Il cinema, che Magia

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Cinema.
Una sola parola per definire sia il lungo, complesso e articolato, procedimento, tecnico e creativo, che ci porta dalla parola scritta alla realizzazione di un universo parallelo, concentrato in un tempo limitato molto breve, nel quale ci immergiamo quando assistiamo alla proiezione di un film, anche il luogo, sia anche lo spazio fisico nel quale, nel buio, avviene questa immersione.
Cinema.
Quanti di noi sentendo questa parola, ricordano tanto una scena di un film, quanto un luogo, a prescindere dal film o dai film visti? Il luogo dove abbiamo vissuto quella particolare emozioni?
A Napoli fino a qualche anno ogni quartiere fa aveva il suo cinema.
Era un po’ come una antica piazza, un’agorà, che puntualmente, almeno una volta alla settimana, gli abitanti del quartiere affollavano.
Ricordo il cinema Gloria, forse la prima multisala a Napoli, nei pressi di piazza Carlo III; il Bolivar, sulle scale che dalle Fontanelle, lato nord della Sanità, arrivavano al quartiere Materdei; il Santa Lucia, il Fiamma, e poi la grande cava di Tufo sotto il palazzo Cellammare trasformato in un bellissimo cinema, il Metropolitan, senza essere snaturata del suo enorme valore spaziale, e tanti altri.
Quello che mi è impresso nella memoria come il “Cinema” è il Felix, in via Arena Sanità, a due passi da dove è nato il principe del cinema comico italiano, Antonio de Curtis, Totò.
Oggi tanti di questi luoghi hanno subito trasformazioni funzionali radicali; alcuni sono diventati supermercati, altri sale bingo, altri parcheggi.
Quasi tutti i quartieri di Napoli hanno perso quel valore aggiunto per la qualità della vita, che scade sempre di più a favore della massificazione.
Penso alle enormi multisale nate come funghi, nei centri commerciali delle periferie tra Napoli e Caserta.
Ogni volta che ci vado non riesco a vivere l’emozione del luogo così come la vivevo nel cinema Felix.
Lo spazio e i suoi frequentatori erano già uno spettacolo nello spettacolo.
Forse era un caso, forse era semplice concorrenza, ma quando la domenica mattina c’era lo spettacolo delle 10, si sentivano le campane della vicina Chiesa: sembravano urlare per richiamare l’attenzione.
Mio nonno ci portava, me e i mie cugini,  allo spettacolo della domenica mattina, proprio a quello delle 10.
Si entrava; la Maschera era don Luigi, un omone grosso con i baffi, lo sguardo sempre crucciato.
Era un buon uomo, ci accompagnava dentro la sala.
Ci sedevamo su quelle poltroncine in legno con i sedili ribaltabili e i braccioli consumati.
Ogni volta, appena si abbassavano le luci c’era sempre qualcuno, sembrava sempre la stessa persona ma non ho mai capito chi fosse che puntualmente che si faceva sentire con quel suo: Sccccccccccccccc!
E poi si alzava un ragazzo, poi un altro qualcuno chiamava ad alta voce: -Gennarinoooooooo, viene ccà: ce sta ‘nu posto!
Puntualmente c’era un urlo, scocciato: Uè guagliù! Assettateve, statéve zitte!
E subito dopo: Miette ‘a pellicula,’ o stuorto!
Tante risate, schiamazzi, ragazzini, donne, uomini, anziani e poi: il buio, e in sala calava il silenzio.
Era una magia, quell’oscurità interrotta da un fascio di luce.
Era una magia quel silenzioso rumore, stanco, che copriva il festoso frastuono.
Quel foro luminoso dal quale si liberavano universi era per noi ragazzini il mistero dei  misteri, un sogno ad occhi aperti che svelava l’infinito.
Quante risate, schiamazzi, botte, lacrime.
Dal vicolo oscuro, ancora, suono di campane, la luce.
Mi ricordo i sussurri, i commenti, le risate, i visi arrossati, le mani tremanti che si stringevano nel buio illuminate di riflesso da quel fascio di luce tremolante che svelava la vita sognata e vissuta.
Felix!
Era Un angolo di paradiso, ora negato nell’inferno.
(Foto: web)

Mario Scippa