Il libro: Questioni di Sangue

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questioni di sangueSAN GIORGIO A CREMANO  (NAPOLI) – Alla Biblioteca comunale lo scorso giovedì 29 gennaio è stato presentato il libro “Questioni di sangue” di Annavera Viva.
L’ho presentato personalmente insieme ad Oriana Russo, responsabile per Lineadarco della biblioteca, e con l’autrice. Le letture di alcuni brani del libro sono state eseguite da Giuliano Costa dell’Associazione Cremano Giovani, e durante la serata c’è stato anche l’intervento speciale degli artisti dell’Associazione “Perla Etnica”, a cura di Carmen Famiglietti, con una straordinaria e bella Raffaella Vacca, che ha trasmesso una particolare energia quando ha ballato al ritmo incalzante di una tammorra di fuoco una trascinante pizzica.
Per me un libro è un buon libro quando mi fa riflettere. Quando nelle parole che leggo scopro una immagine riflessa di me stesso
Questa immagine l’ho trovata in due elementi del libro: il luogo, il quartiere Sanità; una parola del titolo: “Questioni di Sangue”.
Il primo elemento: Il luogo.
La Sanità è il luogo dove sono nato e cresciuto, con cui pur non vivendoci da tantissimi anni, sento un forte e indescrivibile legame. Napoli è formata da tanti centri indipendenti tra di loro, con diverse caratteristiche: morfologiche, sociali,  storiche e architettoniche. La Sanità è uno di quei centri urbani con  uno straordinario genius loci rappresentativo della immagine simbolica di tutta la città.
Nel libro è il luogo dove nascono due fratelli, i protagonisti del libro: un parroco e un camorrista.
La storia inizia con loro due bambini che restano da soli, e le autorità decidono di affidare il più piccolo, Raffaele, ad una famiglia.  Da quel luogo viene estirpato, per il suo bene viene affidato ad una famiglia, lontano, a Roma. Diventa prete. Ritorna a Napoli dopo tanti anni da adulto come parroco della chiesa più importante del rione, la bellissima Santa Maria della Sanità, a pianta centrale, dei primi del cinquecento.
Peppino, il fratello più grande, invece ci cresce nel rione Sanità. Diventa un boss, e anche da ricco e potente continua ad abitarci. È temuto e rispettato da tutti. Costruisce il suo regno in una zona marginale del quartiere, nel vallone delle Fontanelle.
La Sanità è una piccola città nella città, autonoma sia dal punto di vista sociale, sia urbanistico, sia economico e spesso anche linguistico.  La vita, nel vallone,  ha sempre convissuto con la morte. È situato fuori le mura della città antica, da sempre dedicato al culto dei morti. È un luogo ricco di memoria, di straordinarie potenzialità immateriali, spirituali, e ogni suo angolo esprime un forte significato simbolico. Caratterizzato dalle grandi grandi opposizioni che sono diventate il luogo comunein ogni rappresentazione che si fa della città  di Napoli: luce-buio, vita – morte, bene- male,  materialità-spiritualità, odio-amore.
Sono quelle caratteristiche molto difficili da raccontare senza cadere nello stereotipo, bisogna solo viverle per emozionarsi, così come si emozionarorono alla fine del secolo XVIII Ghoethe o Benjamin che visitò Napoli intorno agli anni ‘20, definendola Città Porosa. Riferendosi alla sua permeamilità sociale, antropologica, ma anche e sopratutto spirituale e materiale.
È porosamente spirituale quando vive il mondo dei morti, così come quello dei vivi; è porosamente materiale, per la natura stessa con cui è costruita la città: la pietra, il tufo, il materiale poroso estratto direttamente sotto gli edifici con cui poi sono stati costruiti, creando una città speculare a quella visibile, la città di sotto.
E l’autrice questa porosità spirituale e materiale ce la ricorda con una grande capacità di sintesi, quando descrive le catacombe di San Gaudioso, sotto la basilica di Santa Maria della Sanità, e il macabro rito della colatura dei morti che vi si praticava, che esprime quel carattere quasi pagano dei tanti  rituali legati al passaggio tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, presente in questa zona di Napoli.
Nella Sanità, ancora di più che in altre parti della città c’è un rapporto inestricabile tra l’architettura che emerge e quella che vive sotto.
Leggendo il libro, mi sono venuti in mente alcuni  racconti che ascoltavo da mio nonno da ragazzino.
