Il 30 settembre dai cittadini partenopei è ricordato come il giorno della Liberazione.
Era il 1943: al termine delle storiche Quattro giornate, cominciate il 27 settembre, il popolo napoletano al grido di «Ce simme sfasteriate!» insorse spontaneamente contro la tirannia nazista liberandosi da solo dalla occupazione dell’esercito tedesco.
Lo scenario dell’epoca vedeva la città pesantemente bombardato dalle forze alleate durante i primi tre anni della Seconda Guerra Mondiale (dal 1940 al 1943), quando l’Italia sotto il governo fascista di Benito Mussolini era al fianco della Germania di Hitler.
L’8 settembre dei 1943 venne ufficializzato l’armistizio con gli angloamericani.
Condizioni ambigue e confusionarie, e in più la fuga del re Vittorio Emanuele III verso Bari che lasciò nel caos più totale le Forze Armate italiane sparse per il Paese, allo sbando, senza ordini e disposizioni sul da farsi.
Lo Stato Maggiore dell’esercito tedesco, già nei giorni precedenti aveva già cominciato a “mangiare la foglia”, e ci mise pochissimo tempo a prendere il controllo della penisola.
Nel frattempo nel Nord Italia era nata a Salò la Repubblica Sociale Italiana, che mise al comando Benito Mussolini, da poco liberato dalla prigionia di Campo Imperatore nell’Abruzzo.
Lo stesso avvenne anche nella città di Napoli che, già devastata dai massicci bombardamenti dell’aviazione angloamericana e abbandonata dalle oramai inesistenti Istituzioni, dovette ancora subire la tirannia dell’occupazione nazista del colonnello Walter Schöll, comandante delle forze tedesche della città.
Tra i vari provvedimenti dell’epoca, il 23 settembre Schöll aveva ordinato lo sgombero di tutta la fascia costiera fino ad una distanza di 300 metri dal mare per creare una zona militare di sicurezza contro eventuali sbarchi alleati, lasciando oltre 240.000 cittadini senza casa.
L’episodio che scosse particolarmente il sentimento popolare dei napoletani fu la crudele esecuzione di un giovane marinaio sulla scalinata principale dell’Università al Rettifilo, dove una folla di cittadini fu costretta ad assistere con la forza.
Già durante l’estate erano avvenuti i primi sporadici episodi di insurrezione appoggiati dai partigiani, così come succedeva da tempo nel resto della penisola.
La causa scatenante della rivolta fu l’ordine di Schöll di catturare gli uomini del napoletano. Con una retata a sorpresa riuscì a sequestrare circa 8.000 persone prelevate dalle loro case e destinati ad essere deportati in Germania ai lavori forzati.
Fu così che spontaneamente una folta e agguerrita folla di donne scese in strada avanzando minacciosamente verso le camionette tedesche per bloccarne l’avanzata e liberare i loro mariti.
Fu il primo atto di corale insurrezione popolare che il 27 settembre ispirò gli altri episodi di rivolta armata nei vari quartieri della città.
Già da tempo i cittadini napoletani si erano organizzati: avevano a disposizione un ingente approvvigionamento di armi prelevate dalle caserme abbandonate. Poterono così affrontare i tedeschi nei quattro giorni della rivolta.
Gli schieramenti armati di civili napoletani vennero supportati da un plotone superstite dell’Esercito, alcuni dei quali provenienti dalla Caserma Garibaldi, fedele al “Regno del Sud”, ovvero ciò che rimaneva del Regno d’Italia contrapposto alla Repubblica Sociale di Salò.
Tra questi valorosi va ricordata in particolare la figura del tenente Enzo Stimolo che si distinse nell’assalto a Castel Sant’Elmo, divenuto una fortezza dell’esercito tedesco, che venne espugnato nella tarda serata del 27 settembre.
I combattimenti continuarono senza tregua nei giorni successivi aumentando sempre più di intensità. Napoli venne messa letteralmente “a ferro e fuoco” nei vari quartieri fino al 30 settembre.
Poi, durante una tregua fra le due fazioni in lotta, venne concordata una trattativa tra il colonnello Schöll e il tenente Stimolo per la liberazione degli ultimi prigionieri napoletani in cambio di un libero passaggio delle truppe tedesche per ritirarsi da Napoli.
Già da un po’ di tempo lo Stato Maggiore dell’Esercito tedesco stava lentamente lasciando i territori del Sud ritirandosi verso il Nord, spinti dalla progressiva avanzata delle forze alleate. Fu soprattutto la diffusione di una falsa notizia riguardo ad un imminente sbarco alleato nella zona di Bacoli che convinse il colonnello Schöll a decidere di abbandonare il capoluogo campano.
Terminarono così le memorabili Quattro giornate di Napoli, con il corteo delle armate tedesche che lasciavano la città alla fine tra due ali di una euforica folla in festa.
Napoli fu la prima città d’Europa ad insorgere con successo e in maniera spontanea contro l’occupazione nazista.
Il coraggio del popolo napoletano che si ribellò spontaneamente contro la tirannia nazista fece sì si che gli alleati trovassero la strada spianata durante la loro avanzata verso il Nord.
Le epiche Quattro Giornate valsero alla città il conferimento della medaglia d’Oro al Valor Militare.
Napoli ricorda ancora con somma commozione il coraggio di Gennaro Capuozzo, il dodicenne napoletano che sacrificò la sua vita nella lotta per la liberazione della sua città.
Il povero Gennarino, alla cui memoria è stata conferita una particolare Medaglia d’Oro, morì dilaniato da una granata nemica mentre dal tetto di un edificio in via Santa Teresa degli Scalzi era impegnato a lanciare bombe a mano contro i carri armati tedeschi.
Questa è la vera vicenda del giovanissimo eroe, differentemente a quanto si vede nella famosa sequenza del film Le quattro giornate di Napoli, di Nanni Loy, dove il ragazzino si scaglia a piedi con granata contro un corazzato tedesco.
L’insurrezione napoletana fu un grande esempio di coraggio e di amore per la propria terra, riconosciuto immediatamente dalle Istituzioni della neonata Repubblica Italiana per il prezioso contributo dato alla liberazione generale della Nazione.
Non poche persone nel corso degli anni hanno tentato di sminuire quanto avvenuto nelle Quattro giornate di Napoli, soprattutto alcuni fedeli alle ideologie fasciste, che si nascosero per tutto il periodo dell’insurrezione.
Ma non solo la memoria collettiva conserva il valore di quanto è effettivamente avvenuto a Napoli durante le Quattro giornate: i fatti sono rigorosamente registrati nei bollettini di guerra ufficiali del comando locale del contingente tedesco, in cui si fa riferimento ad una disperata richiesta di rinforzi poiché a Napoli la situazione era divenuta insostenibile. La risposta del comando superiore fu di ritirarsi dal capoluogo campano oramai divenuto indifendibile.
Ma a raccontare l’epicità di quei giorni sono soprattutto gli oltre 500 morti registrati al cimitero di Poggioreale.
Una preziosa raccolta di testimonianze, immagini e documenti ufficiali è fornita dal libro “Guerra Totale”, edizioni Bollati Boringhieri, di Gabriella Gribaudi, docente di Storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli, che fornisce un prezioso racconto della Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale attraverso le testimonianze dirette di chi ha vissuto quella tragica esperienza.
Francesco Bartiromo