Preceduti dalle regie prammatiche sveve e dalle pergamene di Conversano, nell’Archivio di Stato di Napoli si trovano ben conservati i regesta angioini o registri del Reame di Napoli e di Sicilia dal 1266 in poi.
I regesta vennero ordinati una prima volta dall’avvocato Francesco de Iorio da Procida, barone capostipite, morto nel 1785, specialista delle regie prammatiche aragonesi e ordinatore dei regesta angioini dal 1742 al 1752 in specie, per conto della Reale Università degli Studi di Napoli, regnante re Carlo III di Borbone.
I registri templari sono invece conservati nell’Archivio Vaticano e il cartulario generale manoscritto dell’Ordine templare, dal 1119 al 1152, mentre la seconda parte, che va dal 1150 al 1318, è custodita alla Biblioteca Nazionale di Parigi; alcune sue appendici sono invece nella Biblioteca dell’Arsenale.
L’Archivio di Napoli è il custode delle preziose carte angioine che vanno dal 1266 al 1308 e oltre; i regesta angioini riguardano i templari italiani sono conservati in cassaforte; altri documenti si trovano alla Biblioteca Nazionale di Napoli, buona parte nel Fondo Fusco.
Conservati con cura nel corso di secoli, questi documenti rischiarono la distruzione nel periodo bellico, tra il 1943 e il 1944, per ordine del il comando dell’esercito tedesco in ritirata da Napoli, insediato provvisoriamente a Villa Capecelatro di San Paolo Belsito vicino Nola, e poi a Briano di Caserta e Cassino e Firenze.
Un convoglio di casse proveniente dall’Archivio di Stato fu bloccato durante le 4 giornate di Napoli dagli scugnizzi e dai partigiani della Città in rivolta su segnalazione del custode e sua moglie del Maschio Angioino e di Castel dell’Ovo.
I regesta recuperati furono riordinati nel 1950 e gli anni seguenti dal grande studioso napoletano Riccardo Filangieri di Candida e restituiti parte in frammenti e parte per intero al sapere della libera Napoli e della libera Italia post bellica.
Si deduce dai documenti regi che la presenza dell’Ordine Templare nel Regno di Napoli e Sicilia era numerosa, costante e molto attiva.
Annotazioni ad esempio riportano le donazioni all’Ordine, che risalgono al marzo del 1148 a Molfetta in Puglia e alle isole Tremiti nel 1175, a Palermo dal 29 aprile 1196, a Barletta in priorato provinciale dal 31 marzo 1204 e ancora a Molfetta nell’agosto 1204, a Messina nell’agosto 1209 e cosi a Milazzo in Sicilia il 4 settembre 1204.
In Campania i finanziamenti vennero concessi il 7 giugno 1231 a Capua; numerosi inoltre erano castelli, porti, fattorie, commende, feudi, ponti di proprietà donati ai templari italiani tra Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata, Abruzzo e Molise.
Gli archivi angioini di Napoli confermano dunque privilegi, beni e possedimenti, immunità diplomatiche e fiscali concesse ai templari italiani; sono altresì annotati gli spostamenti navali mercantili tra i vari porti e le commende templari di cavalieri, serventi e mercanzie.
Documenti estremamente importanti per ricostruire la storia dell’Ordine, spesso celata dai Cavalieri stessi.
Si sa che fra’ Arnulfo fu regio tesoriere di Carlo I d’Angiò dal 1266 al 1269, che nel 1270 venne costruita da tre cavalieri francesi del Tempio la chiesa e l’ospedale crociato di Sant’Eligio a piazza Mercato, commenda templare, non lontana dalla chiesa e ospedale crociato dei Cavalieri di San Giovanni a mare, divenuti poi Cavalieri di Malta.
Dal novembre 1270 a Capua Stefano de Scisseo fu Gran Maestro provinciale di tutte le domus del Regno; quest’incarico nel 1275 venne ricoperto da Simone de Turre.