Diceva che sotto al nostro palazzo, nel vico Lammatari, a due passi dalla chiesa Di Santa Maria della Sanità, c’era un ricovero, dove in tempo di guerra si rifugiavano gli abitanti del palazzo. Era una di quelle cavità dove fu estratto il tufo per costruire il palazzo, come sotto tutti quelli della zona. Sotto c’è un labirinto di grotte e cunicoli collegati tra loro.
Mio nonno diceva che il ricovero nel nostro palazzo era a più livelli, e che al livello più profondo c’era addirittura un corso d’acqua ed era ormeggiata una barca. Quel corso d’acqua arrivava a mare, for’a Marina.
Ricordatevi questa espressione: for’a Marina. Poi vi dirò perchè è importante.
Prima vi voglio parlare del secondo elemento che mi ha fatto iniziare a leggere questo libro.
Si trova nel titolo, vi dicevo,  è una sola parola: sangue. Sapendo che era un giallo, leggendo la parola sangue nel titolo, pensai subito ad un delitto, e quindi a tutta la solita trafila del commissario di turno per trovare il colpevole del delitto. Insomma pensai alla tipica struttura narrativa di un libro giallo, che non sto a raccontarvi, perché è proprio quel succedersi di eventi che creano suspance e attenzione, tali da  far andare avanti nella lettura.
Nel libro questa tensione che caratterizza la struttura narrativa di un giallo c’è.
Non vi svelerò i passaggi chiave, vi dico solo che il commissario di turno è un uomo di spirito, è padre Raffaele, il fratello di “sangue” di Don Peppino, il camorrista. 
Questioni di Sangue, recita il titolo.
La parola sangue è usata tantissimo nella lingua napoletana, e in particolare in questa zona di Napoli. Si usa per bestemmiare, come per augurare buona fortuna, si usa per cercare un miracolo, come per maledire qualcuno. Si usa per esprimere il bene «Quanno  veco a te me se scioglie ‘o sango dint”e vene»,   ma anche  per esprimere il male: quando si maledice qualcuno con l’espressione «Puozz’jettà ‘o veleno», in buona sostanza è come se si avesse detto: «Devi morire perdendo sangue, il tuo sangue che scorre nelle vene è veleno, che avvelena te e chi ti sta intorno» .
Quest’ultima è un’epressione non scritta dall’autrice, ma è sicuramente pensata da tanti personaggi del suo libro, quando incontrano il co-protagonista della storia, Renato Capece, un poliziotto. Avrebbe dovuto essere un uomo di legge, dedito al bene, invece, sfruttando la sua posizione di potere, è disegnato dall’autrice come un prepotente, un mascalzone che sfrutta la miseria della gente, con l’usura, ricatti e sopraffazioni di ogni tipo.
«Puozz’jettà ‘o veleno», Spesso, nella lingua napoletana la parola sangue esprime un’appartenenza corporea al luogo che si esprime anche con l’orientamento spaziale: la toponomastica, a Napoli e nella Sanità in particolare,  è sempre riferita al proprio corpo.
Poco fa vi ho chiesto di ricordare l’espressione for’a Marina, non per caso.
A Napoli, in particolare nella Sanità,  quando si usano espressioni del tipo: Miez’e Virgini, ‘ncopp ‘o Vommero, dint’o vico, ‘e ncoppo ‘o vico , abbasci’o vico, aret’o mont’e Cristallini, miez’e Funtanelle., Con il linguaggio si esprime un forte senso di identità con il luogo, una appartenenza, appunto sanguigna, si esprime una questione di sangue
È lo stesso senso di identità e di appartenenza che prova Don Raffaele, e ne è anche turbato nel provarlo dopo tanti anni che è stato lontano dal quartiere. Lo stesso che prova anche il fratello, il camorrista. Figura ibrida, a metà tra il vecchio guappo di quartiere, e il camorrista contemporaneo, parte di un sistema internazionale di traffici ed affari.
Questioni di Sangue, per me è stato leggere, prima  che un racconto giallo – un noir, come qualcuno lo ha definito –  una metafora delle principali opposizioni che si usano quando si rappresenta la nostra città per immagini.
È stato fare un viaggio nel luogo di Napoli, dove io personalmente sento un forte legame, un forte senso di appartenenza che non si può spiegare se non ricercarne l’origine in una questione di sangue.
 

Mario Scippa