiti da un’ondata austriaca proveniente dalla sinistra composta da 5 battaglioni e 6 cannoni che con un manovra accerchiante a ventaglio sfondarono il centro dell’armata sarda. Ma a Curtatone e a Montanara in avanguardia c’era solo un terzo dell’armata alleata italiana: 5400 napoletani e toscani con nove cannoni e un plotone di cavalieri, cioè due battaglioni di regolari toscani e 500 volontari napoletani e 546 soldati borbonici del I battaglione e 470 del II del X reggimento borbonico di linea Abruzzi.
Prima della battaglia il capitano Cantarella si rivolse così ai suoi uomini: «Ragazzi, qui si combatte per l’onore di Napoli e per l’Italia. Viva ‘o Rre Ferdinando e viva Napoli, viva l’Italia e papa Pio IX! Abbasso gli Austriaci che ci hanno messo i piedi addosso! Ricordate cosa hanno fatto nel 1799 e nel 1806 i nostri nonni e genitori contro francesi e austriaci in difesa del nostro Regno. Qui si resiste fino all’ultima goccia di sangue, all’ultimo uomo. Chi fugge è un codardo. Altrimenti gli Austriaci potrebbero venire a Napoli a violare la nostra terra, le nostre donne, le nostre case».
I soldati borbonici vomitarono un fiume di fuoco e poi si gettarono all’assalto alla baionetta. Caddero 250 soldati del battaglione che si era subito schierato intorno alla compagnia del capitano Cantarella, mentre i volontari toscani di Pisani accorrevano con grande coraggio guidati dal giovane napoletano Pilla, ucciso in combattimento. Tennero duro fino all’arrivo dei rinforzi piemontesi con onore e sangue, il sangue dei giovani napoletani nella bella divisa borbonica …
Montanara, 13 maggio: migliaia di austriaci con molti cannoni contro il X di linea Abruzzi, con la I compagnia a sinistra, l’VIII al centro e la V di rincalzo. I nemici prima di attaccare gridarono con voce gutturale: «Soldati di Napoli, fuìte! Scappate che veniamo a massacrarvi, si salvi chi può di voi!»
Il X di linea rispose con «Viva ‘o Rre, viva Napoli, viva l’Italia! Abbasso l’Austria!» e sparando si lanciarono alla carica alla baionetta. Gli austriaci facevano fuoco ad alzo zero a mitraglia: una carneficina, un macello sicuro ma i napoletani avanzavano coraggiosamente. Cadde il maggiore Spedicati, comandante del II battaglione. Il comando della carica all’arma bianca fu rilevato dal capitano Luigi Catalano.
Sebbene supportati dall’arrivo della V compagnia, persero 183 soldati, tra cui 5 ufficiali e il portastendardo, ma la bandiera fu salva, passata di mano in mano tra i militari borbonici, ragazzi dai 18 ai 26 anni, che gridavano: «Guagliù, ‘a bandiera d’o battaglione! Viva ‘o Rre Ferdinando, viva Napoli, viva l’Italia!»
Il capitano Catalani, benché ferito per 5 volte in modo serio, continuava a rialzarsi e a baciare la sua bandiera e lanciarsi con i suoi uomini all’assalto. Il capitano Cantarella, 6 volte ferito, combatteva con coraggio e abnegazione.
I valorosi soldati borbonici come già nel 1796 in Lombardia erano diavoli per gli austriaci, che non credevano ai loro occhi: quei ragazzi andavano all’assalto di cannoni a mitraglia senza alcuna copertura di fuoco. Ne cadevano tanti, ma gli austriaci persero sul campo 95 uomini, ebbero 576 feriti e 76 vennero fatti prigionieri dai borbonici.
Gli ufficiali piemontesi arrivarono al calar della sera con i rinforzi. L’inviato toscano lodò le truppe e i volontari di Napoli che si erano battuti a Curtatone e a Montanara. Su sua segnalazione ma anche su quella di ufficiali superiori piemontesi – tra cui il famoso Alfonso La Marmora – il 13 maggio il capitano Cantarella fu decorato da re Carlo Alberto alla presenza del colonnello Rodriguez con la medaglia piemontese al Valor Militare, Gli ufficiali napoletani caduti vennero insigniti di medaglie alla memoria. La cerimonia fu struggente: la tromba intonò il silenzio e poi si resero gli onori ai valorosi scomparsi in battaglia.
Gli austriaci ripiegarono dunque in forze su Goito, decisi a ribaltare l’esito degli scontri il giorno successivo.
Il generale piemontese Bava Beccaris, alla presenza di Carlo Alberto, degli ambasciatori di Toscana, di Roma, di Napoli e del principe reale Vittorio Emanuele duca di Savoia – il futuro re Vittorio Emanuele II – schierò davanti a Goito 21 battaglioni, 23 squadroni di cavalleria e 56 cannoni, di cui in prima linea tre battaglioni del reggimento piemontese Cuneo e 11 del Casale, e il I battaglione del X reggimento Abruzzi, benché decimato, con l’ordine di non retrocedere, ad ogni costo.
