"Foxcatcher – Una storia americana", la recensione

foxNAPOLI – Coloro che conoscono la vera storia cui si ispira il film “Foxcatcher – Una storia americana”, forse resteranno un po’ delusi per il fatto che alcuni eventi differiscono molto dalla realtà ed altri sono stati omessi. Questo lungometraggio è l’adattamento dell’autobiografia scritta da uno dei veri protagonisti di questa storia, Mark Schultz, ed intitolata “Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia.

Il film inizia nel 1987 e ci mostra la routine giornaliera proprio di Mark Schultz, campione olimpico di lotta libera nel 1984, che ha difficoltà economiche e nel frattempo continua ad allenarsi per poter partecipare alle Olimpiadi di Seoul. Egli si sente abbandonato dalla federazione sportiva americana che non l’ha più sostenuto finanziariamente per i suoi allenamenti, ma un giorno la sua vita cambia: viene invitato dall’eccentrico milionario John du Pont a trasferirsi nella sua lussuosa residenza, poiché vuole sostenerlo economicamente. Egli è un grande amante della disciplina della lotta libera e vuole portare in alto il nome degli Usa con la creazione di una squadra intorno a Mark per permettergli di bissare la vittoria di tre anni prima. Per questo progetto, du Pont chiede a Mark anche di convincere il fratello Dave ad entrare in questa squadra. Dave Schultz ha vinto insieme al fratello l’oro olimpico ed è da sempre il suo allenatore che lo consiglia sulle strategie da adottare nei combattimenti. Dave però declinerà l’offerta, poiché lui è soddisfatto della vita che ha e non vuole far spostare sua moglie e i suoi figli dalla loro città in cui ormai conducono una tranquilla esistenza. A quel punto Mark vedrà questa situazione come una possibilità per uscire finalmente dall’ingombrante ombra di suo fratello. Se inizialmente Mark vivrà questa sua nuova avventura con grande entusiasmo, in seguito si renderà conto di aver commesso un grave errore.

Il personaggio di Mark Schultz, che è interpretato abbastanza bene da Channing Tatum, rappresenta il tipico esempio dell’atleta che il sistema sportivo americano prima fa crescere e che poi abbandona. Dietro al fisico scolpito e allo sguardo in apparenza imperturbabile, in realtà si nasconde un uomo fragile che ha paura di fallire e vuole a tutti i costi dimostrare di essere ancora il migliore. Il personaggio di Mark, tra l’altro, ha delle caratteristiche in comune con il suo benefattore John du Pont: entrambi vivono nell’ombra di un’altra persona e sono alla ricerca di un riscatto personale. Il personaggio di John du Pont ha un rapporto morboso con la madre e e cerca costantemente di apparire ai suoi occhi come un vincente. Per raggiungere questo scopo pensa che basti semplicemente formare una squadra composta da persone che praticano la lotta libera in cui egli stesso si autoeleggerà come il loro mentore, anche se in realtà il suo apporto tecnico e motivazionale sarà poco rilevante. La madre però, interpretata da Vanessa Redgrave, disprezza questa disciplina sportiva e perciò non approva molto quello che sta facendo il figlio. Mark passerà molto tempo insieme a John e quest’ultimo, invece di comportarsi da bravo mentore, lo trascinerà all’interno del suo mondo fatto di eccessi. Il loro rapporto sembra in apparenza molto stretto, ma in realtà basterà la prima difficoltà a far deteriorare questa amicizia. Nella realtà, du Pont contatta per primo a Dave Schultz ed è proprio con quest’ultimo che instaura nel tempo un rapporto di amicizia. Steve Carell, aiutato anche da un ottimo trucco che lo ha reso quasi irriconoscibile, è riuscito a dar vita ad un personaggio molto complesso che trasmette un senso di angoscia ed inquietudine in ogni sua scena.

In questa storia, il personaggio che ha indubbiamente il più alto senso morale di tutti è quello di Dave Schultz. Mark Ruffalo interpreta in maniera ottima quest’uomo che è un amorevole fratello, un bravo padre di famiglia ed un lavoratore serio. Anche quando il fratello Mark decide di mandarlo a quel paese, Dave continuerà sempre a preoccuparsi di lui e non l’abbandonerà mai nel momento del bisogno. Il suo personaggio rappresenta il classico americano virtuoso che però non sempre riesce a cavarsela nel mondo di oggi, poiché talvolta rischia di essere sopraffatto da persone più potenti e dissolute.

Uno dei punti di deboli di questo lungometraggio bisogna rintracciarlo nell’andamento lento della storia. Anche se in certe scene questo ritmo aiuta molto lo spettatore a riflettere e a capire i sentimenti dei personaggi, in altri momenti sarebbe stata un’ottima scelta quella di tagliare qualche scena. L’obiettivo del regista Bennet Miller, che con questo lungometraggio ha vinto il premio per la miglior regia all’ultimo Festival di Cannes, è chiaramente quello di creare un’atmosfera cupa mista a terrore e sulla psicologia dei suoi personaggi. Questa cosa però non compensa appieno la mancanza di una trama un po’ piatta in certi momenti e con pochi guizzi interessanti, soprattutto se il film viene paragonato alla storia originale. Se si fosse seguito maggiormente il materiale originale, questo lungometraggio sarebbe stato sicuramente ancora più interessante.

Voto: 7

Sabato Gianmarco De Cicco