La fortezza di Civitella del Tronto sorgeva su di un colle a 647 m slm, ai confini del Regno delle Due Sicilie, a dodici km da Teramo. Da sempre questo luogo aveva rivestito grande importanza come presidio per le più antiche strade di accesso agli Abruzzi, da Ascoli Piceno a Teramo e alla costa verso Pescara, con assedi sostenuti contro i francesi del duca di Guisa nel 1557 e contro le truppe napoleoniche nel 1806.
Nel 1860 l’importanza strategica di Civitella era pressoché nulla in quanto nuove strade permettevano l’ingresso in Abruzzo. La fortezza era ridotta alla rocca ed alla cinta delle mura. Era in condizioni di abbandono dal 1815 con un’artiglieria antiquata risalente al 1667 – 24 cannoni e colombrine in ferro vecchie e rugginose – con 19 artiglieri litoranei e 60 artiglieri da montagna, al comando dell’Aiutante di Campo Santomartino.
Nel maggio 1860 vennero aggiunti 80 veterani con l’alfiere Giudice dei richiamati in servizio. Comandante della fortezza era il maggiore Iovine, anch’egli richiamato in servizio, insieme con il capitano aiutante maggiore Tilgher e il maggiore vicecomandante Salines della guarnigione territoriale e stanziale.
La compagnia del 12esimo battaglione Cacciatori di linea era partita per unirsi alle truppe regie sul Volturno, insieme con 6000 regi dell’Abruzzo, lasciando sul posto 2200 sodati a Pescara, 160 fucilieri del X di linea e 160 gendarmi nel Molise, a Isernia, 200 gendarmi a Teramo.
Civitella ai primi di settembre fu rifornita di 200 gendarmi di Teramo e 180 terrazzani e montanari volontari, già ex guardie urbane del teramano. In agosto erano giunti sul posto 10 zappatori del Genio. In totale 550 uomini in armi.
Il 15 settembre fu respinta l’intimazione di resa da parte delle Guardie nazionali della vicina Campli e dei liberali locali. Il 4 ottobre fu intercettata, una lettera firma di un liberale, Virgili, diretta al maggiore Ascione per ottenere la resa di Civitella senza combattere.
Prese il comando della guarnigione il capitano Iovine che festeggiò l’onomastico del re Francesco con 21 salve di artiglieria, Te Deum solenne in latino nella locale parrocchia e luminarie. Fece riprendere i lavori di rinforzamento delle mura iniziati dagli uomini del Genio a fine agosto, canalizzando l’acqua delle cisterne e sistemando il fossato e l’artiglieria.
Le Guardie nazionali del teramano secondando il governo provvisorio fiogaribaldino bloccarono la guarnigione di Civitella per impedire i rifornimenti e la macinazione del grano, che avveniva all’esterno della rocca, fucilando il mugnaio che faceva il lavoro. Il presidio fu costretto a macinare il grano a braccia.
I soldati borbonici fecero una sortita su Campli i 23 ottobre 1860, respinta subito dalle Guardie nazionali, seguita da un’altra il giorno dopo ad opera di 200 gendarmi e 50 veterani al comando del capitano Iovine, con l’appoggio di 100 volontari abruzzesi e un cannone da montagna. Questa volta riuscirono a mettere in fuga i filoliberali, che contarono3 morti e 3 feriti, 24 prigionieri e 450 fucili confiscati. Riuscirono a prendere anche molti viveri. Spazzarono via le due compagnie del IX fanteria italiano, per poi ripiegare nel forte.
Ancora sortite contro i piemontesi che erano ormai erano aumentati a 3500 unità, il 24 novembre e il 20 dicembre. Il comandante Pinelli il 24 minacciò che se non si ritiravano li avrebbe passati a fil di spada. Per tutta risposta i borbonici il 20 attaccarono nuovamente con 200 tra gendarmi e veterani, causando molte perdite alla 34esima compagnia Bersaglieri a guardia del convento di Santa Maria, dove bivaccavano sull’altare maggiore della chiesa, costringendoli a ripiegare su Rogliano.
Il Pinelli fece incendiare casolari e villaggi, per punire i fiancheggiatori dei borbonici di Civitella del Tronto, continuando con inutili tiri di artiglieria a bersagliare la rocca.
I piemontesi chiesero una tregua di dieci giorni dall’8 al 18 gennaio 1861. Il 19 i borbonici effettuarono una nuova sortita contro gi avamposti.
Grande esultanza della guarnigione di Civitella il 24 gennaio per il ritorno da Gaeta del volontario abruzzese Filippo Enea. Accompagnato da una guida abruzzese per dirupi e torrenti si era recato alla cittadella laziale per prendere ordini dal re, che nell’occasione promosse il capitano Iovine a colonnello con facoltà di promuovere a sua volta ufficiali e soldati. Gli ordini furono di resistere ad oltranza, visto che tutte le provincie degli Abruzzi, Molise, Puglia, Calabria e Basilicata combattevano contro l’invasore. Cosi nel beneventano, nell’avellinese e nel casertano.
