Piermario Morosini, giocatore di calcio, muore in campo

Piermario Morosini

Questi, forse, i suoi ultimi pensieri.
“Ah, è sempre una bella sensazione uscire dagli spogliatoi direttamente sul Campo…Sentire immediato e forte l’affetto e la partecipazione del pubblico a tutto ciò che farai. L’amore per  la squadra, anche fuori casa, come qui a Pescara,  per noi del Livorno, ha un sapore tutto particolare: una piccola città tutta intorno alla sua squadra, ai suoi giocatori..Quasi quasi li conosci a uno a uno i tuoi tifosi, talmente ti stanno vicini…E’ chiaro che non è così: ma il senso di vicinanza è fortissimo, e tutto concentrato in questi spazi dove ci si vede: anzi dove ti puoi vedere ancora in modo umano… . Senti l’affetto, ma anche il rispetto, che diventa premurosa attenzione, come quando esco con la mia Anna. Scendere in campo è una sensazione sempre nuova, a cui non t’abitui mai: senti che la squadra è avvolta da questa forza, ne è accompagnata…E passa da ognuno di noi all’altro…E’ una corrente che ti unisce: è come una sferzata  che ti riempie, ti emoziona e non ti fa pensare ad altro… Mi fa sempre venire in mente il “Gladiatore”: Massimo in quel film, ogni volta che entra nell’Arena o ritorna dai suoi è sempre più potente, perché è come moltiplicato dall’energia che gli danno gli altri col loro appoggio…E’ bellissimo. Si, ma perché ci sto pensando, mo’? Che c’è di nuovo?…Forse queste leggere fitte di mal di testa? E pure altre volte mi so’ venute. E mò perché non passano, come le altre volte?…E pure la partita è cominciata…Ecco…ho ripreso la mia posizione …ho passato la palla…Di nuovo in corsa, con la palla al piede…Fatto! Questo bel passaggio vale oro!..Ma perché ogni volta che mi fermo mi rivengono… ? La palla la prendo lo stesso e la do con la stessa scioltezza…Ma cos’è? E’ come se qualcosa mi attraversasse , e non riesco a capire cosa: è come un’ombra senza forma …Stranamente riesco a pensare insieme a cose che non sono la partita, la squadra e il campo, e a vedere la palla e i giocatori. Ogni tanto sento come un brivido di vuoto e di freddo, mentre corro…Mi faccio forza pensando a ciò che dicono sempre gli altri compagni, di questa e di altre squadre: tu non sai come ho sofferto, ma na’ bella punturina…e te passa tutto…Si, ma io non so’ d’accordo, sia a prendemme e’ sbobbe, quei beveroni, che ogni tanto mi suggeriscono, non gli allenatori o i tecnici, ma quelli che gli stanno attorno, come se nessuno sapesse…E nemmeno quegli analgesici fortissimi che poi ti sfiancano, dopo: ma a quelli non gliene frega del dopo la partita…Annarella mia, me lo dice sempre di stare attento, questa gente ti sta intorno e vuole solo utilizzarti, spremerti come un limone,e gettarti via come una scorza vuota, non “se”, ma sicuramente “quando” non servi più: e prendere quelle schife di pillole, di beveroni torbidi, di “lavaggi” in vena, ti fa rendere di più: ma ti accorcia l’esistenza…E se mi vuoi…devi continuare a stare con me, devi stare e invecchiare insieme a me: e quando diceva questa cose, mi fissava intensamente, calmamente, ma dolcemente negli occhi , come aspettandosi una risposta. Il mio cuore friggeva, quasi voleva uscire dal petto e andare dentro di lei per la felicità che mi dava; ma anche la gratitudine, volevo darle, sia del suo stare con me, sia del suo avermi dato una casa, che era …tutto un cuore, altro che due cuori  e una capanna”. E nel pensare a lei, quasi sorrideva, cogli occhi che si allargavano, mentre bloccava  e rilanciava al giocatore libero: e nessuno sapeva perché aveva la faccia allegra così.
Improvvisamente, e senza spiegarsi il perché si ritrovò col ginocchio per terra. Nel mentre cercava di rialzarsi, continuava lucidamente con se stesso: “Che cos’è?”, si disse allarmato e preso dalla paura; ma riuscendo a connettere si diceva dentro di sé, “ho sentito una fitta atroce…Sento il dolore come scendere in un’ondata di liquido; un’onda bassa, densa e viscosa che si muove lentamente dentro di me e mi attraversa tutto quanto. Il suo colore oscuro è profondo, anche se il suo spessore è sottile. E’ come un gelo che invade il cervello e il cuore. E’ come un artiglio  che mi graffia e mi penetra, lentamente  …Vedo immagini che si sovrappongono a quelle dei miei compagni che mi stanno guardando allarmati…Niente,  niente , non è niente, vorrei dire, continuate ad aspettare che vi passi palla…Ma sento che non  riesco a stare in piedi…Anna, Anna, la vedo mentre la con voce della mente la chiamo…Vedo Anna mia che mi sorride …felice; …felici dopo essere stati insieme…Non mi viene nessuna immagine mentre facevamo l’amore…ma solo del dopo..a letto…distesi e appagati…Affondo nel suo sguardo, tanto stavo bene… ma cerco di riemergere, perché sento che mi stanno chiamando gli altri compagni, loro si veramente impauriti, attorno a me…”
Al 31° del primo tempo di gioco, il14 aprile, Piermario Morosini, centrocampista del Livorno, a soli 25 anni, è stramazzato a suolo del campo del Pescara,  per non più rialzarsi.
Francesco “Ciccio” Capozzi