Napoli, 22 marzo 1958: è dopo la mezzanotte e in cappella Sansevero, numero civico 19 della Calata Sansevero o via Francesco de Sanctis, alcune persone giungono in silenzio dal vicino Palazzo omonimo di piazza San Domenico Maggiore.
Il gruppo è composto da un falegname che aveva la bottega nei pressi, valente medium, il conte Vincenzo Pucci di Castelvetrano, teosofo rosacruciano di Trapani, il professor Augusto Crocco, studioso desangriano e presidente del Cenacolo letterario rosacruciano Airone di Napoli-Vomero, il professor Domenico Cattaneo, ufologo e rosacruciano presidente del centro cripteologico dei Colli Aminei, Eduardo Nappa, teosofo, massone e rosacruciano, il conte Antonio d’Aquino di Caramanico e i suoi fratelli Antonio e Filippo e la moglie di quest’ultimo, donna Giuseppina Amalia Giannone, PasqualeTuriello, studioso desangriano, Pasquale Panzone di Torremaggiore in puglia custode comunale del Castello, Giovanni Pica, studioso osirideo e kremmerziano, lo studioso Vincenzo Gigante, Nicola Ariano, valente studioso in molti campi dello scibile ermetico, Luigi Petriccione storico e filosofo di Portici, Giuseppe Del Noce teosofo e scrittore, e infine il dottor Mario Ferrara, appassionato di spiritismo.
I personaggi entrano nella cappella da una porticina alla luce di torceeletttriche e scendono dall’ingresso un tempo segreto a fianco della tomba ufficiale del 1750 di Raimondo de Sangro, morto il 22 marzo 1771 e ufficialmente seppellito in quel sacello, come scritto nel testamento olografo convalidato dal notaio Di Maggio. Al passaggio utilizzato per l’ingresso si accede attraverso una portella della vicina tomba situata ad angolo retto del giovane Ferdinando dei principi di Sansevero, noto alchimista e letterato minore, di cui Raimondo credeva di essere la reincarnazione. Giungono dunque nelle cantine del Palazzo Sansevero ove un tempo – fino al 1763 – vi era il laboratorio alchemico desangriano.
Gli studiosi – era proprio il giorno del 175esimo anniversario della morte di Raimondo – prendono posto attorno a un tavolo di legno accanto ai cassoni ricoperti di polvere bianca di marmo e caolino detta di proiezione alchemica degli esperimenti del principe di Sansevero, dove strisciano strani lombrichi simili a scarabei egizi ma bianchi, simboli egizi di immortalità, le cosidette mummie viventi, da cui nascono le farfalle dette faraone testa di morto.
Si pongono in cerchio per una seduta spiritica. L’entità che si vuole chiamare è quella di Raimondo de Sangro che aveva affermato di essere la reincarnazione dell’avo Ferdinando che a sua volta lo era del più antico avo Cecco morto nel 1500. Raimondo era poi tornato a vivere nel 1824 nel pronipote Michele, valente agronomo e botanico, morto nel 1891, 120 anni dopo Raimondo.
Durante i lavori di restauro della cappella eseguiti nel 1989, 1992, 1995, furono ritrovati dagli Aquino, attuali proprietari, molti contenitori con quella strana polvere bianca dei sotterranei desangriani. Venne conservata in una grossa bacheca di plexiglas nella sacrestia della cappella, dove è rimasta fino al 2014, poi rimossa per disposizione dei d’Aquino ed è tuttora ignoto dove sia stata trasferita.
Gli astanti chiedono al medium, il falegname, di evocare Raimondo de Sangro in astrale e ascoltano la sua verità breve, gentile, cordiale: «Sono nato di volta in volta in corpi diversi ma sempre legato ai marmi della Cappella Sansevero. Fui Cecco de Sangro nel 1500 e poi Ferdinando nel 1600. Ritornai come Raimondo il secolo dopo e cosi nel mio pronipote Michele nel 1824, morto nel 1891.
La mia tomba ufficiale del 1750 reca una mia immagine del pittore Francesco Maria Russo, anagramma della locuzione “fra massuni rosacroce”, ovvero l’insieme di iniziati pittori e scultori, ingegneri e architetti che lavoravano nel settecento per me, tra cui Antonio Corradini, Francesco Celebrano, Giuseppe Sammartino. Disposi di non essere seppellito nella mia tomba ufficiale, e infatti nella ricognizione del 1772 i miei figli non ritrovarono le mie spoglie.
Secondo una nota del mio testamento fui sepolto sì in Cappella, ma nell’altra tomba simbolo dell’immortalita fisica osiridea, quella del mio avo paterno Cecco …
Dopo la morte della mia successiva reincarnazione, il mio pronipote Michele, ora vivo in un altro corpo molto legato alla Cappella. Voi state partecipando non a una seduta medianica ma a uno sdoppiamento onirico notturno di un vivente che vi parla in astrale in modo diretto, ma sono sempre io. Secondo le leggi metafisiche egizie osiride del ka, l’anima immortale di ognuno di noi trapassa in altri corpi nel pieno rispetto delle leggi cosmiche e divine. Tutto è uno e uno è il tutto … »
Michele Di Iorio