Un’altra carta annota che nel porto di Brindisi fu riparata il 3 agosto 1278 la nave templare Santa Maria, solitamente adibita al trasporto di vettovaglie, armi e cavalieri da Napoli a Brindisi e da qui a San Giovanni d’Acri, nell’attuale Israele.
L’attività templare ferveva in ogni campo: nel 1282 a Messina si restaurò la Gran Precettoria, con nuovi arruolamenti di cavalieri e di serventi; venivano anche annotati semplici trasferimenti di viveri e vettovaglie, materiale e attrezzi edili, come per Castellamare di Stabia per la costruenda abbazia cistercense di Santa Maria di Real Valle a Scafati, sotto protezione dei cavalieri templari; molti viveri furono portati via mare anche dalla loro fattoria agricola di Cuma.
Altra piccola notizia che permette di tracciare le attività che comunque facevano capo all’amministrazione angioina, sebbene si svolgessero in luoghi diversi: nel 1282 da Messina venne portato all’ospedale crociato templare di Sant’Eligio il cavaliere Hugo da Napoli, malato e reduce da San Giovanni d’Acri.
Hugo era nato a Napoli nel 1245 da nobile famiglia locale di origine francese, già alfiere dei lancieri angioini nel 1266 a Benevento e poi capitano dei lancieri a L’Aquila per il Giustiziere degli Abruzzi, marchese Porzio de Blanchefort , di famiglia catara e templare in Francia.
Fra’ Hugo rimasto vedovo della giovane moglie, morta di parto, si era arruolato nei Templari a Brindisi nel 1281; reduce dalla Terrasanta, guarito, lo troviamo nel 1285 vegeto e in servizio nei Templari di Capua, dove era stato destinato dal precettore Guglielmo de Canelli.
Si sa anche che il 26 maggio 1284 fra’ Falcone, nuovo Gran Precettore dell’italia meridionale mandò da Brindisi a Napoli quattro Cavalieri templari e sedici scudieri del tempio con armi e cavalli ad ingrossare l’esercito angioino contro la Sicilia insorta con i Vespri.
I Cavalieri vennero ospitati nella commenda templare detta di San Giovanni: si trattava di quella che fu restaurata nel 1305 e che nel 1308 passò al figlio del Re angioino Filippo I, che aveva il titolo di Imperatore di Costantinopoli. La commenda si trovava fuori le mura della Città, sul Ponte di Casanova verso Poggioreale.
Nel 1292, ormai in disarmo nel porto di Brindisi la vecchia nave templare italiana Santa Maria, i Peruzzi di Genova, mercanti e banchieri, mandarono un carico di grano per i templari in guerra nel Peloponneso; venne utilizzata una nuova galea templare più un piccolo bastimento mercantile preso a nolo Brindisi. A causa dei nemici aragonesi che dalla Sicilia minacciavano le coste, le due navi dei templari vennero deviate nel porto di Napoli, dove vennero rifornite di viveri e acqua, e poi proseguirono per Genova.
Si sa ancora che il 27 agosto 1297 Carlo II d’Angiò confermò in tutto il regno la concessione di tutti i beni e privilegi dei Templari, e anche la donazione di papa Bonifacio VIII ai cavalieri pugliesi del convento francescano di Torremaggiore in provincia di Foggia.
Su richiesta del Gran Maestro fra’ Rainaldo de Varensis, re Carlo il 18 gennaio 1298 concesse anche l’immunità giudiziaria e diplomatica a tutti i Templari e dieci giorni dopo li esentò da ogni imposta fiscale regia.
I de’ Bardi, banchieri e mercanti di Firenze, mandarono un loro incaricato a Napoli, che poi si recò dai templari di Puglia, per far partire il 15 maggio del 1299 dal porto di Manfredonia una nuova nave templare con carico di grano per Cipro destinato ai Templari e ai Cavalieri di Malta.
