NAPOLI – In occasione della giornata mondiale della Memoria per le vittime dell’Olocausto, lo scorso 27 gennaio, l’Institut Français di palazzo “Il Grenoble” di via Crispi, ha ospitato lo scrittore Tahar Ben Jelloun, aiutato nella traduzione da Mario Serenellini, e il filosofo Bruno Moroncini.
L’evento, promosso dall’Institut e dal museo Mav di Ercolano, rientra nell’ambito del Festival della Memoria che si terrà ad Ercolano durante la terza settimana di settembre 2014.
Il dibattito è stato introdotto dal direttore dell’Institut Français, il console Christian Thimonier, e moderato da Karima Moual.
Tahar Ben Jelloun, classe 1944, di origine marocchina ma residente in Francia dal 1971, ha esordito nella narrativa con il romanzo Harrouda nel 1973. Con La nuit sacrèe, nel 1987, è stato insignito del prestigioso “Premio Goncourt”. Nel 1997 scrive Il razzismo spiegato a mia figlia ricevendo il “Global Tolerance Award” nel 2006 ed il“Premio Internazionale Trieste Poesia”.
Attraverso le sue parole e la sensibilità da sempre indirizzata alla tolleranza e all’antirazzismo, ha fornito una preziosa testimonianza sul valore interminabile della memoria e sul ruolo partecipe che essa deve esercitare per evitare che la violenza della storia possa arrestarsi alla celebrazione di mere ricorrenze.
«La Memoria non è una questione di un giorno solo, la memoria è qualcosa che ci riguarda tutti e bisogna ricordare e questo richiede che sia continua».
Tahar ha inoltre sottolineato la continuità tra passato e presente, riepilogando in sintesi alcuni dei più significativi eccidi che hanno dilaniato la popolazione mondiale dal Novecento ad oggi, facendo in particolare riferimento all’attuale situazione siriana.
Anche Karima Moual ha ricordato il recentissimo episodio di antisemitismo che si è verificato lo scorso 26 gennaio, quando alla Comunità Ebraica di Roma è stato consegnato un pacco contenente tre teste di maiale e sono state rinvenute scritte dall’evidente significato discriminatorio sulle mura della Sinagoga.
Un episodio che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha definito, a ragione, «… una miserevole provocazione».
Il filosofo Bruno Moroncini nel suo intervento ha puntualizzato la questione della specificità di ogni singolo eccidio.
A suo parere l’olocausto e i recenti conflitti arabo-israeliani, ad esempio, non sono assommabili sotto un’unica maxi categoria ma dotati di precise ragioni ideologiche. Per comprenderli sarebbe necessario tenere presente i rapporti causali che intessono la storia dell’umanità.
Ha inoltre aggiunto che la necessità di fornire adeguate testimonianze ad un episodio così tragico della storia dell’umanità, si scontra con l’evidente problema di reperire memorie da parte di coloro i quali ne sono stati direttamente implicati. La memoria viene sopraffatta dalla necessità di dimenticare, i crimini subiti hanno avuto il potere di distruggere l’identità individuale.
«La verità è che il problema è incredibile. C’è una difficoltà per i sopravvissuti di raccontare. Non solo Primo Levi ma anche numerosi altri autori hanno parlato di una “difficoltà di raccontare”. Questo dà al negazionista una forza. Il sopravvissuto non crede a quello che è successo, quella persona è scomparsa dentro il campo, non c’è più soggettività».
Nel corso dell’incontro, sono stati proiettati alcuni brevi filmati. Il primo è un estratto di un film d’animazione realizzato, con la tecnica elettronica, da alcuni giovani accademici parigini ed incentrato sullo squadrismo nazista.
Il secondo è un frammento di un documentario che Alfred Hitchcock intendeva realizzare, con immagini reali e molto crude che ritraevano le condizioni dei deportati nei campi di concentramento. Parte del materiale che venne distrutto è stato recentemente ritrovato e sottoposto ad un lavoro di restauro. Il documentario sarà presentato l’anno prossimo in anteprima mondiale.
Sono stati proiettati, inoltre, alcuni minuti di un’intervista a Roman Polanski, autore del celebre film sulla persecuzione antisemita “Il Pianista” (2002), in cui il grande cineasta ricordava la separazione dal padre, deportato a Mathausen e ritrovato solo alla fine della guerra.
Francesca Mancini