CAVA DE’ TIRRENI (SALERNO) – I una città sorta intorno alla Badia benedettina cavense, il 6 gennaio anno domini 2015 si riunisce un gruppo di ricercatori storici capitanato da me: Paolo De Pascalis, segretario generale del gruppo teosofico e rosacruciano del Cenacolo Phoenix di napoli, dall’astrologo Hindefuns, da Licia Siani, dai naturopati Martino Santoriello e Carmela e Angela Bisogno, Patrizia Giannattasio. L’intento è quello di studiare la biblioteca e il famoso archivio della Badia di Cava.
Il patrimonio dell’immensa biblioteca è stato sempre oggetto di una costante opera di conservazione e catalogazione. Le sale sono aperte al pubblico dalle ore 8.30 alle 12.30 dei giorni feriali. Le visite si effettuano previa prenotazione.
Libri rari e inediti, incunaboli, pergamene, codici miniati, manoscritti, pandette, una selezione di scritti antichi dei Padri della Chiesa, consultabili nello scriptorium dei monaci amanuensi attivissimo nei secoli passati sin dal dominio longobardo, fino al ducato napoletano, ai regno normanni, svevi, angioini, aragonesi e del principato dei Sanseverino di Salerno.
Gli abati della badia che si sono succeduti nel corso dei secoli hanno continuato ad arricchire costantemente la biblioteca, raggiungendo in pieno anno 1100 la raccolta di 5000 manoscritti e 2000 incunaboli. Nel ‘400 aragonese la collezione contava 20mila volumi miniati e oltre 6mila tra manoscritti e incunaboli, epistolari.
Nel 1798 i solerti monaci seguaci della regola di San Benedetto da Norcia «Ora et labora» conservavano 40mila volumi e 10mila tra manoscritti e incunaboli nelle tre sale di raccolta, di cui due restaurate a fine 1700, la Sala Indice più due sale di raccolta. Gli scritti sono conservati in numero di 120 copie per arca o armadio di raccolta.
I 690 manoscritti miniati dai benedettini di Cava sono elencati cronologicamente dal 792 d.C. al 1100, dato citato anche in una nota inviata nel 1800 al Real Bibliotecario di re Ferdinando IV di Borbone dallo scrittore francese Jean de Rozan, cattedratico dell’Università di Parigi, quando, esiliato dal governo rivoluzionario o direttorio di Francia, fu ospite a Cava de’ Tirreni. De Rozan annotò tutti i codici miniati della Badia.
A fine ottocento i volumi salirono a ben 60mila, oltre ai 10mila manoscritti e pergamene miniate con annotazioni a margine degli antichi monaci.
Storia, Patristica, Teologia, Filosofia, Erboristeria, Diritto, Farmacopea e tutti gli altri temi dello scibile umano, oggi sono catalogati e indicizzati in forma sia computerizzata che cartacea.
Sotto il controllo gentile ma giustamente rigido dei padri bibliotecari, tra cui il solerte padre benedettino direttore di biblioteca e archivio della Badia, don Leone Morinelli, il gruppo di studiosi ammirano e consultano questo patrimonio immenso. Davanti agli occhi hanno codici di valore insestimabile come il Codex legum langabardorum, secolo XI, il De temporibus del venerabile Beda, XI sec e perfino le Etimologie di Isidoro di Siviglia dell’VIII secolo, tempo di Carlo Magno, quando la rinascita universitaria degli studi diede impulso alla diffusione degli scriptorium degli amanuensi in tutta Europa. Erano i tempi in cui Montecassino e Cava allestirono farmacie speziali superate solo da quella dalla certosa di San Martino al Vomero, Napoli, i cui vasi di ceramica che conservavano le erbe officinali si possono ancora ammirare nell’antica farmacia dell’Università Federico II e all’Ospedale degli Incurabili.
Il gruppo di studiosi in visita passa dalla sala diplomatica dove sono conservate nell’Arca Magna 15mila pergamene incunaboli e 700 lettere alle altre, dove sono raccolti lettere, diplomi di papi, imperatori, re, bolle pontificie e vescovili, lettere di signori feudali e amministratori pubblici fino all’archivio della biblioteca contenente ben 80mila volumi rarissimi, come risulta all’inventario di dicembre 2014.
Molti di questi tomi sono manoscritti o cinquecentini a stampa originale: un patrimonio inestimabile di fama mondiale, un deposito della cultura internazionale. Varie sono le lingue dei testi: latino, francese, greco, longobardo,germanico, italiano classico e aulico, inglese. Ecco la sapienza umana tramandata ai posteri da alacri monaci amanuensi che raccoglievano la scienza della farmacopea e dell’erboristeria.
Tanti abati hanno diretto, custodito e incoraggiato quest’opera monumentale, godendo della fiducia e dell’appoggio di pontefici e sovrani, tra cui Federico II di Svevia, Roberto d’Angiò, Ferrante d’Aragona e i loro successori …
In queste sale studiò il grande giurista Gaetano Filangieri quando soggiornava a Cava de’ Tirreni e così suo figlio il generale e primo ministro borbonico Carlo. Qui si istruì Ferdinando II, qui passò ore chino sugli antichi tomi il futuro re Francesco II, appassionato di Diritto e Storia …
Una perla della favolosa biblioteca della Badia benedettina di Cava de’ Tirreni è la recente riscoperta di un esemplare della cosiddetta Bibbia di Danila: oltre 1222 anni di vita. La famosissima Bibbia, che prende il nome dal padre benedettino amanuense di che la compilò nell’anno 792 d.C. servendosi di un miniatore ultimamente identificato come Ocedia, venne citata anche dal de Rozan. È detta anche Visigota o Sacra ed è in lingua latina originale pura, quella che il buon padre Isidoro da Siviglia auspicava lingua universale tra i popoli e premessa di pace e comprensione.
È certamente il tomo più antico della biblioteca. Praticamente unica al mondo, riunisce in sé un’antichità venerabile, una perfetta conservazione ed una scrittura mirabile, nitida, regolare e magnificamente miniata. Un gioiello da vedere, e poi da rivedere ancora e ancora …
Il professor Dante Sergio, emerito professore Storico Artistico e ispettore onorario del Mibac ha compiuto di recente un ponderoso studio storico e analitico sui codici miniati e incunaboli della Badia cavense, raccolto in un bel libro di rara pregevolezza tipografica, Areablu edizioni.
Il gruppo conclude così la visita, conservando nel cuore la visione di un simile patrimonio al di là del tempo e dello spazio. Prima di lasciare la Badia, intona il Padre Nostro in latino sulle scale del complesso moumentale.
Michele Di Iorio