Il colonnello borbonico Rodriguez non batté ciglio, ma esortò i suoi soldati ricordando i valorosi compagni caduti. Schierò dunque le sue truppe: 3 compagnie con il maggiore Viglia a ridosso del ponte di Goito, una compagnia alle feritoie del muro di un giardino verso un mulino sul fiume Mincio, due compagnie dietro le case del ponte e 3 a sinistra dei soldati sardi, ma a destra del fiume Mincio. Tutte operazioni eseguite in perfetto silenzio.
Un grosso volume di fuoco a mitraglia avvolse la prima linea alleata tenuta dai borbonici del X Abruzzi per coprire i soldati austriaci che avanzavano sparando contro i nemici.
Un grido e tre squilli di tromba e i borbonici corsero come un sol uomo in avanti facendo fuoco e brandendo le baionette. Gli ufficiali sguainarono le sciabole tra lo sventolìo delle bandiere reggimentali.
L’attacco austriaco venne così sconvolto e gli imperiali furono costretti a ripiegare dietro i loro cannoni incalzati dalle furie in divisa duosiciliana. Vennero inseguiti e caddero a decine; furono catturati 4 cannoni austriaci.
All’arrivo dei piemontesi il colonnello Rodriguez, circondato dei suoi giovani in gran parte feriti e pieno d’orgoglio, consegnò i prigionieri, le bandiere e i cannoni nemici.
Il generale Bava Beccaris per conto del re di Sardegna consegnò alle truppe napoletane la Croce di Cavaliere di San Maurizio e San Lazzaro tra le congratulazioni dall’ambasciatore toscano Corsini.
Su 1116 soldati borbonici furono 443 i caduti tra Curtanone, Montanara e Goito. Un importante tributo di sangue, dunque.
Due divisioni inviate da Ferdinando II forti di 15 mila soldati al comando del generale Pepe, da Ancona intanto arrivarono a Bologna il 14 maggio, in attesa di coordinarsi con le altre truppe. Poco dopo giunse anche il generale Statella con un contrordine scritto dal re con cui richiamava le due divisioni per fronteggiare la rivolta di Napoli del 15 maggio e i disordini scoppiati in Sicilia, Cilento, Puglia e Calabria.
Il generale Pepe si rifiutò di rientrare a Napoli e si dimise dal comando, affidando la I divisione di 8mila soldati al generale Statella che s’imbarcò con le truppe alla volta della capitale.
Pepe con 7mila soldati lasciò Bologna e ordinò ai suoi uomini di marciare via terra contro gli austriaci per rinforzare l’eroico X Abruzzi.
Pepe raggiunse dunque sul Po i volontari pontifici del generale Durando ed insieme passarono il fiume protetti dal fuoco di copertura di una batteria di 8 cannoni con 27 cavalli di artiglieria ippotrainata.
Due giorni dopo pepe ordinò ai soldati di unirsi oltre il Po gli uomini di Durando. Ma questa volta le fedelissime truppe duosiciliane in gran parte non gli obbedirono e disertarono a ranghi compatti per eseguire gli ordini del re e marciare via terra verso gli Abruzzi.
Pepe si unì con meno di 1300 uomini ai pontifici a Rovigo e dopo lo scontro con le truppe austriache ripiegarono in ordine verso Venezia insieme al resto del X Abruzzi.
In totale furono 2000 napoletani militari che difesero Venezia assediata dagli austriaci fino a tutto il 1849,
Dopo l’armistizio piemontese di Salasco il generale borbonico Del Giudice si recò a Venezia sulla fregata Fulminante con bandiera parlamentare per invitare i veneziani a restituire gli 8 cannoni e a intimare ai 2000 soldati che avevano seguito il generale Pepe a rientrate a Napoli. Inutilmente: nessuno dei soldati comandati dal Pepe, dai colonneli Enrico Cosenz, Gerolamo Ulloa e Cesare Rossarol obbedì.
Degli irriducibili soldati rimasti a difendere Venezia se ne salvarono pochi; quelli che sopravvissero vennero tradotti prigionieri a Mantova e dopo atto di estradizione consegnati alle truppe borboniche come traditori.
Ferdinando II il Magnanimo, commosso dal valore delle sue truppe seppur ribelli ordinò che nessuno venisse giustiziato. Vennero condannati all’ergastolo, ma non ai lavori forzati. Nel 1857 furono liberati e rimessi in servizio dopo il fallimento della spedizione di Carlo Pisacane.
E questa è la storia risorgimentale del Regno delle Due Sicilie, una storia negata, come lo fu il valore dei suoi soldati e infangato l’onore di un grande sovrano come Ferdinando II di Borbone.
Mai re fu più ingiustamente calunniato dalla propaganda dei vincitori.
E la storia continua …
Michele Di Iorio