Napoli. Anna si ritiene cos’e nientè, perché era ritenuta tale: per questo ha subito fin da piccola angherie. Ha pure sposato un usuraio. Solo l’amore per i figli è grande come il sole. Ha finalmente ottenuto ‘o posto, in cui è valutata con rispetto.
È un film (ITA-FRA, ‘15) magico e misterioso. Il regista è Giuseppe M. Gaudino, che l’ha sceneggiato insieme alla giovane Lina Sarti e Isabella Sandri: però quest’ultima non è semplicemente sua collaboratrice costante, ma spesso è stata autrice in proprio e coautrice di Gaudino.
Dopo l’acclamato “Giro di luna tra terra e mare” (97), che aveva il suo centro sull’arcano di Pozzuoli, Gaudino ha sviluppato e approfondito quegli stilemi che hanno a che fare con dimensioni mitiche, ma alberganti nell’immaginario nostro. Ma qui ha operato un deciso salto di qualità. Ha riportato quella cifra che gli è congeniale in un contesto di assoluto realismo.
Può sembrare un ossimoro. Ma la lettura che dà dell’insieme è rigorosamente reale: nel senso che affronta problemi di quotidiana negatività; ma lo fa andando oltre la filigrana del possibile. Va “oltre”: cioè va dentro le anime che fanno o subiscono; ne vuole cogliere le ragioni spesso sconnesse che compongono il mosaico della personalità e delle motivazioni comportamentali, e all’apparenza privo di immediatezza di senso. E tali motivazioni sono “in viaggio”: evolvono, trasformano gli eventi e le cose, e si trasformano.
La qualità delle immagini è assoluta (la fotografia di Matteo Cocco, ma soprattutto il montaggio di Giogiò Franchini), perché è di altrettale valore la qualità, la finezza, la profondità, la perspicuità delle notazioni psicologiche che accompagnano il fare di Anna.
Non volendo banalizzare il discorso “al femminile”, è, a mio avviso, evidente come lo sguardo della scrittura sia stato realizzato su un tono di piena complicità. Anna “vede” il mondo che sta attorno, quello delle relazioni e degli affetti e noi intercettiamo nei passaggi tra uno sguardo e un altrola sua esatta collocazione nella sfera del vivere quotidiano.
E ciò grazie allo stile che richiama sempre a zone interposte, le sfumature, le linee che portano dentro o lontano, tra la comprensione empirica e le impressioni che produce nel cuore enella fantasia.
Perciò assistiamo allo stralunato cambiamento: al varco, talvolta nella stessa sequenza, tra una fase apparentemente onirico-metaforica ed una realistica. Ad esempio l’acqua che scende dal bus: il viaggio dovrebbe essere protetto, ma tutto entra nella dimensione della riflessione intensa e concentrata che Anna fa di sé.
Non c’è nulla di patologico: il male è quello delle relazioni, compresa quella che l’ha portata a non volersi accorgere della natura dei soldi che venivano in casa. La sua indulgenza è indubbiamente verso se stessa, come le rinfaccia la figlia nel sottofinale. Ma è anche verso gli altri: i genitori e il fratello. Il suo cuore grande accoglie e non comparte l’affetto e l’amore.
E in questa chiave Gaudino stabilisce che la complessità della persona di Anna debba essere guardata con affetto; e perfino con ironia: di qui la sua raffigurazione in disegno animato e in parte live di santina infilzata: una specie di Madonna Addolorata laica.
Quelle sono implementazioni stilistiche di grande efficacia e intelligenza. Come l’intero accompagnamento in forma di ballata a commento delle sue peripezie: da un parte è la trasposizione classica di un moderno “coro”, come nella tragedia antica, dimensione fortemente presente. Dall’altra è una forma di apparente presa di distanza, come l’apparire dei mostruosi incubi, utile a commentare con compiutezza ciò che accade.
Anche l’assenza di colore obbedisce a questo registro: serve a sottolineare quando, al contrario, la vita, ovvero il colore, riappaiono con vivezza. Tuttavia gli autori giocano, pur all’interno di questa varietà controllata di stile, su una materia che ha al suo interno pagine di autentica cattiveria.
Il personaggio dell’usuraio è perfetto: il film lo supporta bene, pur all’interno di questa moltiplicata dimensione di sguardi. È un laido e cinico. La sua raffigurazione “gira” con precisa chiarezza, senza rompere, o squilibrare in alcun modo l’assetto narrativo stabilito.
La Golino, coraggiosa coproduttrice del film, mantiene intatta la corposa e pur delicata personalità del personaggio; ne suggerisce le sfumature possibili: la sua Coppa Volpi per la migliore interpretazione a Venezia ‘15, non è solo a lei, ma all’intero film che fonda su di lei. Massimiliano Gallo è di una presenza filmica impressionante. Va dato atto ai produttori napoletani Dario Formisano e Gaetano Di Vaio, di avere creduto in un film non facile, ma che veramente ci onora.
Francesco “Ciccio” Capozzi