Quando la scena cambiò e nel 1307 a Parigi iniziarono le persecuzioni nei confronti dei Templari, vennero arrestati molti Cavalieri anche in Italia: da Roma a Ravenna, da Messina a Barletta, e anche oltremare, persino a Cipro.
Il 24 marzo 1308 Giovanni Brachetto, regio castellano di Barletta, rese noto al re che una nave templare, la Santa Maria, proveniente dal porto di La Rochelle in ottobre 1307, stazionava a Tomar, possedimento portoghese templare, e che poi si sarebbe diretta a Genova, dove fece rifornimento in febbraio. La Santa Maria poi sbarcò in Puglia 12 templari italiani sfuggiti all’arresto in Francia con cavalli, divise e bandiere.
Otto cavalieri furono arrestati a Barletta e rinchiusi a Torremaggiore, mentre gli altri 4 fuggirono a cavallo.
Tra gli arrestati figuravano i nomi di Michele Cersi, Oliviero de Berona, Guglielmo Angelico, Bartolomeo da Cosenza, Andrea da Cosenza, Angelo Brondusio, Stefano da Antochia; tra I fuggitivi il già menzionato Hugo da Napoli: con un suo compagno erano riuscito a fuggire a cavallo, diretti probabilmente verso Ariano Irpino e Avellino.Si sa che Hugo s’imbarcò nell’aprile 1308 su un mercantile francese vestito da chierico; sbarcato a Marsiglia, nel 1311 fu catturato a Vienne e imprigionato a vita a Parigi.
Da una relazione scritta dal notaio regio Riccardo De Nicola e presentata a Giovanni de Laya, Giustiziere in terra di Bari, si apprende che due giorni dopo la polizia angioina rinchiuse altri due Templari altri due a Torremaggiore.
Re Roberto d’Angio scrisse il 25 marzo 1308 a Gualtiero de Tauro, giustiziere regio in terra d’Otranto, di bloccare i beni templari di Puglia e di affidarli al giudice regio Pietro Porcaria di Aversa, che in ossequio agli ordini ricevuti il 28 marzo 1308 fece l’inventario dei beni di Barletta, della Basilicata, di Lavello e di Venosa.
Il giudice regio Letizio De Incoronato di Lecce tramite il notaio Goffredo De Isaia, fece inoltre un altro inventario il 25 marzo 1308.
Rostaynoi arcivescovo di Neopatrasso ebbe anch’egli ordine regio di inventariare i beni templari di Capua e Maddaloni; il 18 aprile 1308 i giudici regi di Aversa , Francesco De Arbisso e Pietro De Negri sequestrarono su ordine regio i beni di Puglia e di Basilicata;il 18 maggio il giudice regio di Capua Antonio De Tibaldo, tramite il notaio Benincasa di Vasto ottenne l’amministrazione e sequestrò di tutti i beni in Abruzzo.
De Tibaldo scrisse al giudice Pietro De Ninna di Aversa che amministrava i beni sequestrati, di riscuotere crediti di commercio e di vendita di grano ex templare in Puglia e di inventariare i beni della provincia di Napoli, del Castello di Cicciano, di una fattoria a Cuma e di un’altra a Casalnuovo, due commende, e di una chiesa di Napoli.
il 19 maggio del 1309 la Curia angioina di Napoli nominò i magistrati regi procuratori amministratori dei beni residui, nelle persone dei giudici Giovanni Torredimare, Nicola di Leucio e Nicola De Misana.
Nel 1310 Roberto d’Angiò concesse i beni e i privilegi che erano stati dei Cavalieri templari ai monaci antoniani di Napoli; tra cui vi alcuni erano cavalieri templari italiani.
Qui finisce un primo racconto di ciò che è riportato nei regesta angioini; qualcuno potrebbe pensare che sono insignificanti notazioni amministrative o legali, ma invece inestimabili documentazioni che permettono allo studioso appassionato di ripercorrere i momenti quotidiani che danno la certezza di stabilire la verità storica.
Michele Di Iorio