SAN SEVERINO DI CENTOLA (SALERNO) – È chiuso da due anni il borgo medievale che sovrasta la foce del fiume Mingardo nella Valle del Cilento.
Il borgo medievale ha rappresentato per la cittadina la quasi unica fonte di introito economico, grazie all’afflusso di turisti provenienti da tutto il mondo, e questa prolungata chiusura sta rischiando di compromettere gravemente la stabilità del piccolo paese.
Anche negli ultimi mesi molti pullman di turisti, anche stranieri, che accorrevano al borgo per visitarlo sono stati costretti ad un obbligato dietro-front dinanzi alle transenne che ne impediscono il passaggio.
L’ostruzione del percorso ha – non in ultimo – mortificato le aspettative di quanti, in occasione della tradizionale sagra paesana del mese di agosto, avevano creduto di poter godere della splendida vista naturale che la sommità del borghetto offre.
Sembra però che il Comune di Centola, guidato dal sindaco Carmelo Stanziola, abbia pubblicato il bando di gara per affidare i lavori che serviranno a mettere in sicurezza il borgo, che prevede il recupero del Castello del Borgo Medievale con l’obiettivo di incrementare i flussi turistici. A tutt’oggi, non è prevedibile, però, il tempo che ci vorrà affinché rivenga messo in sesto e riaperto al pubblico.
L’incuria a cui è stato lasciato contrasta nettamente con l’importanza strategica che il luogo ha rivestito storicamente: i suoi resti, che la vegetazione ricopre generosamente, sono oggi muti testimoni di un passato di lotte dinastiche e di illustri successioni di casate principesche.
Il vecchio complesso di abitazioni di San Severino risale infatti al X-XI secolo. Incerte sono le notizie relative alla questione onomastica. Alcuni commentatori del Quattrocento, sostenevano che il borgo traesse il nome dalla illustre famiglia Sanseverino, la più antica e nobile del Principato di Salerno.
L’importanza strategica che risiedeva nel possesso del borgo fortificato è testimoniata storicamente dalle aspre lotte che opposero nel 1075 il conte Guido di Policastro a Guimondo dei Mulsi. I due nobili, per ovviare a tale controversia, accettarono di essere sottoposti all’arbitrato del principe di Capua, ma Guido morì prima di arrivare in città, a causa di un’imboscata tesagli dagli scagnozzi di Guimondo, proprio nella goletta del fiume Mingardo.
A seguito di questo avvenimento, il borgo fu occupato da Guimondo che per ordine regio fu costretto a consegnarlo a Landolfo, fratello di Guido che ne conservò il dominio fino al 1077, anno in cui dovette cederlo ai nemici Normanni.
Ma fu soprattutto durante il periodo degli Svevi che furono realizzate altre opere di fortificazione. Lo stesso Federico II dispose l’erezione della cinta muraria e della chiesa, ancora oggi visibile sulla cima. La sua posizione strategica ne fece un punto ideale su cui combattere, durante la guerra del Vespro, al punto che la sua popolazione ne risultò dimezzata.
Con l’avvento degli Aragonesi, infine, il borgo cadde in decadenza. Il castello venne abbandonato. Nel 1624, il paese subì la catastrofe della pestilenza: nel corso della prima metà del 1700, venne abbandonata la chiesa cattedrale e la popolazione cominciò a trasferirsi a valle.
Attualmente la sua popolazione conta circa 435 abitanti.
Francesca Mancini