Maria José, principessa reale di Sassonia Coburgo-Gotha, nacque nel 1906 re Alberto I del Belgio, eroe nazionale nella guerra del ’14-’18 contro gli invasori tedeschi.
A 16 anni, quando era in collegio a Firenze, venne promessa in sposa del principe italiano Umberto Savoia. Le nozze avvennero l’8 gennaio 1930 nella Cappella Paolina del Quirinale. Maria José aveva 23 anni, Umberto 25. Entrambi alti e belli, il loro matrimonio si svolse alla presenza di molte teste coronate d’Europa, diplomatici, in un clima di fasti coloniali, telefoni bianchi e grande sfarzo.
Maria José era socialista come suo padre e soffocava nell’austerità della corte sabauda e del fascismo. Anticonformista, non seguiva l’etichetta di corte ispirata da suo suocero Vittorio Emanuele III per le principesse Savoia e continuò a tenere salotto con le sue consuete amicizie personali.
Amava l’arte pittorica moderna, prendeva lezioni di musica, andava in bicicletta e galoppava vestita da uomo, come era solita fare il suo ideale, Maria Sofia, l’ultima regina del Regno delle Due Sicilie.
Maria Josè infatti ebbe a dire a sua cognata la principessa Maria Jolanda 23 settembre 1932 palazzo reale del Quirinale: «Io devo essere libera di girare come sono abituata senza scorta e senza le etichette delle principesse Savoia in Italia, perché io sono una principessa reale del Belgio e tra i miei antenati, alberga in me il sangue dei Wittelsbach di Baveria. In me rivive l’indipendenza femminile di ogni donna d’Europa, rivivendo in me lo spirito libero di Maria Sofia di Baviera, l’ultima regina di Napoli, la vergine delle rocce del poeta Gabriele D’Annunzio. Crocerossina volontaria di guerra che S.E. Benito Mussolini, il primo ministro d’Italia, ha fatto seppellire con tutti gli onori a Roma, pochi anni fa, insieme a suo marito Francesco».
La regina Elena intervenendo rispose: «La moglie di Francischiello di Napoli?!?»
Al che Maria Josè rispose: «La moglie bella e devota di Re Francesco Borbone di Napoli, un re giovane saggio e sfortunato, che insieme con la moglie, nel 1860 a Gaeta, testimoniavano con il loro coraggio i valori di una giovane coppia di sovrani e leali con tutti, degni di essere cittadini di Napoli e perché no cittadini d’Italia».
Crocerossina anch’ella durante la guerra coloniale, cercava di evitare le pose ufficiali per la vittoria militare italiana in Etiopia nel 1936 e preferiva tenere amicizia con le altre infermiere e con le servette di corte di colore.
La principessa cercò di imporre a corte un salotto letterario come ai tempi della regina Margherita. Non presenziava a molte cerimonie ufficiali, anzi andava spesso in trattoria e in tram anonimamente e con poche amiche, sempre senza scorta.
Al Palazzo del Quirinale si era fatta attrezzare una stanza con un bagno personale, dove sognava un mondo ermetico e iniziatico, caro degli antichi cavalieri templari e dei filosofi rosacroce del ‘600 e ‘700, l’ideale cristico del Santo Graal.
Maria José avrebbe preferito dunque essere membro di qualche monarchia europea nordica dall’etichetta semplice, piuttosto che di quella Savoia dall’etichetta austera ed opprimente. Inoltre non simpatizzò mai con il fascismo, avversando le leggi razziali.
Infatti non volle prendere la tessera del PNF: fu però obbligata a farlo nel 1940 per poter partecipare alle missioni della Croce Rossa. Fu comunque simpatizzante del gerarca Cesare Balbo, oppositore di Farinacci e della politica guerrafondaia di Mussolini. Infatti era convinta che la sua morte non fosse stata accidentale, avvenuta quando nel 1940 fu abbattuto – si disse allora da fuoco amico – dalla contraerea di un incrociatore italiano mentre sorvolava il porto di Tobruk.
A Maria Josè stava anche stretto il ruolo di secondo piano in cui Mussolini teneva suo marito Umberto e lo appoggiò sempre nella sua politica segreta antifascista.
