La storia della canzone napoletana ha radici antiche. Si ha notizia di villanelle, canzoni popolari e profane, a volte satiriche, già nel 1231, come Iesce sole, canto delle lavandaie. Anche Manfredi di Svevia amava cimentarsi nel canto a Barletta. In periodo aragonese ecco la canzone di donna Isabella «Nun me chiammate cchiù donna Sabella, chiammateme Sabella sventurata, aggio perduto trentasei castella … ». Secondo Benedetto Croce cantava della tragica sorte della regina Isabella d’Aragona.
Di qualche anno dopo è la canzone Muorto lo purpu … muorto ser Janni Caracciolo …”, scritta nel periodo in cui Alfonso I d’Aragona decretò il napoletano lingua ufficiale del Regno di Napoli. Questa villanella era politica, come diceva il Croce, e non canzone di malavita come la definì Giovanni Artieri. Il testo si riferisce al principe di Avellino primo ministro della regina Giovanna Durazzo: da potente nobile ad amante sfortunato della regina …
Le villanelle composte dai tanti musicisti di corte furono poi raccolte per la prima volta in un volume da Giovanni da Colonia nel 1500.
Fu però il 1600 il secolo in cui le villanelle ebbero la maggiore diffusione. Ne scrisse anche l’erudito Giovan Battista Basile nel 1669.
Furono tantissime, tra cui Michelemmà, scritta nel 1648 da Salvator Rosa, una canzone che richiama le sortite saracene con un intercalare che giocherebbe sull’invocazione alla donna amata: Michela è mia, ma anche Michela a mare. Qualcun altro invece sostiene che sia una ninna nanna cantata al bimbo e quindi sarebbe Michele ‘e mamma, e la parola scarola presente nel testo sia riferita all’isola di Ischia. Un’altra teoria invece l’attribuisce al gergo simbolico di un gioco popolare di carte.
A fine ‘600 nacque la celebre Cicerenella, di autori ignoti., insieme a tante altre tarantelle napoletane e sorrentine, procidane.
Si annoverano tra le villanelle anche canti popolari del periodo borbonico come ‘Onna Lionora, Palummella e Pulicenella. Risale invece ai primi dell’800 la tristissima Fenesta ca lucive, che pare in origine fosse una più antica canzone siciliana cui vennero aggiunte di due sestine. Il testo parlava del delitto d’onore della baronessa di Carini Caterina uccisa dal padre a causa della sua tresca amorosa con il giovane marchese Vincenzo Vernagallo.
Le villanelle sono state le antenate in versi popolari della canzone classica napoletana più moderna. Si può dire che il passaggio tra i due modi di intendere la canzone sia stato segnato dalla famosissima Te voglio bene assaje del 1835, versi dell’ottico poeta Raffaele Sacco e musica attribuita a Gaetano Donizetti.
Te voglio bene assaje fu eseguita in casa del principe di Trabia da un tenore prima che venisse presentata per la festa di Piedigrotta al Teatro Nuovo. Ebbe tanto successo che si dice che già quella sera stessa il motivo venisse fischiettato per tutta Napoli. Prese subito l’animo di tutti i napoletani e dei turisti tanto che nel 1840 l’editore Girardi ne stampò 180mila copie che andarono a ruba.
Una curiosità: nel settembre del 1860 Te voglio bene assaje fu cantata dai soldati borbonici in trincea sul fiume Volturno insieme a Fenesta ca lucive in attesa degli scontri con i Garibaldini …
Michele Di Iorio