NAPOLI -《Ma io sto leggendo il libro di quel filosofo tedesco – dice Sophie – Sai, quello che mi hai dato?! In realtà non ci ho capito molto, ma lui dice che ci servono le illusioni per vivere》.《Le menzogne vuoi dire》, risponde Stanley. Con queste due battute si puó riassumere il significato di “Magic in the moonlight”, ultimo lavoro di Woody Allen. Il regista newyorkese utilizza l’atmosfera della Francia degli anni venti del secolo scorso, impregnata dalle note di musica jazz, per realizzare una piacevole commedia romantica con degli spunti sull’eterno dibattito sull’esistenza di un qualcosa oltre la morte. L’intera vicenda è sempre vissuta in maniera molto leggera.
Questo lungometraggio sembra una di quelle classiche commedie della metà del ventesimo secolo condita da un po’ di humour inglese e situazioni che alla fine si risolvono sempre senza troppe conseguenze per i personaggi. La storia inizia con uno spettacolo di magia di Stanley Crawford, interpretato da un sempre bravissimo Colin Firth, che sul palcoscenico si traveste da orientale e si fa chiamare Wei Ling Soo.
Dopo lo spettacolo Stanley viene avvicinato da un suo vecchio collega di nome Howard Burkan (Simon McBurney) che gli fa una proposta. Howard gli chiede di venire con lui in Costa Azzurra per smascherare una presunta medium di nome Sophie Baker, interpretata da una bravissima e graziosa Emma Stone, che sembra mossa da scopi fraudolenti nei confronti della ricca famiglia Catledge. Il personaggio interpretato da Colin Firth, che rappresenta il pensiero di Woody Allen, rimarrà però subito affascinato dalla personalità e dal carattere di Sophie, anche se non l’ammetterà subito a se stesso e agli altri. Dopo averla vista all’opera, egli dubiterà più volte delle sue convinzioni che l’hanno accompagnato fin da piccolo e di cui se ne vanta.
I dialoghi tra i due protagonisti fanno riflettere sul perché molte persone credono o vogliono credere nell’esistenza di un qualcosa di divino e magico nel Mondo. Le presunte illusioni aiutano alcuni individui a stare più sereni e a credere che i loro cari stiano bene e continuino ad esistere in un qualche aldilà. A tal proposito è molto esplicativa la scena in cui la vedova Catledge chiede tramite Sophie notizie sul suo defunto marito. Alcune persone vedono però queste presunte illusioni soltanto come un modo per raggirare la gente, mentre la loro controparte spesso non riesce a comprendere perché alcune persone non vogliono abbracciare questi misteri della vita che potrebbero renderli più ottimisti e felici. Anche se Woody Allen si è definito più volte nel corso della sua vita come un “pessimista e ateo”, in questo film alla fine fa capire che nel mondo qualcosa di magico e meraviglioso esiste lo stesso: l’amore.
Un altro aspetto che merita di essere apprezzato in questo film sono le belle riprese di panorami e località del sud della Francia. Come è già accaduto in passato, ad Allen piace fare molte riprese dei luoghi in cui cui si trova e questo trasforma spesso i suoi lungometraggi in delle interessanti cartoline turistiche. Meritano una citazione positiva anche la cura per gli arredi, gli abiti e la musica che aiutano davvero molto lo spettatore ad immergersi in questa affascinante atmosfera degli anni 20 del XX secolo. Non è sicuramente uno dei film più belli realizzati da Allen, ma è comunque un buonissimo lavoro che non ha troppe pretese, consigliato soprattutto a coloro che amano le vecchie commedie del secolo scorso. Voto: 7+
Sabato Gianmarco De Cicco