Se si conosce a fondo la natura controversa del suo protagonista principale così come delle precedenti opere del regista Abel Ferrara, non è certo difficile capire quanto e perché la sua ultima fatica cinematografica “Pasolini” sia stata incapace di unire il pubblico.
Complice la scelta della lingua dei dialoghi, alternati tra inglese e italiano, sin dalla recente edizione del Festival di Venezia, il risultato finale della proiezione di Pasolini era stato un centrifugato di applausi, fischi, grida e lacrime di commozione: tipica risposta allo stile Ferrara, continuo perdersi tra definito e indefinito.
La contestata pellicola della durata di 86 minuti, distribuita da Europictures nelle sale cinematografiche italiane dallo scorso 25 Settembre, ha continuato a dividere il pubblico tra “apprezzatori” e “disprezzanti”.
Le ultime 24 ore di vita dell’intellettuale friuliano, dal bacio materno del risveglio mattutino fino alla tragica morte all’idroscalo di Ostia, non avrebbero restituito agli spettatori il vissuto del poeta, soprattutto nell’essenza di pensiero, come lo stesso Abel Ferrara aveva dichiarato in conferenza stampa.
Ma in fondo non era mai stato quello il suo scopo …
E allora perché accanirsi tanto contro il regista italo-americano, attribuendogli il titolo di “abbonato allo scandalo”, furbo precorritore della strada più breve per dare appunto scandalo e al contempo sfogo alle proprie ossessioni sessuali?
Insomma per i più “maligni” pur di fare pubblicità e riparare alla non digerita esclusione da Cannes del precedente film Welcome to New York, Abel Ferrara sarebbe ricorso addirittura ad offendere uno dei maggiori esponenti della cultura italiana, presentandolo da subito come “l’intellettuale dannato”.
Nella scena iniziale del film infatti, Pasolini, interpretato da un somigliantissimo negli spigolosi tratti somatici Willem Dafoe, alle prese con la regia di Salò, spiega ad un giornalista che il sesso è politica e scandalizzare è un diritto: un’immagine esibizionista del poeta di Casarsa che non è certo piaciuta ai suoi più cari estimatori.
Per Ferrara invece, vista la distanza che lo separa dal corpo reale di Pasolini, il film è stata una prova estremamente difficile che lo inorgoglisce come uomo e come regista.
Ricostruire sullo schermo in modo intenso, pur rispettando fedelmente la compostezza interiore del protagonista, il mistero della morte del Profeta Corsaro, nonché di quella continuità che si è interrotta con essa: in primis il romanzo Petrolio, poi l’intervista concessa al giornalista Furio Colombo per il quotidiano La Stampa, l’idea di Porno-Teo-Colossal per il quale chiese collaborazione a Edoardo De Filippo e infine l’appuntamento nel giorno e nel luogo sbagliato.
Sono stati comunque non pochi coloro che hanno gradito la visione del film “Pasolini”, complice anche l’eccezionale lavoro fotografico e scenografico.
Dell’ affascinante drammatica storia divisa tra immaginazione e realtà il pubblico ha apprezzato il personaggio meno scontato anarchico e contestatore ma piuttosto ambiguo ed ermetico, e perciò comunque unico nel suo genere: indiscussa mente eclettica e di grande intuizione sull’essenza umana, capace di spogliare senza pudore la società da molti falsi pregiudizi.
«Ciò che è complicato spaventa. Ciò che è estremamente complicato innamora».
Per chi non l’abbia ancora visto, non resta che innamorarsi del “Pasolini” di Abel Ferrara.
Nina Panariello