Donna trasparente e coraggiosa, criticava apertamente Mussolini per gli errori strategici, come quello fatto nel 1940 contro gli inglesi in Egitto, che in poco tempo portarono a perdere i possedimenti di Somalia e Etiopia, così come la infelice partecipazione italiana alla campagna nazista di Russia. Quest’ultima campagna espose l’Italia a massacri, sconfitte e bombardamenti aerei, non solo al grande sacrificio delle truppe, mandate al massacro.
Nel 1942 secondo documenti la polizia politica fascista si mise in contatto con esponenti massonici e antifascisti di corte, come Bonomi, Badoglio e il conte Ciano, genero di Mussolini, suscitando l’apprensione di suo suocero e del ministro di corte conte Acquarone.
Elogiò sempre l’eroismo delle truppe italiane, ma denigrava i generali e i gerarchi fascisti per la loro incapacità strategica. Perciò incitava Umberto a deporre il regime e Mussolini e fare un armistizio separato con gli Alleati per salvare l’Italia e la monarchia.
Maria Josè amava in particolare il sud: dimorava con suo marito nella Reggia di Caserta, ma spesso visitava Napoli per constatare i danni dei bombardamenti aerei alleati del 1943. Spesso veniva anche a Portici, dove si fermava dai cugini a Palazzo Lauro Lancellotti a prendere il te con una sua amica crocerossina, Celeste Corsi.
Per salvaguardare la sua incolumità e dei suoi figli, venne dunque mandata in Piemonte a Racconigi e poi a Montreaux in Svizzera. Grazie a questo tempestivo trasferimento evitò la cattura da parte dei tedeschi nel settembre 1943. Visse in alberghi modesti, facendo beneficenza. Inviò nel 1944 anche una donazione di viveri, di tabacco, dolci, cibo, vestiario ai prigionieri militari italiani in Lombardia.
Instancabile e determinata, plaudì allo sbarco alleato a Salerno, alla rivolta delle 4 Giornate della sua amata Napoli nel 1944 e alla liberazione di Roma e di Firenze.
Rientrò nell’Italia liberata nel maggio del 1945. Aveva fatto il cammino a piedi dalla Svizzera attraversando le Alpi e sostando al San Bernardo con una guida alpina e un gentiluomo di corte. Quindi in treno fino a Torino e poi in aereo a Roma.
Il marito Umberto era stato nominato Luogotenente Generale d’Italia al posto del padre Vittorio Emanuele III, che aveva pensato bene di defilarsi riparando a Brindisi, gesto che Maria Josè non condivise assolutamente, perché di fatto abbandonò la popolazione italiana alla reazione tedesca. Plaudì alla caduta di Mussolini e si unì agli intenti del Proclama agli Italiani pur mantendosi ufficialmente estranea alla politica italiana .
Umberto e Maria Josè s’impegnarono a reggere l’Italia: soli 27 giorni di regno dopo l’abdicazione del suocero del 9 aprile 1946. In quel breve periodo insieme furono in visita con i figli a Napoli, Torino, Milano …
Maria Josè partì da Napoli con i figli il 6 maggio, dopo un breve soggiorno a Posillipo a Villa Maria Pia per l’esilio in Belgio.
Il marito Umberto rimase a Roma fino al Referendum, che vide la discussa vittoria della Repubblica. Poi il 13 giugno partì in aereo da Roma per Cascais in Portogallo, dove visse in esilio a Villa Italia fino alla sua morte.
I re di maggio, di caratteri opposti vissero il lungo esilio separati: Maria Josè si stabilì infine nel castello di Merlinge in Svizzera dove condusse vita ritirata.
Umberto durante il suo esilio ricevette spesso giornalisti e nostalgici monarchici nel suo studio ricco di quadri sabaudi, bei mobili intarsiati e i 40mila volumi della sua biblioteca personale. Si spense il 18 marzo 1983 e fu seppellito nell’Abbazia benedettina di Altacombe nell’Alta Savoia in Francia, luogo d’origine della sua famiglia.
Il 27 gennaio 2001 morì anche Maria Josè, guardando il bel ritratto fattole nel 1931dalla giovane pittrice napoletana Fortunata Ariano.
Per suo volere venne sepolta accanto al suo Umberto.
Michele Di Iorio