Per un napoletano è quasi impossibile immaginare una cucina priva del colore e del profumo della pummarola.
Il pomodoro è una pianta orticola della famiglia delle solanacee (Lycopersicon esculentum). Raggiunge a volte l’altezza di 2 metri e necessita di un sostegno. Le sue foglie sono lunghe e con un lembo profondamente inciso; i fiori si presentano a grappoli e sono distribuiti lungo il fusto e le ramificazioni. Il suo frutto, anch’esso denominato pomodoro, è una bacca rossa di forme e dimensioni diverse a seconda della varietà, con una polpa dal sapore dolce-acidulo ricca di vitamine (A, C, B1, B2, K, P e PP).
La pianta è originaria del Cile e dell’Ecuador, poi presente in epoca precolombiana anche in Messico e Perù. Fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di solanina, sostanza considerata a quei tempi dannosa per l’uomo.
Nel clima tropicale la pianta produce i suoi frutti tutto l’anno, mentre nelle nostre regioni, se coltivata all’aperto ha un ciclo annuale limitato all’estate. La coltivazione della pianta del pomodoro era diffusa già in epoca precolombiana.
Nel 1544 l’erborista italiano Pietro Matthioli classificò la pianta del pomodoro fra le specie velenose, anche se ammise di aver sentito voci secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto nell’olio. Piuttosto, al pomodoro venivano attribuiti misteriosi poteri eccitanti ed afrodisiaci e, per tale motivo, veniva impiegato in pozioni e filtri magici dagli alchimisti del ‘500 e del ‘600.
Forse ciò aiuta a comprendere anche i nomi che le varie lingue europee attribuirono a questa pianta proveniente dal nuovo mondo: love apple in inglese, pomme d’amour in francese, Libesapfel in tedesco e pomo (o mela) d’oro in italiano, tutte definizioni con un esplicito riferimento all’amore. Va ricordato che altre fonti fanno risalire il nome ad una storpiatura dell’espressione pomo dei Mori, giacché il pomodoro appartiene alla famiglia delle solanacee cui appartiene anche la melanzana, ortaggio a quei tempi preferito da tutto il mondo arabo. Oggi ad eccezione dell’italiano le vecchie espressioni delle altre lingue sono state sostituite da quelle correnti, nate dall’originario termine azteco tomatl.
Ma, anche in questo caso, il nome è frutto di un errore. La pianta he fu importata in Europa era chiamata dagli Aztechi xitomatl, che significa grande tomatl. La tomatl era un’altra pianta, simile al pomodoro, ma più piccola e con i frutti di colore verde.
Non è ben chiaro come e dove nell’Europa frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche coraggioso contadino. Infatti, gli stessi indigeni del Perù, i primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti della pianta, usata invece a solo scopo ornamentale e come tale fu conosciuta dagli Europei: nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro. Sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d’amor gentile.
Così la coltivazione del pomodoro, dapprima pianta ornamentale, dalla Spagna forse attraverso il Marocco si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il clima adatto per il suo sviluppo, soprattutto in Italia, nella regione dell’agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno.
Le varietà di pomodoro esistenti sono davvero tantissime: dimensioni, forme e colori diversi: esiste persino un pomodoro nero!
Per nostra fortuna, tante varietà significano anche la possibilità di trovare quella che fa più al caso nostro: il pomodoro perfetto per il nostro piatto. Il matrimonio tra gli spaghetti o vermicelli e la salsa di pomodoro avviene solo all’inizio del 1800. A Napoli, ‘a pummarola rivoluziona la storia del nostro piatto nazionale, la cui popolarità venne sancita nel 1837 dalla pubblicazione della prima ricetta di vermicelli al pomodoro firmata Ippolito Cavalcanti, conquistando la curiosità prima e l’apprezzamento poi di mezzo mondo, Italia compresa.
Per i borghi napoletani nell’800, si potevano vedere ‘e maccarunare, ambulanti che vendevano spaghetti cotti in un pentolone e conditi con salsa di pomodoro senza olio e con una spolverata di formaggio. Possiamo dire che sono stati gli antesignani dei venditori di panini per strada.
La ricetta di oggi è proprio quella dei maccheronari napoletani. Pensate che questa ricetta cosi semplice è una delle preferite della mia zietta Wendy, uno dei primi piatti che ha mangiato a casa della suocera, mia nonna Olimpia. Nata alla fine dell’800 aveva avuto sette femmine ed un solo maschio, zio Vincenzino, la “luce dei suoi occhi”, che sposò appunto zia Wendy, che perciò dovette passare un vero e proprio esame. Ricordo che per nonna Olimpia, il fatto che venisse da Londra, dalla lontana e più emancipata Inghilterra non le andava tanto a genio. Ma zietta seppe conquistarla con quei suoi modi garbati, ma soprattutto per l’amore che traspariva dal suo sguardo quando guardava il suo Vincenzino.
Ed ora finalmente la ricetta.
Spaghetti al sugo di pomodoro passato.
Ingredienti : 2 kg di pomodori san marzano, un cipollina, 400 g di spaghetti, 50 g di formaggio romano, pepe, basilico fresco, sale q.b. Tranquilli, non ho dimenticato l’olio: questa ricetta non lo prevede, è semplice e, vi assicuro, gustosa e salutare.
Lavate i pomodori, intaccateli con un coltello e metteteli a cuocere in un pentolone con un po’ di cipollina e il sale, avendo cura di girare ogni tanto. Ultimata questa cottura veloce, che serve per ammorbidirli, li passerete al setaccio. Poi nello stesso pentolone continuate la cottura del sugo. Nel frattempo cuocete gli spaghetti e poi colateli facendo attenzione che siano ben asciutti. Adagiateli quindi su di una spaghettiera e versate sopra il sugo, poi il formaggio e su tutto il basilico, che a contatto col calore sprigionerà il profumo dei suoi oli essenziali.
Per oggi è tutto, buon appetito e alla prossima. Baci da zia Guendy.
Caterina Mazzola