Il Real Albergo dei Poveri è il più grande complesso monumentale di Napoli: con i suoi attuali 103.000 m² di superficie è di sicuro tra le più imponenti costruzioni settecentesche d’Europa. La sua facciata principale, con lunga 350 metri supera di circa cento m quella della Reggia di Caserta.
Una struttura dalle dimensioni sorprendenti se si pensa che la sua destinazione non era affatto a fini pragmatici, bensì dedicata al popolo. Infatti considerando lo scopo principale della sua costruzione lo si può definire in un certo senso come il più grande centro sociale della storia.
Il Real Albergo dei Poveri di Napoli, infatti, nacque da una idea di Re Carlo III di Borbone (1716-1788), che decise di far erigere una residenza in grado di accogliere le masse indigenti del Regno, in modo da togliere dalle strade i diseredati.
A tal scopo nel 1749 venne chiamato a Napoli l’architetto toscano Ferdinando Fuga (1699 – 1782), che venne incaricato della costruzione del gigantesco edificio. Questa decisione era frutto della crescente politica illuminista del sovrano, deciso a riqualificare il centro urbano, impiantando non solo un centro d’accoglienza per uomini e donne di tutte le età capace di ospitare circa 8mila persone.
Fu però con il figlio Ferdinando IV che la primaria finalità dell’opera, oltre a garantire un sicuro alloggio, divenne quella di indirizzare gli accolti alle arti e ai mestieri, divenendo un vero e proprio centro di rieducazione e formazione.
Il progetto però, nonostante l’iniziale utilizzo per gli usi prefissati, è rimasto tutt’ora incompiuto se si pensa al progetto originale che prevedeva un edificio la cui facciata principale doveva estendersi per 600 metri di lunghezza e 135 metri di profondità. Inoltre il palazzo doveva comprendere al suo interno ben 5 cortili (a fronte degli attuali tre), con un cortile centrale che avrebbe dovuto ospitare una cappella.
L’albergo dei Poveri entrò in funzione verso la fine del Settecento nonostante fosse ancora in fase di completamento. I cittadini accolti erano divisi i quattro categorie: uomini adulti, donne adulte, ragazzi e ragazze, rigorosamente separati impedendo qualunque tipo di promiscuità, tranne che durante le ore lavorative diurne.
I cittadini accolti imparavano, oltre che le materie scolastiche, i mestieri artigianali o le arti della musica e della pittura. Tendenzialmente agli uomini venivano insegnati i mestieri manuali, mentre alle donne le arti della tessitura e della sartoria. Inoltre nei giardini collocati nei cortili laterali erano predisposte delle aree ricreative ove si svolgevano attività sportive.
Gli ospiti in fase di formazione rimanevano reclusi perpetuamente nell’edificio, caratteristica che valse all’Albergo dei poveri l’appellativo di ‘o serraglio e ‘o reclusorio, dal momento che chi vi entrava non aveva facoltà d’uscirne durante la fase di rieducazione. In tal modo l’attività della struttura somigliava a tutti gli effetti a quella di un riformatorio. Una intera ala dell’enorme palazzo era poi dedicata quasi interamente al Tribunale dei minorenni, con alloggi destinati agli avvocati e agli uffici del Procuratore del Regno.
Inoltre erano presenti anche aree dedicate all’infermeria, un refettorio, una cucina, la scuola, palestre e laboratori artigianali.
I lavori iniziati da Ferdinando Fuga nel 1751 subirono una prima battuta d’arresto nel 1778 a seguito della morte dell’architetto toscano, per poi proseguire sotto la direzione di Mario Gioffredo, per poi essere successivamente affidati al Vanvitelli.
Quest’ultimo, essendo già in quel periodo impegnato con i cantieri del Palazzo Reale, delegò un suo collaboratore, Francesco Maresca, il quale per la progressiva mancanza di fondi ridimensionò di molto il progetto originale riducendolo di un terzo e portandolo alle attuali proporzioni. I lavori s’interruppero nel 1803, ma nonostante la struttura ciò Il Real Albergo continuò ugualmente a svolgere le sue funzioni.
Successivamente il lavori ripresero nel 1819, per poi essere definitivamente sospesi nel 1829, lasciando l’opera definitivamente incompiuta, praticamente allo stato che conosciamo tutt’ora.
Oltre che per l’enorme sforzo economico l’incompletezza della struttura fu dovuta anche a causa di un revisionismo sociopolitico adottato dal re Ferdinando IV di Borbone, quando a seguito della rivoluzione del 1799, con l’avanzata dell’esercito francese nella capitale borbonica che diede luogo alla breve vita della Repubblica Napoletana, il sovrano impresse una impronta più pragmatica sulla gestione della città, più autoritaria e meno assistenziale del suo predecessore Carlo III.
Inoltre col passare del tempo, nella seconda metà dell’Ottocento, causa della continua mancanza di fondi che gravava sulla complessa gestione della struttura, le condizioni di vita all’interno del comprensorio cominciarono progressivamente a degradare.
Diventò sempre più difficile garantire il rispetto delle regole. Fu così che nella crescente confusione generale che si diffondeva nella struttura la maggior parte degli ospiti si abbandonò all’ozio. In casi più estremi alcuni ospiti addirittura si dedicarono alla pratica abituale del furto e della prostituzione.
Il “grande centro sociale” dedicato alla rieducazione dei miserabili diventò dunque luogo di anarchia e degrado, così che si verificò un lento e progressivo abbandono dell’edificio.
Nella prima metà del Novecento la struttura fu interessata da alcuni crolli e cedimenti strutturali, causati anche dai terremoti del 1943 e poi di quello tragico del 1980, cui in cui persero la vita alcune donne che vi risiedevano.
Il Real Albergo dei Poveri, inserito nel 1995 nelle opere del Patrimonio dall’Unesco, attualmente è di proprietà del Comune di Napoli. È soggetto a vincoli legislativi immobiliari e destinato a usi di carattere socioculturale. Tutt’ora è oggetto di opere di riqualificazione che tardano a completarsi. Tra i vari progetti prevale l’idea dell’istituzione del Museo dell’Artigianato. Finora è stato utilizzato prevalentemente come scenario di manifestazioni teatrali o espositive.
Nonostante la sua incompiutezza il Real Albergo dei Poveri rimane il principale monumento della città, rappresentando uno dei primati dell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie, simbolo del periodo più illuminato della monarchia borbonica, partorito dalla mente di Carlo III, uno dei sovrani più amati dal popolo.
Francesco Bartiromo