CAMEROTA (SALERNO) – Nel cortile del Castello Marchesale martedì 11 agosto, alle 21.30 si terrà il secondo appuntamento con il Festival “Suoni dal Castello”, un progetto dell’Associazione Culturale-Musicale Zefiro, presieduta da Giuseppe Marotta e diretta dal compositore Leo Cammarano. Una rassegna giunta alla sua III edizione che unisce performance di diversi generi musicali, unitamente alla formazione delle masterclass, sostenuta dal Comune e dalla Pro Loco di Camerota, unitamente al Meeting del Mare e al Conservatorio di Musica “G.Martucci” di Salerno, oltre ad un folto cartello di mecenati privati.
Dopo il successo dell’esibizione inaugurale del trio Renoir il Festival vedrà l’omaggio al jazz classico del Trio Zamuner. Nel jazz, i termini della contesa tradizione contro innovazione si aggiornano senza tregua. Da questo percorso non è escluso certo il jazz cantato, che ha le sue brave propaggini di ricerca, avanguardia e sperimentazione.
Ma, rispetto alle forme esclusivamente strumentali della musica improvvisata, il jazz vocale ha sempre saputo rinnovarsi guardando più che al futuro al presente: musica di consumo, pop in tutte le sue variazioni generazionali, suoni che di volta in volta hanno caratterizzato le varie epoche. Influssi, questi, che sono spesso ben lontani sia dalla musica colta, sia da quella improvvisata.
È forse questo costante richiamo alle musiche commerciali che ha fatto del jazz cantato un eterno “blockbuster”. E “blockbuster” si rivelerà il concerto del Trio Zamuner capitanato dalla vocalist Emilia Zamuner, con Paolo Zamuner al pianoforte e Domenico Vellucci al sassofono, protagonista di una lunga scaletta di immortali successi. L’immagine e l’intenzione sempre solare dell’interpretazione di classici quali il Gershwin di “Porgy& Bess” di cui ascolteremo la celeberrima lullaby “Summertime” che suona come una canzone popolare grazie all’ uso reiterato della scala pentatonica Do-Re-Mi-Sol-La nel contesto della tonalità di La minore e da una lenta progressione armonica infarcita di blue notes, o quello virtuosistico di I got Rhythm, il portrait di Duke Ellington, schizzato da Don’t get around much anymore, dedicata all’incomparabile sax alto di Johnny Hodges, In a mellowtone, un omaggio al segno classico della scrittura del Duca e In a sentimental Mood, datata 1935.
Secondo Ellington, quest’ultimo pezzo sarebbe nato a Durham, nella Carolina del Nord: «Avevamo suonato in un magazzino di tabacco e dopo un mio amico, dirigente della North Carolina MutualInsurance Company, diede una festa per noi. Stavo suonando il pianoforte quando un altro nostro amico ebbe dei problemi con due ragazze. Per rappacificarli, composi questa canzone là per là, con una ragazza su ciascun lato del pianoforte».
Tre i titoli che evocheranno Ray Charles, il suo inconfondibile rhythm&blues al pianoforte e l’uso della voce quasi come un sax, che gli permisero di abbattere tutte le barriere, elevandolo ad iniziatore di un immenso filone che in un modo o nell’altro ha abbracciato il resto del novecento musicale: Hit the road jack, Mess round e l’amatissima Georgia on my mind.
La Zamuner si muoverà quindi sulle note di My Funny Valentine, ricucendone l’orlo sulle forme di Chet Baker che quel pezzo l’ha indossato per tutta la vita, il più famoso blues di Robert Johnson, Sweet Home Chicago, e ancora due grandi classici Stella by Starlight e All of me, standard con cui quanti hanno avvicinato questo genere di musica hanno avuto a che fare, melodie sofisticate, rappresentanti un’americanità universale nel suo coagulo di infinite esperienze.