Andrew si iscrive ad un corso di batteria della prestigiosa scuola jazz dello Shaffer Conservatory di Manhattan. Incontra Fletcher, un docente di una severità assoluta.
Il regista-sceneggiatore del film (USA, ‘14) è il non ancora trentenne Damien Chazelle, alla sua terza opera come regia. Come sceneggiatore si è fatto conoscere e apprezzare seriamente con un piccolo ma riuscito film horror, da alcuni considerato un cult del genere – “The last exorcism/ E liberaci dal male” (‘13) – prodotto dal mago del torture-porn, Eli Roth.
Il film del 2013 fu un piccolo miracolo produttivo: costato scarsi 5mln di usd, ne ha incassato, in USA e in giro per il mondo, una ventina.
Ora Chazelle è passato al film d’autore. O, meglio, non se n’è mai distaccato. Perché i suoi film precedenti e successivi a quel fortunato horror, sono stati sempre ambientati nel mondo della musica, e quella jazz in particolare.
Uno dei produttori di questo film, insieme al regista Jason Reitman, è Jason Blum, individuato come il nuovo Roger Corman del cinema horror, e non solo, di qualità, che muove budget di 5 max 9 mln di dollari ma che incassano cifre tre/quattro volte tanto. Punta su giovani talenti sconosciuti, con storie e atmosfere originali, che segue e stimola creativamente, tra cinema e serie tv.
E anche per questo film decisamente d’autore non s’è sprecato. Costato 3.300mila dollari, è entrato nelle nomination più prestigiose degli Oscar ‘15, e ne ha vinti tre (miglior attore non protagonista; montaggio e missaggio sonoro). Sta inoltre incassicchiando in tutto il mondo: arriverà a cifre di tutto rispetto.
La prima considerazione che s’impone è che solo in Italia, questa separazione tra cinema (cosiddetto) “alto”, d’autore, ecc., e (cosiddetto) “basso”, commerciale ecc., ha ancora cittadinanza, per quanto residuale. Come si vede, dal sia pur sommario report sulla produzione, i termini sono assolutamente intercambiabili in un cinema sano, che voglia aprirsi e confrontarsi con diversificate e innovative realtà produttive e narrative.
L’intelligenza e la creatività non hanno alcuna ricetta precostituita. Sono le qualità che rendonopropulsivo il “sistema” complessivo del cinema e in grado di reagire alle difficili sfide dei nuovi media.
Lo spunto del film è semi autobiografico: la serrata, intensa, sfiancante dialettica tra l’allievo e il suo mentore, per quanto estremizzata, ha trovato nella realtà concreta spunti di terrificante verità.
In cui, però, l’analisi delle disqualità personaggio, sono portate ad un diapason di ambiguità, per le motivazioni del suo fare che “sentiamo” appartenergli, tanto che il giudizio assolutamente negativo sfuma e si stempera in considerazioni diverse da come ci era sembrato. E avvertiamo che da parte del ragazzo c’è una non indifferenza che potrebbe perfino trasformarsi in una forma larvata di affetto e stima. Se non, addirittura, di dipendenza.
Questa divina ambiguità rende la dialettica tra i due materia narrativa: il film è tutto basato sulla modulazione delle manifestazioni della violenza nel loro incontrarsi. E di come, attraverso questa, “passino” schegge, scintille d’interesse reciproco. Tal che si è parlato, non impropriamente,di un classico, ambiguo noir della relazione docente/alunno, in cui le bacchette della batteria sono al posto delle pistole.
Noi non sappiamo che tipo di sviluppo avrà la relazione, del tutto disvelata nel sottofinale. Ma comprendiamo l’estrema complessità della relazione. Noi ne siamo sommersi.
La bravura del professore, l’attore Jonathan Kimble Sommers, è mostruosa. Restiamo come ipnotizzati dalla presenza fisica, senza essere né particolarmente alta né nerboruta, con cui avvolge il suo essere che si butta a corpo morto nella relazione coi suoi studenti. Il suo modello di jazz è l’eccellenza: non si accontenta di niente di meno.
E noi comprendiamo la violenza che inocula (con tanto di citazione dal kubrickiano “Full Metal Jacket”), non tanto da ciò che dice o fa, ma dai comportamenti che l’allievo assume nel costringersi, fino all’estenuazione e all’autoviolenza, a migliorarsi. Quell’intensissima fisicità, spossante fino all’esaurimento, con cui egli si getta sulla batteria per esercitarsi, diventa il tratto descrittivo della sua crescita.
Poche o niente chiacchiere, solo la ricerca instancabile del ritmo giusto: il montaggio visivo (Tom Cross) e il missaggio sonoro sono vicendevolmente incalzanti nel suggerire l’atmosfera sonora che diventa di per sé felicemente narrativa. Nonché lo stile inimitabile del film.
Francesco “Ciccio” Capozzi