La Pasqua festosa si conclude con la Pasquetta del Lunedì in Albis.
Anche per la Pasquetta a Napoli si contano belle tradizioni, addirittura favorite
dal Ministero delle Finanze borbonico: nel settecento i nobili festeggiavano il lunedì dopo Pasqua con la scampagnata nelle riserve di caccia di Licola e Varcaturo, una zona che si estendeva dal lago Fusaro, passando per una lunga fascia di 2500 moggi a tratti di sabbia bianca fino al lago Patria, attraverso una folta macchia di lentischi, mirti e ginepri,chiamata pineta e un pantano con frassini, ontani, salici e querce. Nel bosco si trovavano cinghiali, caprioli, daini, volpi, istrici, lepri e anitre. Nell’antica fossa di Nerone, il canale navigabile di collegamento tra il lago d’Averno con quello del Fusaro per poi proseguire fino ad Ostia, si trovavano folaghe, e quaglie e beccaccini nei parchi vicini, chiamati dai pescatori locali della riviera e della campatella.
Anche i sovrani partecipavano alla festa. Organizzavano battute di caccia e scampagnate in quei luoghi o nel Bosco reale di Portici o a Villa Favorita di Ercolano oppure al Parco della reggia di Capodimonte.
I popolani invece partivano a piedi o in calesse, carrozzelle e sciaraballi, grossi carrozzoni coperti, verso zone di campagna, come Miano, lo Scutio di Capodimonte, il Pascone.
Altre mete predilette dai napoletani erano i Santuari di Montevergine o della Madonna dell’Arco, che si trova sull’antica strada che da Napoli porta a Sant’Anastasia. La basilica fu costruita nel 1593, mentre l’annesso il convento domenicano nel 1596.
I popolani partivano all’alba su qualsiasi mezzo di locomozione infiorettato e trainato da cavalli bardati con pennacchi, o a piedi, vestiti da battienti e fujenti, con abiti bianchi e fascia azzurra e rossa che ancora oggi simboleggiano l’ardente devozione alla Madonna. Accompagnati da carri, bandiere, vessilli e statue, al suono chitarre, tamburelli, trombe, mandolini, tammorre, anche allora portavano a braccia e a piedi nudi i simulacri della Vergine dell’Arco che si rifaceva ad un’antica statua fenicia della dea Astarte il cui culto era consentito dal governo imperiale degli antichi romani nella zona di Sant’Anastasia. Il simulacro di Astarte era posto sotto un arco, ove i marinai fenici saltando, ballando e dondolandosi veneravano la sacra effigie.
Nel 1450 la statua di Astarte venne riscoperta e venerata come Madonna miracolosa dell’Arco.
Dopo una breve e riverente visita al Santuario e l’ascolto della Messa i pellegrini facevano voti e promesse. Uno dei motivi per cui andavano ai santuari era comunque quello di sciogliere fatture magiche delle cosiddette janare o streghe, che il popolo superstizioso credeva che vivessero da secoli nelle campagne di Benevento, Somma Vesuviana, di Sant’Anastasia e perfino a San Sebastiano al Vesuvio e a Torre Annunziata.
Le gite si concludevano sempre con grandi scorpacciate dove si consumavano il cibo rimasto dal pranzo di Pasqua, carne alla brace e ogni ben di Dio.
Dopo l’inaugurazione della Reggia di Caserta del 1752, i napoletani più intraprendenti se la giornata era buona allegramente si spingevano fin lì, o a Casagiove ed Airola, Ovunque acquistavano ricordini nelle fiere approntate nell’occasione nei paesi meta della gita di Pasquetta.
I più pigri si accontentavano invece di posti più vicini, come la tradizionale gita al Vesuvio, A Portici o sui litorali della città.
Ai giorni nostri è ancora rimasto intatto il gusto tutto partenopeo della scampagnata di Pasquetta ricca di frittate di maccheroni e uova sode, per quanto siano inclementi le condizioni meteorologiche.
Michele Di Iorio