Una nuova sortita dai difensori di Civitella, che con volontari guidati dai gendarmi presero alle spalle i piemontesi. Il 6 febbraio ancora sortita degli eroici soldati di Civitella con l’aiuto di 400 montanari abruzzesi armati del vicino paese di Valle Castellana. Il combattimento fu durissimo, ma l’azione borbonica venne respinta e i montanari battuti in vari punti vicini Fuorno. Inseguiti dal generale piemontese Morozzo Della Rocca fino a Valle Castellana, il paese venne espugnato e 350 montanari fucilati il 13 febbraio con l’accusa di essere brigantaggio.
Quello stesso giorno cadde Gaeta. Il generale Mezzacapo il 18 febbraio inviò la capitolazione a Civitella invitando la guarnigione borbonica ad arrendersi per godere gli stessi privilegi di guerra dell’armistizio, altrimenti sarebbero stati tutti trucidati.
Gran parte della truppa decise di resistere ancora, ma il capitano Iovine saputo che i piemontesi minacciavano di rappresaglia la sua famiglia, abbandonò di nottetempo il forte e si consegnò prigioniero di guerra.
Invano il maggiore Ascione tentò di convincere i soldati ad arrendersi. La resistenza continuò sotto le cannonate: un totale di 7.860 colpi.
Il mattino del 25 febbraio, i piemontesi disposti su tre colonne e protetti dall’artiglieria rigata andarono all’assalto del forte, ma vennero respinti da una sassaiola, fucileria, bombe incendiarie e granate, subendo forti perdite.
Il 16 marzo arrivò da Roma il generale borbonico Della Rocca, inviato straordinario di re Francesco II recando l’ordine di arrendersi. Dopo Gaeta si era arresa anche la piazzaforte di Messina: ormai era inutile difendere l’ultima piazzaforte. Bisognava evitare ulteriori spargimenti di sangue.
Alle trattative di resa fu presente anche un gruppo di ufficiali pontifici francesi, tra cui il Capitano di Stato Maggiore Vertray, ma soldati e ufficiali respinsero la proposta. L’Ascione dovette far imprigionare tre dei caporioni della difesa ad oltranza e il giorno dopo firmò la resa con i piemontesi, che presero la guarnigione a discrezione, senza l’onore delle armi e impiantarono una commissione militare. Fucilarono subito il sergente dei gendarmi Messinelli, Aiutante di Campo del capitano, accusato di aver messo a ferro e fuoco Campli e preso parte alle sortite brigantesche. Cosi il frate Leonardo Zilli da Campotosio e il volontario abruzzese Elia Supino di Sant’Egidio.
L’aiutante Santomartino scampò alla fucilazione grazie all’intervento degli ufficiali francesi che avevano scortato da Roma il generale Della Rocca. Fu condannato a 24 anni di carcere militare ai ferri e trasferito in catene con la truppa ad Ascoli Piceno.
La guarnigione fu disarmata e privata di soldi, oro, oggetti preziosi e viveri, persino scarpe e stivali. I soldati vennero scortati come prigionieri di guerra ad Ascoli, mentre il maggiore Ascione fu trasferito a Ponzano. I cannoni di Civitella furono presi come trofei di guerra e inviati a Torino. Parte della muratura della rocca venne fatta saltare.
40 i morti e 107 feriti, 393 militari prigionieri, tra cui 220 gendarmi, 20 artiglieri, e 70 veterani superstiti. Quest’ultimi vennero imbarcati per Napoli.
I 240 militari borbonici prigionieri partiti a piedi il 23 marzo per Ascoli vennero rinchiusi nella chiesa di San Pietro martire. Il 25 aprile vennero trasferiti ad Ancona, poi a Senigallia e quindi a Rimini, dove quattro soldati per evitare le fustigazioni giornaliere tentarono la fuga a nuoto e vennero uccisi a fucilate.
Arrivati a Bologna l’11 maggio, i prigionieri partirono in treno per Torino.
L’Aiutante di Campo Santomartino fu condannato a 24 anni da scontare al forte di Priamàr e poi ucciso a fucilate durante un misterioso piano di fuga da Savona. Ascione fu messo agli arresti a Ponzano.
Iovine, ai ferri nel carcere militare di Torino, venne processato per direttissima nel forte San Benigno di Genova il 18 gennaio 1862 e assolto per sospetto brigantaggio durante la difesa di Civitella.
Il maggiore Salines andò con gli altri ufficiali borbonici ad Alessandria al campo ufficiali prigionieri di guerra.
La fedelissima truppa di Civitella, 216 gendarmi e 20 artiglieri, tutti tra i 22 e i 32 anni d’età, da Torino passarono a San Maurizio Canavese, altro campo di punizione. Dopo tre mesi di estenuanti esercizi militari coattivi, considerati borbonici irriducibili in luglio vennero avviati all’ultima spiaggia, Fenestrelle, insieme a Salines e Iovine.
Dopo Fenestrelle non se ne seppe più nulla. Il calvario di pietra e l’orrore infinito del famigerato forte piemontese si chiuse per sempre su di loro, come per i tanti altri fedelissimi soldati borbonici vittime del genocidio sabaudo.
Che Dio vegli sulle anime di quei giovani sventurati.
Michele Di Iorio