PARIGI (FRANCIA) – “Che cos’è la fotografia?” questa domanda si pone l’esposizione della nuova Galleria al quarto piano del Centro Pompidou, aperta al pubblico fino al 1 giugno 2015.
Un quesito cui, a partire dalla messa a punto della maniera, stando all’etimologia del termine, è possibile scrivere con la luce, si è sempre cercato di fornire una risposta, attraverso studi e riflessioni teoriche.
In questo caso però è una – per così dire – meta/esposizione fotografica ad assumersi l’onore di ragionare su di sé, tramite una collezione di opere selezionate, che dagli anni Venti ai giorni nostri mostrano come circa trenta artisti, da Man Ray a Jeff Wall, abbiano provato a confrontarsi su questo argomento.
Come si sospetterà, dato il relativismo che sottende il concetto di realtà, non esiste una sola immagine capace di racchiudere sistematicamente il senso di questa domanda, ed il risultato è una galleria di soggetti che rispondono, in diversa misura e con esiti alle volte insoliti, alla singola espressività degli autori che si sono autointerrogati sul significato del canale artistico da loro utilizzato.
«Se volete fare delle fotografie, gettate via la macchina fotografica» diceva Man Ray: per lui l’atto creativo corrispondeva prima di tutto al concepimento del progetto apprezzabile in nuce già da prima del posizionamento della macchina fotografica e della cattura dell’immagine.
La fotografia si ottiene mediante un gioco di luci e ombre, sembra affermare il trittico “Papillon à la lampe” (Farfalle alla luce) di Brassaï, considerato da molti come il fotografo della notte per eccellenza.
Jeff Welling, servendosi dell’analogia tra materiali, ha rappresentato dei pacchetti di gelatina che alludono all’emulsione gelatinosa utilizzata nella realizzazione di fotografie in bianco e nero in stampa classica.Il lavoro di Welling è, in generale, legato ad una riflessione sulla maniera in cui la fotografia può donare ai soggetti che ritrae, anche quelli più elementari e concreti, una dimensione puramente intellettuale.
Il genovese Giulio Paolini, invece, sgrana i suoi scatti al punto tale che essi divengono simili a delle figure astratte, mirando a riassumere l’essenza stessa della fotografia. Un esperimento che fa pensare ai tentativi di David Hemmings, nel ruolo del fotografo protagonista di Blow-Up (Michelangelo Antonioni, 1966, ndr ) nel ricercare la verità su di un assassinio, rilevato nel momento stesso in cui ingrandisce le immagini casuali che ha scattato in un parco.
Il discorso s’incentra, soprattutto, sull’oggettività della rappresentazione che viene filtrata attraverso la lente dell’obiettivo. Da qui alla manipolazione dell’immagine il tratto è breve, come mostra la serie di Tim Rautert, che sottolinea l’importanza della resa dell’immagine, mostrando come si possa trasformare un sole in una luna o viceversa, variando il tempo di posa e l’apertura dell’obiettivo.
La serie di quattordici “Verifiche” (1969-1972 ) del fotografo bresciano Ugo Mules, morto poco dopo averle realizzate, nel 1973 a soli 44 anni, lo impegnò a lungo durante gli ultimi anni della sua vita. Si tratta di una riflessione approfondita sul suo lavoro dopo vent’anni di attività. La prima serie è un omaggio al fotografo francese Niépce, in cui « … il mezzo, la superficie sensibile, diventa protagonista; non rappresenta altro che se stesso». La seconda, intitolata “L’operazione fotografica” ancora più incisivamente, ritrae il fotografo stesso, da uno specchio, intento a fotografarsi, quasi a rimarcare quella « … ossessione di essere presente, di vedermi mentre vedo, di partecipare, coinvolgendomi» commentò Mulas, illustrando il suo lavoro.
L’esposizione si conclude con un’opera del 2010 di Mishka Henner “Photography is” (La fotografia è), una tela di vaste dimensioni che raccoglie circa 3.000 definizioni del lemma “fotografia” estratte da un motore di ricerca, e poste l’una accanto all’altra, senza utilizzo della punteggiatura. L’esito è a dir poco spaesante e riassume perfettamente l’impossibilità di riferirsi ad un concetto univoco.
«Il risultato è contraddittorio e caotico, frustante ed insensato. In breve, è la fotografia, senza fotografie» (sito ufficiale).
Francesca Mancini